«Niente class action e più fiducia neirautodìscìplìna» di Francesco Manacorda

«Niente class action e più fiducia neirautodìscìplìna» IL DIRETTORE DELL'ASSONIME PROPONE ALCUNE MODIFICHE PER IL TESTO A PARTIRE DALL'ELIMINAZIONE DEL REATO DI «NOCUMENTO» «Niente class action e più fiducia neirautodìscìplìna» Vlicossi: il Parlamento non perda tempo con le nuove regole sul risparmio intervista Francesco Manacorda IL tempo stringe. Sarebbe pericoloso pensare di approvare il disegno di legge sulla tutela del risparmio solo dopo la prossima tornata elettorale». Stefano Micossi, direttore generale dell'Assonime - l'associazione presieduta da Vittorio Merloni che riunisce le società per azioni italiane chiede alla politica di agire in modo rapido e incisivo «con poche misure efficaci da approvare prima di Pasqua, che riguardino gli obblighi di trasparenza delle società, i controlli interni ed estemi ad esse e il ruolo della Consob». E mentre dice di no ad ■ alcune misure già contenute nel testo del governo - è il caso del reato di nocumento-del risparmio - o alle proposte che circolano in Parlamento, come quella di istituire la class action all'italiana, toma a difendere quella forma di normativa «soft» che è l'autodisciplina delle società quotate in Piazza Affari per quel che riguarda la «corporate govemance». Partiamo dalla govemance. Che senso ha parlare di successo dell'autodisciplina dopo una Pannalat che aveva tutti i comitati previsti dal Codice Preda? «L'autodisciplina serve moltissimo, ma in tutti i mercati si è affermata lentamente sotto la spinta degli investitori, specie quelli istituzionah. E ciò che è mancato in Italia è stata proprio la pressione del mercato. La govemance di Cirio avrebbe dovuto mettere in allarme il mercato per l'assoluta mancanza di informazioni elementari. Quella di Parmalat era molto trasparente, ma avrebbe dovuto mettere in allarme perché i consiglieri di amministrazione esecutivi stavano anche nel comitato di controllo. Insomma le informazioni consentivano a un mercato esigente di chiedere chiarimenti e indagare sull'adeguatezza del sistema dei controlla. Invece nessuno ha chiesto nulla; né il mercato, né le autorità di vigilanza né la stampa specializzata». Un banchiere come l'anunìnistratore delegato di Unicredit chiede l'enforcement del Codice Preda. Assonime non pensa che ci vogliano sanzioni effettive per far funzionare l'autodisciplina? «La sanzione che applica il mercato è quella reputazionale. Anche per questo abbiamo deciso di rendere pubblica l'analisi annuale che facciamo, e che prima tenevamo riservata, sulla qualità della govemance nelle società quotate». Con quali risultati? «Nel 2003 la situazione complessiva della govemance è molto migliorata. Ci sono informazioni più precise sul funzionamento degli organi intemi, i poteri e il sistema dei controlli, mentre il sistema continua ad essere debole sugli amministratori indipendenti e le deleghe degli amministratori esecutivi e ai criteri per identificare le operazioni con parti correlate e quelle potenzialmente in conflitto. Poi il riferimento alle singole società spetta alla Borsa, alla stampa specializzata e agli analisti che sanno leggere e possono segnalare anomalie». Proprio qualche giorno fa l'amministratore delegato di Borsa Italiana Massimo Capuano segnalava la scarsezza di analisi sui titoli quotati nel segmento Star. Perché pensare che gli analisti debbano fare la ma per studiare la govemance delle società? «La nostra opinione, che la Borsa | non condivide, è che il primo soggetto in grado di analizzare queste informazioni è proprio Borsa Italiana. Ha tutte le competenze per farlo, talvolta spedisce anche lettere di richiamo alle società che non rispettano le regole. Insomma, non vedo perché la Borsa o meccanismi creati al suo intemo non possano aiutare a rendere l'informazione sulla govemance più trasparente. La storia del Nyse, del Nasdaq, della Borsa londinese, è quella di mercati autoregolamentati e in origine, ad esempio, il Nyse aveva regole molto più severe di quelle della maggior parte delle Borse europee». Il caso Parmalat spinge anche ad un'altra riflessione: impresa familiare è sinonimo di cattiva govemance o scarsa trasparenza? «No, questo no. Non c'è alcun motivo che impedisca a un'azienda familiare di dare informazioni trasparenti. La Merloni, proprio per prendere ad esempio la società del presidente di Assonime, ha beneficiato enormemente della trasparenza della sua govemance, anche in termini di aumenti della quotazioni. Esiste invece il problema di quelle imprese famihari che vanno in Borsa ma non si aprono veramente al mercato. Il loro obiettivo è piuttosto regolare i rapporti di successione o a volte di rientrare da un'esposizione eccessiva dopo una fase di crescita. Di solito hanno poco flottante e famiglie molto articolate che riempiono i cda non perché sono tutti d'accordo ma perché sono tutti in disaccordo. Non hanno necessariamente una govemance non trasparente, ma una governance inefficiente». Voi in sostanza attribuite gli insuccessi dell'autodisciplina alla scarsa aggressività del mercato. Ma le chiedo ancora: davvero tutto si può risolvere contando sull'impegno volontario delle società? Non sarebbe meglio avere forme di disciplina più cogenti? «Qualcosa si può fare. Ad esempio pensiamo che la norma sugli amministratori indipendenti possa essere messa nella legge sul risparmio - stabilendo che un terzo dei consiglieri debba essere indipendente - perché le società hanno faticato troppo a rispettare la raccomandazione su base volontaria. Ma più in generale la pressione del mercato è essenziale perché le società siano spinte a migliorare la loro govemance. Vada a vedere che cosa succede nei consigli delle società anglosassoni e vedrà con che decisione gh amministratori indipendenti chiedono di valutare le scelte sottoposte al consigho. Da noi, in molti casi, un atteggiamento simile viene considerato poco educato. C'è un'abitudine a tenersi la mano che fa molto parte della nostra cultura, mentre ci vorrebbe un po' di cultura anglosassone». Tanta mitezza degli investitori istituzionali - non è una novità - dipende anche dal fatto che in grande maggioranza sono controllati dalle banche... «Il sistema dei fondi si sta muovendo grazie ad Assogestioni, di questo bisogna dare atto. Certo, lo strumento tipico di segnalazione di anomalie o di opposizione da parte degli investitori istituzionah nel sistema italiano resta la lettera del presidente di Assogestioni, e non il consigliere indipendente che alza la mano in consigho. Evidentemente il professor Cammarano ha delle informazioni dai suoi associati che gh consentono di scrivere queste lettere, ma gh stessi associati non sollevano il problema nei consigh di amministrazione perché ...ciò sarebbe giudicato sconveniente. Sì, in effetti l'intreccio dei rapporti tra banche e fondi può non aiutare, ma la verità è che i gestori - anche se ci vuole abitudine, tempo e cultura - stanno diventando più autonomi e stanno cominciando ad alzare la voce. Del resto sei risparmiatori pretendessero dai fondi nei quali investono i propri risparmi più trasparenza non solo sulla loro governance, ma anche sulle regole d'investimento e su come si comportano nei consigh delle società di cui hanno quote importanti, tutto il sistema' ne beneficerebbe. Ma i nostri risparmiatori non. sono abituati e queste cose non si impongono per legge». Che manchi una cultura del mercato, anche tra i risparmiatori, lo dicono in molti. Ma in attesa che questa cultura si formi, che si fa? «Noi ci aspettiamo che Assogestioni e gh intermediari in generale adottino misure serie e incisive sulla trasparenza dei rendimenti e deUe pohtiche d'investimento. L'Abi ha già fatto passi da gigante sulla trasparenza, anche se la gente tende a sottovalutare questi impegni. Del resto le crisi servono per far emergere i punti deboh, dappertutto la regolamentazione del sistema finanziario si è sviluppata così. Dopo questa crisi è evidente che anche da noi ci sarà un nuovo salto di qualità nella trasparenza e nello scrutinio del mercato in Italia». Temete che il disegno di legge sulla tutela del risparmio offra anche il fianco a misure demagogiche oaun eccesso di regole? «Sì. Pensiamo che la class action, la figura del nocumento del risparmio e lo statuto del rispanniatore siano tre iniziative su cui riflettere con molta cautela perché rischiamo davvero di paralizzare l'operatività dei mercati finanziari e deUe banche». Ma la class action piace ad esempio sia ad Assogestioni siaaiDs... «E a noi fa spavento perché mette neUe mani di associazioni dei consumatori - di incerta rappresentatività - imo strumento che assomiglia al classico cannone per uccidere una mosca, sottraendo agli individui la tutela dei propri interessi individuali. In un sistema litigioso come il nostro, dove i processi non finiscono mai, il rischio che questo diventi uno strumento come quello dei disturbatori d'assemblea - non vogho usare la parola ricattatorio - è molto alto. Basta che la Consob faccia il suo mestiere e i risparmiatori h tuteliamo benissimo». Sugli eccessi di normazione che cosa vi preoccupa? «Intanto basterebbe che l'Italia recepisse rapidamente la direttiva europea sugli abusi di mercato per realizzare la maggior parte degh interventi che servono. Più nello specifico non c'è nessun motivo di legare le mani alle imprese, basta assicurarsi che l'informazione su quello che fanno sia completa e trasparente. Per questo, come Assonime, difendiamo il diritto deUe aziende a emettere anche titoli "ripugnanti" se vi è un intermediario disposto a sottoscriverle e ad assumeme il rischio. Gh Stati Uniti sono stati ristrutturati grazie ai junk bonds e noi insistiamo moltissimo che l'essenziale non è impedire l'emissione di junk bonds, ma di vincolame la cessione al dettaglio ai rispanniatori individuali. Vorremmo, in questo senso, anche in Italia l'equivalente della Pegola 144 della Sec che prevede Iholding periòd, un periodo nel quale la banca non può ricollocare al pubblico i titoli aziendah che ha sottoscritto (ma li può cedere ad altri investitori professionali, naturalmente). E' un meccanismo che si può costruire in vari modi, ma dato che il cuore di alcuni scandali recenti è stato proprio questo - la vendita ai risparmiatori di titoli che non dovevano finire a loro - il sistema bancario farebbe bene a prendere l'iniziativa di chiedere in prima persona l'adozione di una norma sull'holding period». Voi rappresentate quel mondo delle società che in Italia bussa poco in Borsa e molto in banca. Il rischio che dopo le ultime indagini stia arrivando una «stretta» sul credito esiste o no? «Esiste davvero, perché è proprio neUe situazioni più esposte e in una congiuntura debole così lunga che le imprese hanno bisogno del sostegno deUe banche. Con le iniziative giudiziarie in corso e una vera e propria campagna pohtica contro le banche come quella in corso c'è un serio rischio che le banche tirino i remi in barca. Ci sono società che si troveranno presto a dover rinnovare i loro bond senza rating e che con questo clima potranno avere difficoltà a rivolgersi al mercato. Sarà opportuno il sostegno del sistema bancario. E poi c'è il rischio che venga a mancare quel centro di coordinamento che si chiama Banca d'Italia e che oggi è sottoposta a un aspro attacco, che ne ha indebolito la capacità di orientare le scelte del sistema». Sempre in tema di tutela del risparmio, che ruolo vedete per le diverse autorità e per i rapporti tra di loro? «La debolezza della Consob è quella di non avere poteri di sanzione e deboh poteri di ispezione. Bisogna rafforzare questi aspetti, rafforzando anche organici e dotazioni della Commissione, E in quanto al potere di verifica delle informazioni, noi riteniamo che la Consob lo abbia già. Se su questo aspetto non c'è accordo la legge è l'occasione buona per definirlo esplicitamente. Per quel che riguarda la Banca d'Italia, invece, riteniamo che per la sua stessa credibilità debba essere resa "accountable" rispetto al potere politico - ma verso il Parlamento, non verso il potere esecutivo - e debba avere un mandato al termine per il Governatore. E più in generale il nuovo ordinamento delle autorità di vigilanza deve basarsi sul principio di attribuire la responsabilità delle decisioni in modo univoco, senza veti o blocchi reciproci. Le "doppie chiavi" bloccano le decisioni e non aiutano». (jjLÉL E' mancata "" in Italia la pressione del mercato sulle società. Nel caso della Cirio, la govemance avrebbe dovuto mettere in allarme perché i consiglieri erano anche nel comitato di controllo Invece nessuno A A ha chiesto nulla 77 Ife^fe La Borsa non "" è d'accordo ma è il primo soggetto in grado di analizzare le informazioni relative alle aziende quotate sul listino La scarsa trasparenza non è legata al fatto che l'azionista è una famiglia 99 Il direttore generale dell'Assonime, Stefano Micossi

Persone citate: Cammarano, Cirio, Massimo Capuano, Stefano Micossi, Vittorio Merloni

Luoghi citati: Assogestioni, Italia, Stati Uniti