Bonifacio VII gran malefico? Lo storico smonta le dicerie di Giorgio Calcagno

Bonifacio VII gran malefico? Lo storico smonta le dicerie Bonifacio VII gran malefico? Lo storico smonta le dicerie Giorgio Calcagno PER Dante era (do principe dei novi Farisei». Secondo un discepolo di Celestino V il suo nome originario, in greco Benedictòs, corrispondeva al numero 666 dell'Apocalisse, la bestia dell'Anticristo. Secondo Guglielmo di Nogaret, consighere di Filippo il Bello, il nome papale Bonifacius andava letto al contrario, Malefacius: H Malefico, ispirato dal demonio. E ci fu chi, fra i cardinali, disse di peggio: accusandolo di simonia, idolatria, sodomia; soprattutto - defitto più grave di ogni altro, per un papa - di eresia. Ma Bonifacio Vili, sul trono di Pietro dal 1294 al 1303, non era, nulla di tutto questo. Papa discutibile, certo, nepotista, avido di ricchezze, osteggiato per ragioni politiche, errori stonci, rivalità personali. E insieme di indiscutibile grandezza, anche nelle ombre della sua azione. Chi ce lo dice è uno degh studiosi più accreditati in questo campo: Agostino Paravicini Bagliani, già «scriptor» della Bibhoteca Vaticana e oggi direttore della Rivista di storia della Chiesa in Italia. Di lui possiamo fidarci: ha vagliato per anni tutte le testimonianze credibili respingendo le sospette, interessate o spurie. E smonta molte dicerie. Benedetto Caetani, anche grazie al suo grande nemico Dante, è uno fra i papi più conosciuto della storia: ma non sempre, ci spiega il suo biografo, nel modo giusto. Tutti ricordano la sinistra leggenda del cardinale Caetani che di notte, con una cornetta, mandava messaggi a Celestino V, appena eletto papa, fìngendosi l'angelo di Dio: «Pietro da Morrone, se non dai le dimissioni andrai all'inferno». Episodio suggestivo, che getta ima luce paurosa su quelle tenebre. Peccato che non sia vero. E «il consiglio frodolente» chiesto da Bonifacio vm a Guido da Montefeltro per radere al suolo Palestrina, roccaforte degli odiati Colonna? Non è vero neppure quello, anche-se Dante ci costruì uno dei pezzi più memorabili della Commedia. Sarà vera almeno l'invenzione del Giubileo, che da sette secoli la storia gli attribuisce? Piano, consiglia lo studioso. Al Giubileo papa Caetani non pensava, in quell'alba del 1300. Solo quando seppe delle voci circolanti in Roma, che davano per imminente un grande perdono dei peccati, fece sua l'attesa del popolo, e diede l'annuncio. Naturalmente dietro ogni leggenda c'è un po' di verità, anzi molta. Vero che Bonifacio perseguitò Celestino V dopo le dimissioni, facendolo morire di freddo e di stenti nel carcere di Castel Fumone: perché la concorrenza di quel papa ancora in vita, venerato dal popolo, gh suonava come una minaccia. Vero che, anche senza Guido da Montefeltro, Bonifacio scatenò una insensata guerra contro i Colonna, per rispondere a una loro provocazione: andando al di là di ogni misura, specie per un papa. Ma il Giubileo, di cui si era così prontamente impadro- nito, in un perìodo per lui crìtico, lo riportò in alto: a un vertice di potere quale nessun papa aveva mai raggiunto. L'uomo aveva un eccezionale senso dell'autorità, da lui impersonata, identificando la Chiesa con la sua figura pontificale. E difese sempre la dottrina delle due spade che riteneva di avere ereditato da San Pietro: una per il potere spirituale, da esercitare in proprio, l'altra per il temporale, da delegare ai re; che avrebbero comunque dovuto ubbidirgli. Qualcuno, in quei tempi di ferro, non fu così ubbidiente. Sorprende che un uomo tanto accorto, maestro di diritto, fondatore dell'Università di Roma, non abbia saputo calcolare i rapporti di forza quando lanciò la sfida decisiva a Filippo il Bello, nel 1303. E sarebbe stata la sua rovina. E' la storia dello «schiaffo di Anagni», una pagina che nel libro sr colora di tinte drammatiche: quando le milizie romane der Colonna e le francesi del Nogaret penetrarono nel palazzo papale, per impadronirsi del vecchio pontefice. Bonifacio, rimasto solo, non cedette alle intimidazioni. «Ecco il collo, ecco la testa», avrebbe detto, pronto a farsi decapitare. Lo salvarono gh anagnini, accorsi a liberarlo il giorno dopo. Ma l'uomo era ormai alla fine, non sarebbe sopravvissuto a quella umiliazione, per il suo orgoglio più dura della mannaia: morì tre settimane dopo il ritorno a Roma. Con lui finiva il grande papato del Medio Evo; si preparava, anche perla Chiesa, un'altra storia. il papa che Dante definì «lo principe dei novi Farisei», pur tra molti errori, governò la Chiesa con indubbia autorevolezza Bonifacio Vili: su di lui un saggio di Agostino Paravicini Bagliani Agostino Paravicini Baglianì Bonifacio Vili Einaudi pp.XXV-429,e35 S A G G

Luoghi citati: Anagni, Fumone, Roma