Ravanelli: noi giocavamo soltanto di Marco Ansaldo

Ravanelli: noi giocavamo soltanto L'EX BIANCOCELESTE RIEVOCA I «MOMENTI ESALTANTI» DELL'ANNO DELLO SCUDETTO Ravanelli: noi giocavamo soltanto «Proprio non sapevo da dove venissero i soldi» intervista Marco Ansaldo FABRIZIO Ravanelli, attaccante, 36 anni, oggi gioca nel Perugia, la squadra della sua città, ma è uno dei calciatori che passarono per la Lazio nella stagione più brillante della gestione Cragnotti, quella che coincise con lo scudetto e la Coppa Italia. Vittorie e premi, gol e denari. Anno 2000. Un periodo sul quale si concentra l'attenzione dei magistrati e dei finanzieri che scrutano dentro il fallimento della Cirio. «Da sportivo capisco poco di queste cose. Invece ricordo i successi straordinari e una società che funzionava benissimo», dice Ravanelli. Sembra che questo fosse possibile perché Cragnotti prendeva i miliardi dalla Cirio e li girava alla Lazio, ne sa nulla? «Noi sapevamo, come tutti, che Cragnotti era il padrone della Cirio e di molte altre cose. Lo scrivevano i giornali. E non ci preoccupavamo di conoscere da quale delle sue attività venivano i soldi: era un grande industriale, un finanziere rispettato e che operava alla luce del sole». Neppure quando vi pagarono il premio dello scudetto vi fu detto che erano soldi della Cirio? «No. Almeno non fìi detto a me come, penso, a nessun altro. Io avevo un contratto con la Lazio e la Lazio mi dava quanto mi spettava. Mica c'era il timbro di dove provenivano i soldi». E se sugli assegni o nei bonifici ci fosse stata ima traccia della Cirio lei si sarebbe stupito? «Mah, non penso. Era una società di Cragnotti. E comunque chi sapeva cosa stesse per succedere alla Cirio? Leggo che non lo sapevano le banche, figuratevi cosa potevo capirne io». Ricorda a quanto ammontava il premio per lo scudetto? «Sinceramente no. Credo che fosse una cifra in linea con gli altri club e chi sta valutando i bilanci lo saprà». C'era in quel 2000 la sensazione di un fallimento imminente? «Tutt'altro. Era un bel periodo anche se fu breve perché a fine stagione mi trasferii al Derby County in Inghilterra. Ero arrivato alla Lazio nei primi giorni di gennaio di quell'anno grazie al bel gesto di Cragnotti». In che senso? «Allora giocavo nel Marsiglia. Però mio padre stava male, volevo stargli vicino e in Francia non mi sentivo tranquillo. Telefonai a Eriksson che allenava la Lazio, gli spiegai le mie difficoltà e chiesi se avesse bisogno di uno come me. Lui ne parlò a Cragnotti che fu d'accordo a prendermi. Gliene fui grato». Cragnotti era un presidente generoso? «Io ne ho un ricordo molto positivo e mi dispiace sapere . che passa dei gviai. Ai\a X.azio \ non faceva mancare nulla, era ima società bene organizzata e penso che lo sia ancora visto che con tutto il chiasso che si è fatto sui suoi bilanci, la squadra ottiene grossi risultati. Lo ripeto ho vissuto momenti esaltanti, vinsi il secondo scudetto dopo quello con la Juve. Fu bello il giorno in cui festeggiammo i cent'anni della società». Cosa successe? «Era il 9 gennaio, giocammo in casa contro il Bologna e vincemmo 3-1. Io segnai un gol, il primo davanti al mio nuovo pubblico. Fu un bel momento, mi sentii amato. Cragnotti aveva anche organizzato il dopopar tita: restammo in campo per giocare contro una squadra di vecchie glorie e di gente della Lazio che forse non aveva mai giocato al pallone». Compreso Cragnotti? «Appunto. Si vedeva che non aveva molta dimestichezza. Segnò un gol: su rigore». Inventato? «Faccia lei. Il presidente lo volle tirare e nessuno naturalmente si oppose. Sì, fu una giornata molto allegra. Non avrei immaginato di ritrovarmi, appena quattro anni dopo, a parlare di fallimenti e di vicende giudiziarie. Davvero, mi mette molta tristezza». «Il Patron era un grande industriale e finanziere, operava alla luce del sole Con me fu generoso Quando glielo chiesi mi prese dal Marsiglia per farmi stare vicino a mio padre malato» Fabrizio Ravanelli