Tutto il fascino della Nuova Musica ma dove sono i grandi maestri?

Tutto il fascino della Nuova Musica ma dove sono i grandi maestri? INTERESSANTE CICLO RAI SUI GIOVANI COMPOSITORI Tutto il fascino della Nuova Musica ma dove sono i grandi maestri? Paolo Gallarati Il pubblico del ciclo Rai Nuova Musica non è molto folto ma è diverso dal solito: d sono giovani, erniosi di capire dove va la musica e diversi appassionati che non seguono le normali stagioni e non hanno la paura, né la pigrizia di esplorare territori sconosciuti. Una pigrizia, forse, indotta, nel pubblico degli abbonati, dallo stesso repertorio, divenuto negli ultimi anni piuttosto ripetitivo, e anche dal fatto che nella musica del secondo 900 le ultime stagioni hanno privilegiato musicisti di secondo piano, trascurando i maggiori e privando il pubbhco della conoscenza di capolavori capaci di convincere anche i riottosi che la musica contemporanea si può godere come quella dei grandi classici del passato. Quello che manca, insomma, sono i grandi lavori di Petrassi, Dallapiccola, Nono, Berio, Madema, Bussotti, CastigUoni, Evangelisti, Clementi, Donatoni, Stockhausen, Boulez, Kagel, Penderecki, Kurtàg, Schnittke, e l'elenco non finisce qui. Ogni tanto si sente qualcosa, ma sono di solito lavori brevi, poco impegnativi, che spiccano, tuttavia, per qualità fuori del comune e lasciano più acuto il desiderio di ascoltare altro. Fa :olo paiziale eccezione a questa tendenza, la stagione che la Rai dedica alla Nuova Musica e che offre un interessante panorama di giovani compositori. Una via lastricata di buone intenzioni, senza che spicchi peraltro una personalità in grado di competere con i maestri del recente passato. Lo pensavamo l'altra sera, verificando con quale autorità e straordinaria presenza il vorticoso, geniale, vitalissimo e fantastico «Esalln Cauda V)» di Franco Donatoni, una strepitosa arlecchinata di lazzi e risate, spiccava su «Temporale distante» di Jonathan Cole e «Zig-zag Etudes» di Yan Maresz, ben scrìtti, suadenti e di bell'effetto sonoro, ma rappresentativi di una lingua comune più che di una personalità individualizzata. Più forte è parso «Upon a Biade of Grass», lungo concerto per pianoforte e orchestra di Marco Stroppa, di rara magia sonora, favolose risonanze, echi lontani, e poi raffiche, boati, colpi di vento. Il pezzo è impressionante, anche se un po' prolisso e l'orchestra, il direttore Pascal Rophé e il pianista Pierre-Laurent Aimard lo hanno portato al successo.