Jack London un po'socialista un po' Superuomo

Jack London un po'socialista un po' Superuomo «MARTIN EDEN» NELLA COLLANA DEI CLASSICI LA STAMPA: ROMANZO SCRITTO IN UN MESE DI NAVIGAZIONE NEI MARI DEL SUD Jack London un po'socialista un po' Superuomo Le sue storie proletarie e di lotta per la sopravvivenza furono rifiutate nel clima puritano e perbenista dell'epoca Oggi è lo scrittore americano più venduto nel mondo Roberto Dulz JACK London aveva 30 anni e già molti successi letterari alle spalle quando, nel febbraio del 1906, cominciò à far costruire lo yacht che si sarebbe chiamato Snark e col quale voleva fare il giro del mondo. Ci volle più di un anno prima del varo e, nel frattempo, il terribile incendio che distrusse San Francisco (documentato dallo scrittore in un memorabile reportage per la rivista Collier's) aveva fatto quadruplicare i costi. Di nuovo carico di debiti, assieme alla seconda moglie Hessie Maddem, tolse gh ormeggi. Destinazione Hawaii e isole dei Mari del Sud. Produttivamente prolifero, soprattutto, il tratto da Honolulu a Typee, nelle isole Marchesi, quasi un mese di navigazione senza vedere altro che mare in cui Jack London, tra un attacco di malaria e un altro, scrisse il romanzo che avrebbe intitolato col nome del suo protagonista: Martin Eden, che poi altri non è se non egli stesso una decina d'anni prima. In 120 mila parole eccolo, dunque, il Jack marinaio ventenne che si era imbarcato per la prima volta a 17 anni, biondo e forte, rozzo e incolto, per il quale la vita fino ad allora non era stata altro che «avventure, pericoli, lavoro da romper le reni, colpi d'audacia disperata». Tira fuori da una rissa che si stava mettendo assai male un suo coetaneo, il quale, per ringraziarlo e approfondire un' amicizia nascente, lo invita nella sua casa di ricco borghese. In chiave narrativa comincia qui la nuova avventura, tra arredi e oggetti inadatti alla sua andatura ondeggiante, alle sue spalle larghe e alle mani callose. Intimidito, quasi impaurito. E infine incantato dall'apparizione di lei, Ruth, meravighosa creatura che avrà il merito di indurlo a indirizzare altrove i suoi sforzi, studiando, scrivendo e diventando uno scrittore di fama e successo, unica dimensione, per lui, in grado di consentirgli quel salto di classe sociale necessario per meritarla. Poi, naturalmente, come tutte le storie londoniane, finirà male anche questa. Irriducibile, London, nell'ingaggiare qualunque battaglia per conquistare qualcosa e meticoloso nel dissipare ogni conquista. Alla pubblicazione nel 1909, Martin Eden fu accolto col solito entusiasmo dal pubblico e con la solita ostilità dalla critica americana. Niente da fare, l'ambiente accademico, perbenista e puritano, non tollerava quel ragazzo pieno di energia, dalla scrittura incalzante e infuocata, che raccontava storie proletarie e di lotta per la sopravvivenza, alla costante e spasmodica ricerca di aura primigenia in un'epoca in cui si dava per conclusa l'epopea della Nuova Frontiera e le città cominciavano a progettarsi come metropoh in cui il nuovo sottoproletariato urbano che ne popola i bassifondi non era ritenuto de- gno di avere voce. Non tollerava il crudo realismo. E poi London dichiarava provocatoriamente di scrivere solo per il danaro. Era californiano, mentre il centro culturale era New York. E, cosa ancora più grave, si proclamava socialista e teneva conferenze a favore della rivoluzione russa, quella mancata del 1905 perché a quella riuscita del 1917 neanche ci arriverà. Comunque dal Partito socialista s'era già dimesso, accusandolo d'inerzia, l'anno precedente la Rivoluzione d'Ottobre, pochi mesi prima di morire, a 40 anni e con una cinquantina di opere pubblicate. L'inerzia è quanto di più incompatibile col mondo e con l'immaginario londoniano, dove tutto è votato alla frenesia muscolare, al movimento continuo, infarcito delle teorie evoluzionistiche di Darwin, di quelle della sopravvivenza del «più adatto» di Spencer e di quehe del Superuomo di Nietzsche, tutte miscelate nel Capitale di Marx: letto nel Grande Nord, tra i cercatori d'oro, dove London incontrò il grosso quadrupede che sarebbe diventato il Buck del Richiamo della foresta, in cui lo scrittore si travestì da cane per raccontare un altro suo spezzone di biografia che gli fece guadagnare il soprannome di «Kipling del Klondike». Figlio illegittimo di un astrologo ambulante, cresciuto nei bassifondi di Oakland, pirata di ostriche nella baia di San Francisco, cacciatore di foche, vagabondo e infine scrittore inesausto, London identificò la scrittura con la vita e viceversa, perennemente sulla strada, come molti altri suoi compatrioti delle generazioni successive, da Ernest Hemingway a John Steinbeck, da John Dos Passos a Jack Kerouac, tutti in debito con lui ma senza mai ammetterlo pubblicamente, forse per timore di essere associati alle sue tante contraddizioni e subire gli stessi dileggi da parte della critica. Certo - al di là delle questioni ideologiche, dell' esasperato individualismo londoniano contraddicente le sue teorie sociali, del guardare il mondo sempre «dal basso», inquadratura che consente di vedere il debole sempre soccombente contro il forte, e l'individuo libero, per quanto Super, perennemente sconfitto dal sistema organizzato - in un contesto in cui «modernità» diventava la parola d'ordine dello sviluppo capitalistico faceva specie l'ostinata ricerca di «primitività» da parte di uno scrittore di strada, avulso dahe élite accademiche, autodidatta. Jack London è lo scrittore americano che ha venduto più copie dei suoi libri nel mondo. Eppure sono dovuti arrivare gli anni Settanta perché venisse tolto dagli scaffali della narrativa «per ragazzi» e collocato nel posto che gh compete, quello di un autore che ha vissuto raccontando, e raccontato vivendo, disperate lotte per la sopravvivenza e lotte di classe, cercando la vita, la cui materia è il movimento, con tale determinazione e intensità da bruciarla. Il suo «bruto delle caverne», descritto nei racconti sulla boxe - non a caso lo sport che ha praticato e idealizzato -, è la materia allo stato puro, la natura contrapposta a un'intelligenza organizzata che la distrugge. Di queir«intelligenza superiore» London diffidava già quando cominciava a manifestarsi. Dunque tornava indie¬ tro per ritrovare l'essenza deUa vita. E oggi che il debole continua a soccombere nei confronti del forte e che l'individuo libero è sempre soffocato dal sistema organizzato, il messaggio di London, ai suoi tempi incompreso, ridiventa attuale, così come le parole di Irving Stone, uno dei pochi intellettuali americani ad avere spezzato una lancia in suo favore in tempi antecedenti alla «riabilitazione»: «Se avesse potuto sapere che Martin Eden avrebbe ispirato un'intera generazione di scrittori americani, se avesse potuto sapere che trent'anni dopo Martin Eden sarebbe stato considerato da migliaia di lettori il più grande romanzo americano, London non si sarebbe lasciato spezzare il cuore sul trattamento riservato a quello che ha sempre considerato il suo libro migliore». Un mondo dove tutto è movimento e frenesia muscolare, dominato da un esasperato individualismo Soltanto negli Anni 70 è stato tolto dagli scaffali della narrativa per ragazzi Da Hemingway a Kerouac tanti in debito con lui Jack London fotografato con la moglie durante una navigazione Glenn Ford in una scena del film Martin Eden diretto nel 1942 da Sidney Salkow

Luoghi citati: Hawaii, Honolulu, New York, Oakland, San Francisco, Typee