Jack London, dalle risse nei moli all'èlite di Claudio Gorlier

Jack London, dalle risse nei moli all'èlite I CLASSICI-LA STAMPA Claudio Gorlier Jack London, dalle risse nei moli all'èlite A poco meno di un secolo dalla sua pubblicazione - il 1909 - Martin Eden di Jack London, un libro osannato e stroncato, amato dal pubbhco, in certi casi idolatrato, e accettato dai critici dapprima con riluttanza poi con crescente attenzione, resiste come uno dei romanzi di culto del Novecento. Sgombriamo subito il terreno da un'etichetta ricorrente e, tutto sommato, limitativa, quella dell'esplosione autobiografica, di Martin Eden come esemplare canonico diBiZdungsroman, romanzo di educazione, di iniziazione. Scontato il suo realismo, conviene sottolineare che si colloca in una dimensione simbolica peculiare della letteratura degli Stati Uniti, a cominciare dal cognome del suo protagonista. Martin tenta di conquistare tormentosamente l'Eden, un suo terrestre paradiso, salvo, dopo l'effimero successo, autodistruggersi. S'intende che le analogie tra la travagliata esistenza dell'autore e la vicenda del suo eroe rimangono evidenti; pure, Martin Eden non va inteso quale romanzo confessionale. Jack Griffith London era nato a San Francisco nel 1876, figlio illegittimo riconosciuto poi dal marito della madre, e il crollo economico dei genitori lo indusse a tentare la fortuna tra i cercatori d'oro dello Yukon: questo l'ambiente del suo primo romanzo di successo, apparso nel 1903, Il richiamo dellaforesta. Tra i disparati mestieri della giovinezza, comunque, quello sia pur breve del marinaio lo aveva segnato. Martin Eden fu scritto in parte durante un lungo viaggio in nave e terminato addirittura a Tahiti. London era un autodidatta, anche se non privo di studi; avido lettore, frequentatore di bibUoteche. Sta qui l'analogia con il suo personaggio, che in realtà parte letteralmente da zero, nutrendosi però del mito americano del successo, il cui modello si identifica nel cosiddetto «darwinismo sociale», la dottrina modellata sulle teorie dell'inglese Herbert Spencer, ispiratore dei vari Camegie o Rockefeller, e che Mark Twain non mancò di deridere. Non stupisce, dunque, che Martin aspiri a entrare nell'elite medio o alto borghese: questo il suo Eden. Ci riesce grazie al legame con una giovane donna, Ruth Morse, che lo incoraggia a scrivere, e nella quale si è voluto identificare una donna amata da London, Mabel Applegarth. Ruth lo introduce negli ambienti che Martin sognava, e qui entra in gioco un'altra influenza non indifferente sul giovane London: il pensiero di Nietzsche che, grazie a H.L. Mencken, cominciava a essere per così dire volgarizzato negli Stati Uniti. Così, nella sua effìmera ma rapida ascesa, Martin combina l'aspirazione spenceriana al successo e la fascinazione del superuomo. Abituato alle risse sui moli di Oakland, la città sulla baia di San Francisco, al duro lavoro in una lavanderia, quando Martin, dopo qualche iniziale fallimento, si af¬ ferma come scrittore, crede di essersi finalmente realizzato. Ma l'ambiente letterario borghese - i salotti - finisce per rivelare tutta la sua paternalistica falsità, la sua intollerabile ipocrisia. L'Eden si presenta come inganno, e qui affiora un altro paradigma caratteristicamente americano, quello dell'innocenza minacciata dal potere. Si trova la radice di uno degli interrogativi di fondo di Martin Eden, del dilemma che lo porterà ad annullarsi: se la conquista della conoscenza non comporti la perdita, appunto, dell'innocenza. La fama, la popolarità intemazionale - Parigi, l'Inghilterra incoronano Martin: «Aveva colto il pubbhco di sorpresa, travolgendolo, proprio come Kipling». Naturalmente, il danaro. Ma scatta la crisi, di fronte a un Eden corrotto, avvelenato e, specularmente, si spegne l'amore per Ruth, in un romanzo privo di sessualità. L'amico poeta Brissenden vorrebbe convertirlo al socialismo ma non ci riesce, del resto lo stesso Brissenden muore suicida. Martin «cade nella tenebra»: si getta in mare e «nell'istante in cui seppe, cessò di sapere». E' l'ultima, memorabile frase del libro. London, per qualche tempo socialista militante, lo seguirà nel 1916, precedendo il poeta Hart Crane, che nel 1932 si getterà in mare da una nave nel golfo del Messico. L'ideologia non ha cittadinanza nella cultura americana. Il simbolo, sì. Come in MdbyDick, qui è il mare. Borges, che a London dedicò un saggio, opportunamente paragonandolo a Hemingway, osserva che aveva esaurito «fino alla feccia la vita del corpo e quella dello spirito», non soddisfatto da nessuna delle due, e «cercò nella morte il tetro splendore del nulla». Qui London si reinventò come Martin Eden. «Martin Eden», alla conquista tormentosa di un americano paradiso terrestre, salvo, dopo l'effimero successo, scivolare nell'autodistruzione Jack London Martin Eden intr. di Francesco Binni trad. di Giovanni Baldi pp. 432. «4,90 in edicola con La Stampa martedì 2 marzo

Luoghi citati: Inghilterra, Messico, Oakland, Parigi, San Francisco, Stati Uniti