Il pm: i morti dì Linate uccisi dalla burocrazìa di Fabio Poletti

Il pm: i morti dì Linate uccisi dalla burocrazìa IL PROCESSO PER IL DISASTRO AEREO DOVE PERSERO LA VITA 118 PERSONE Il pm: i morti dì Linate uccisi dalla burocrazìa La requisitoria su un maxischermo per la folla Fabio Poletti MILANO Non le basta un giorno intero per fare l'elenco delle colpe, delle negligenze, delle omissioni, di quel gioco a scaricabarile iniziato già la mattina dcll'S ottobre di tre anni fa, quando sulla pista di Linate c'erano ancora i resti dei due aerei che si erano scontrati nella nebbia. E non bastano sette ore di parole al pubblico ministero Celestina Gravina, per ricostruire il più grande disastro aereo mai avvenuto in Italia con i suoi 118 morti: «Sin dai primi atti di questa inchiesta ho avuto una sensazione. Che madama burocrazia ancora una volta volesse celebrare il rito della sua autoassoluzione». - Dare la colpa alla nebbia, ai piloti del piccolo Cessna privato che attraversarono la pista dove era già in fase di decollo il jet di linea della compagnia scandinava Sas diretto a Copenaghen, per il pubblico ministero è una scusa meschina. «Non fu colpa della nebbia né dei morti», dice puntando l'indice contro gli imputati di questo processo, l'ex amministratore delegato dell'Enav Sandro Gualano, il direttore di Linate Vincenzo Fusco tutt'ora in servizio, il responsabile dello scalo Giuseppe Federico e il controllore di volo Paolo Zacchetti, tutti accusati di disastro \ coVposo e ài omtodio ccAposo pVari- mo. «Non fu colpa .della nebbia perchè Milano e la nebbia sono in simbiosi, sono una citazione letteraria, sono il motivo di una canzonetta. E non fu colpa dei piloti privati. Troppo facile scaricare la colpa sui morti, su quei piloti che sono fior di professionisti». E allora c'entra la burocrazia. C'entra quel groviglio di norme, quel rimbalzarsi di responsabilità che non permisero in due anni di riaccendere il radar di terra di Linate, fermo dal 29 novembre 1999, l'unica cosa che avrebbe potuto evitare il disastro. Insieme alla segnaletica certa che in pista era invece carente. E alle comunicazioni radar fra la torre di controllo e i piloti del Cessna che quel giorno furono fraintese..«In due anni non riuscirono a rimettere in funzione un radar e poi dicono che non è colpa di nessuno... E invece c'è chi ha tentato, come il Don Rodrigo di Alessandro Manzoni, di esorcizzare le responsabilità che oggi come sempre non devono valere per i potenti». La voce del pubbUco ministero Celestina Gravina è amplificata fuori dall'aula dalle casse ai lati di un maxischermo. Davanti ci sono dodici file di sedie rosse per i famigliari delle vittime. Non è la prima volta che in un processo si usano televisori o grandi schermi. E' successo al processo Enimont. E poi ancora due mesi fa all'inaugurazione dell'anno giudiziario col ministro della Giustizia Roberto Castelli. Qualche difensore degli imputati si lamenta che cosi si «spettacolarizza» il processo. Ma lo dice piano. Perché non lo sentano i famighari delle vittime, mogli, mariti, figli, qualcuno è venuto fino a qui dalla Svezia o dalla Danimarca. «Voghamo il maxischermo anche per le arringhe dei difensori», dice il professor Alfonso Stile, difensore di Sandro Gualano, l'imputato principale del processo. «Le parti civili, che sono per la verità parti offese in quanto tutte già risarcite - insiste -, devono capire che bisogna sentire tutte le campane allo stesso modo». Una signora la portano via perché si sente male. Qualcuno ammette di prendere i tranquillanti prima di venire in Tribunale. Paolo Pettinaroli, presidente del comitato 8 ottobre, si aspetta una punizione esemplare ma alla fine non sono anni di carcere quelli che chiede: «Il tempo passa e si impara a vivere. Ogni giorno qualcuno perde un figlio come è successo a me. Ma è il modo in cui è accaduto che non è accettabile». Ivana Caffi Motta quel giorno ha perso il marito. Non cerca vendette, non odia nessuno: «I responsabili di questa immane tragedia non vadano in galera, continuino a campare. Però facciano un altro mestiere e abbiano il coraggio di guardarci in faccia». In aula c'è solo un imputato. E' Sandro Gualano, allora amministratore delegato dell'Enav. Si difende come ha sempre fatto: «Proprio perché era notorio che a Linate non c'era il radar di terra, in caso di dubbio non potevano bastare le comunicazioni tra torre di controllo e piloti». Al pubblico ministero Celestina Gravina che lunedi chiederà anche la sua condanna, queste parole non sembrano bastare. I famigliari delle vittime davanti al maxischermo

Luoghi citati: Copenaghen, Danimarca, Italia, Milano, Svezia