Il diavolo non è global di Maurizio Molinari

Il diavolo non è global INCONTRO CON IL GRANDE ECONOMISTA INDIANO CHE NEL SUO NUOVO SAGGIO DIFENDE I VALORI DELLA MONDIALIZZAZIONE Il diavolo non è global Bhagwati: «Il vero rischio è il protezionismo» Maurizio Molinari corrispondente da NEW YORK LA globalizzazione è stata la protagonista indiscussa del passaggio di secolo. Oggi è sul banco degli imputati. I No Global la sfidano neUe piazze d'Europa, i democratici americani sono sedotti dal protezionismo economico e una galassia di sigle e movimenti chiede drastiche riforme. Per rispondere a quest'offensiva l'intellettuale indiano Jagdish Bhagwati, docente alla Columbia University, noto per i suoi scritti sulla povertà ed il sottosviluppo, e definito daForeipn Affairs «imo dei più eminenti economisti del mondo», ha pubblicato In defence of glàbalization (In difesa della globalizzazione) un volume di 308 pagine per i tipi della Oxford Univerity Press. Perché nel 2004 alla globalizzazione serve un avvocato? «Perché sono in molti a considerarla un processo maligno e non benigno. Dall'indomani deUe proteste al summit del commercio a Seattle, nel settembre del 1999, mi sono impegnato in un dialogo con chi come Ralph Nader e Naomi Klein è schierato fra i contrari. Sono andato alla ricerca dei motivi del dissenso presenti all'interno di un movimento con più identità. Il libro risponde a tutte queste obiezioni spiegando che la globalizzazione è positiva per lo sviluppo umano». Chi sono i nemici più accaniti della globalizzazione? «Hanno origini molto diverse ma possono essere divisi in due gruppi. Molti sono giovani, di estrema sinistra, marxisti e leninisti nei confrc.Ui dei quali c'è ben poco da fare perché l'unica cosa che h spinge è il rigetto del sistema. Non sono disposti a dialogare o a capire, sono idealisti, contrari a priori. Vedono gh orrori del mondo stando seduti di fronte alla tv nella camera da pranzo e si sentono frustrati, vogliono ribellarsi e basta. Vi sono però altri gruppi, come ad esempio quelh che fanno capo ad alcuni filosofi francesi, comunitaristi americani, leader verdi ed a Ralph Nader - candidato indipendente alle presidenziali americane - che pur essendo molto contrari sono disposti a sedersi e discutere. E' a questi che il mio libro è diretto». Perché ritiene impossìbile il dialogo con l'estrema sinistra del movimento No Global? «Perché non vogliono riformare il sistema ma ucciderlo, inseguono una sorta di utopia simile a 'quella che i comunisti non riuscirono a realizzare. Vedono nel sistema capitalista l'incarnazione della malefica globalizzazione e paragonano le multinazionah ai bombardieri militari B-52». E alle obiezioni di chi invece chiede una globalizzazione del volto umano, cosa risponde? «Costoro hanno idee e progetti e devono essere ascoltati. Chiedono l'imposizione di nuove regole, il rispetto dei diritti dei lavoratori e deUe dorme. Si tratta di un gruppo di persone vasto e determinato. Ma va detto che questo fenomeno è presente soprattutto negh Stati Uniti mentre in Europa prevalgono i contrari a priori». Ralph Nader e Naomi Klein chiedono riforme all'economìa globale. Quali potrebbero essere possìbili? «Democrazia, eguaghanza dei sessi, fine dello sfruttamento minorile, standard lavorativi comuni e difesa dell'ambiente sono rivendicazioni giuste. Tali questioni si pongono perché la globalizzazione così come è ora non ha un "volto umano" e quindi gliene serve uno. Gerhard Schroeder, Bill Clinton e Tony Blair furono i primi a prounciarsi a favore di un "volto umano" della globalizzazione, ma non ne è uscito molto». Ci faccia un esempio di globalizzazione riuscita. «Prendiamo le conseguenze dell'arrivo dei giapponesi negh Stati Uniti e in Occidente. Vennero fra la fine degh anni Ottanta e l'inizio dei Novanta ed erano praticamente tutti uomini. Quando poi tornarono dalle loro mogli, portarono un maggiore rispetto delle donne di cui la società si è giovata. Sotto questo aspetto la globalizzazione ha fatto avanzare i diritti delle donne in Giappone. Ma in Europa di queste novità sembrano non accorgersene. Ero a Londra la scorsa settimana, tutti parlavano male della globalizzazione e poi ho capito perché: i commenti nascevano dalla lettura di un rapporto dell'Organizzazione mondiale del lavoro, davvero confezionato in maniera partigiana» E negli Stati Uniti invece... «La minaccia viene dall'ondata di protezionismo che sta investendo il partito democratico». Si riferisce alla crìtiche del senatore democratico John Kerry nei confronti dell'esportazione di manodopera all'estero? «L'ex presidente messicano Zedillo mi ha detto "lei ha scritto questo libro per la società civile e le organizzazioni non governative, in realtà si dovrebbe occupare del protezionismo dei partiti americani". E' un suggerimento importante. In Europa non esiste il dibattito sul protezionismo mentre negh Usa la battaglia è dura. L'attuale presidente è a favore del libero commercio, i democratici sono contro e con loro ci sono i sindacati che denunciano la perdita di posti di lavoro a vantaggio del Terzo Mondo. Se i democratici dovessero vincere vi sarà un'ondata di protezionismo». Clinton e Gore furono alfieri della globalizzazione. Ora i democratici sono in odore dì proibizionismo. Come spiega la contraddizione? «Credo dipenda dalla paura di perdere il posto di lavoro. Dopo la Seconda Guerra Mondiale i Paesi poveri temevano la concorrenza dei ricchi, adesso è il contrario perché nel Sud del mondo c'è meno protezione sociale. Le conseguenze della disoccupazione in America sono diverse: indebohsce i rapporti famigliari, fa perdere Tassistanza sociale e dimezza il reddito. E' questa la genesi del protezionismo democratico. Kerry ha assicurato che se vincerà in novembre i trattati sul libero commercio saranno riesaminato. Avendolo detto, dovrà farlo». «I contestatori temono la caduta dell'occupazione E' uno spettro soprattutto americano: l'Europa è più distratta» L'economista indiano Jagdish Bhagwati, docente alla Columbia University Nel suo saggio attacca le frange oltranziste dei No Global, contrari per principio alla globalizzazione, e la nuova politica economica dei democratici negli Stati Uniti Un piccolo profugo afghano al lavoro In una fabbrica di mattoni in Pakistan