Un anno fa iniziava la fine delle nuove Brigate rosse

Un anno fa iniziava la fine delle nuove Brigate rosse CONFLITTO A FUOCO PERSE LA VITA ANCHE IL TERRORISTA MARIO GALESI Un anno fa iniziava la fine delle nuove Brigate rosse Alto il prezzo: la morte del sovrintendente Emanuele Retri ucciso sul treno Roma-Firenze il 2 marzo 2003. Venne però arrestata Nadia Lioce e fu sequestrato materiale fondamentale per le indagini analisi ROMA ANCHE l'Italia, quella domenica mattina, si svegliò con il fiato sospeso guardando a ciò che stava accadendo in Iraq. Erano giorni convulsi nei quali il momento della verità si siava velocemente avvicinando. I giornali titolavano: «Saddam distrugge i primi missili. Ma per Bush è soltanto l'ultimo inganno del dittatore». Alle 8,25 di quella domenica, però, era il 2 marzo del 2003, in una carrozza semideserta del treno «2304», il diretto Roma TiburtinaFirenze, accade l'imprevisto: una pattugha della Polizia ferroviaria - Emanuele Petri, Bruno Fortunato e Giovanni Di Fronzio -, salita sul treno a Terontola, chiede i documenti a una coppia di viaggiatori. Le carte di identità di Rita Bizzarri e Domenico Marezzi hanno un che di strano, i loro numeri sono progressivi, le foto spillate, i dati scritti a mano. Emanuele Petri chiama con il cellulare il Ced di Firenze, per un controllo sui nominativi. Attimi di tensione. L'uomo si alza in piedi ed estrae una pistola. La donna disarma il sovrintendente Petri e urla agli altri di consegnarle le pistole. Di Fronzio getta la sua a terra, nasce una violenta colluttazione. In quegli attimi, in contemporanea. Marozzi apre il fuoco contro Petri e Fortunato contro l'uomo. Prima di stramazzare a terra. Marezzi riesce a colpire anche Fortunato, che rimane ferito. Rita Bizzarri, ormai ammanettata, viene portata in questura, ad Arezzo, Domenico Marezzi, che è in fin di vita, in ospedale, dove morirà poco dopo. Per il sovrintendente Petri, purtroppo, non c'è nulla da fare. Intorno a mezzogiorno, davanti al procuratore della repubbhca di Arezzo, la donna declina la sua vera identità: «Sono Nadia Desdemona lioce, nata a Foggia il 29 settembre 1959». Soltanto qualche giorno dopo dichiarerà la sua identità pohtica: «Come militante delle Brigate Rosse per la Costruzione del Partito Comunista Combattente dichiaro di non conoscere l'autorità di questo Stato...». Le impronte digitali dell'uomo deceduto in ospedale restituiscono la sua vera identità: è Mario Galesi, nato a Macerata il 23 agosto del 1966. Mario Galesi e NadiaDesdemona lioce erano ricercati dal 22 ottobre del 2002, contro di loro il gip di Roma aveva emesso un'ordinanza di custodia cautelare per partecipazione alla ((banda armata denominata Br-Pcc». Finalmente, anche se pagando un prezzo altissimo con la morte del sovrintendente Petri, a quattro anni di distanza dall'omicidio del professore Massimo D'Antona, le forze di polizia avevano raggiunto un primo risultato: con la cattura di Nadia lioce e Mario Galesi e, soprattutto con il materiale loro sequestrato, avevano acciuffato il bandolo della matas- sa brigatista che, a un anno di distanza da quella tragica spara-1 toria, è ormai (quasi) dipanata. Quel 2 marzo del 2003 segna così l'inizio della fine delle nuove Brigate Rosse. UN PALMARE E UN BIGLIETTO Al momento dell'arresto, i due brigatisti avevano con loro i documenti di identità contraffatti, che facevano parte di uno stock rubato in bianco il 10 marzo del 1999, a Casape, vicino Roma, delle chiavi, biglietti del treno e di autobus, schede telefoniche pubbliche, foglietti contenenti vari appunti, due computer palmari Psion, un bighetto da visita della società «Graphocard-Strabilia», una scheda prepagata Telecom che era stata utilizzata per chiamare questa società. Il grimaldello per entrare all'interno del mondo delle Brigate Rosse, e neutralizzarlo, non è stato un pentito, così come pure era successo in alcuni momenti del ventennio del terrorismo rosso, ma il computer, il bighetto da visita e la scheda prepagata. Anzi - non sembri fuoriluogo il paragone -, il palmare ha consentito, così come con Tommaso Buscetta per Cosa nostra, di conoscere frammenti di vita dell'organizzazione, la sua struttura, il suo dibattito interno ma non i suoi protagonisti (mentre Buscetta, come è noto, ha fatto arrestare centinaia di mafiosi). I volti e i nomi sono venuti fuori nei mesi successivi grazie ad una classica indagine di polizia. Dunque, il palmare. Impenetra- bile, per i suoi sistemi di protezione. Ma fino a un certo punto, perché aveva una memoria aggiuntiva flash dalla quale è stato possibile estrapolare una copiosa documentazione: 106 documenti di testo, molti dei quali uguali tra loro. Tra questi documenti, il processo interno alla «compagna So», la pisana Cinzia Banelli, la preparazione della rapina di via Torcicoda a Firenze, la discussione intema dalla quale si ha la confenna che le Br, i Nipr e i Npr sono la stessa cosa. Insomma, si riescono anche ad intuire i livelli organizzativi delle Br, la scarsezza di militanti, la presenza di molti «irregolari» ma, per quanto riguarda la loro individuazione, ci si deve accontentare soltanto di una ventina di sigle. Ai fini dei risultati investigativi, che hanno consentito lo smantellamento dell'organizzazione delle Br - anche se all'appello mancano ancora alcuni fiancheggiatori - sono risultati decisivi, invece, il ritrovamento del bighetto da visita e la scheda telefonica prepagata che, come le molliche di pane di Pollicino, hanno portato gli investigatori a individuare i brigatisti. Dunque, a fare tana. E' il bighetto della «Graphocard-Strabilia», una società che fa manutenzione di computer palmari, che segna la vera svolta delle indagini. Perché, controllando con una pazienza certosina le quasi ventimila schede di assistenza tecnica dei palmari Psion di quella società, gh uomini della Digos hanno trovato quella di uno dei due palmari sequestrati il 2 marzo scorso. E quella scheda era intestata a Luisa Martini, alias Nadia Lioce, che aveva lasciato come proprio recapito il numero cellulare 338.4658955, un numero ormai morto nel marzo scorso ma non prima, per esempio non nel giorno dell'omicidio di Massimo D'Antona, il 20 maggio del 1999. OMICIDIO D'ANTONA Quel giovedì mattina, intorno alle 8,30, il professore era uscito di casa. Via Salaria, altezza civico 121. Un uomo e una donna scendono all'improvviso da un furgone. E' l'uomo a fare fuoco. Pochi metri più avanti, una donna, con le spalle rivolte al luogo dell'agguato, fìssa lo sguardo verso via Po. Non si gira, come sarebbe stato naturale, verso gli spari. Uno scooter di grossa cilindrata, con due persone a bordo, lascia via Salaria ad alta velocità. I brigatisti entrati in azione quella mattina erano almeno cinque, secondo quanto hanno raccontato i testimoni oculari. Ricostruendo il traffico telefonico di quel 338.4658955 lasciato da Nadia Lioce alla Graphocart per la manutenzione del palmare Psion, emergono diversi e ripetuti contatti quel 20 maggio del 1999 con altre due utenze: 338.4658958 e 339.4636039. Insomma, è evidente che i tre cellulari corrispondono a utenze di organizzazione. Queste utenze, a loro volta, nei giorni della «inchiesta» nei confronti del professor D'Antona sono state ripetutamente chiamate da cabine telefoniche pubbliche, con schede prepagate. Ed è proprio analizzando le telefonate di queste schede prepagate che si è potuto dare un nome e un volto a un grappolo di brigatisti rossi. Avendo acquisito la certezza, ormai, che l'organizzatrice dell'agguato fu proprio Nadia Lioce, che aveva nella sua disponibilità anche quel 338.4658958 che aveva lasciato come riferimento alla Graphocart. OMICIDIO BIAGI Via Valdonica, a Bologna, la sera del 19 marzo del 2002. Un uomo in bicicletta arriva sotto casa. Due killer si avvicinano sotto i portici. Gambe piegate, braccio destro teso: un colpo, due colpi... Questa volta è toccato al professore Marco Biagi. Nel caso di Bolo¬ gna, a differenza dell'omicidio D'Antona, per risalire ai killer la strada della traccia dei cellulari e delle schede telefoniche prepagate non porta da nessuna parte. Era successo che nel maggio del 2000, con l'arresto del presunto telefonista che rivendicò l'attentato di via Salaria, Alessandro Gerì, diventò di dominio pubbhco che le tecnologie investigative consentivano di individuare le schede telefoniche prepagate, e dunque le loro vite. Le indagini, così, si sono alimentate di luce riflessa, sviluppando gh elementi emersi dall'approfondimento sull'omicidio D'Antona, sulle rapine fiorentine, sulla documentazione ritrovata nel palmare della Lioce e neUe perquisizioni agli indagati. Le Br hanno agito in ((trasferta», non avendo punti di riferimento su Bologna. LA RETATA E IL COVO Nella notte del 24 ottobre scorso, i romani Paolo Broccatelli, Laura Proietti, Alessandro Costa e Marco Mezzasalma, e i toscani Cinzia Banelli e Roberto Morandi finiscono nella rete della polizia. Sono i primi a cadere, nelle ore e nelle settimane successive l'elenco degli arrestati si allungherà: le romane Federica Saraceni e Diana Blefari, i toscani Simone Boccaccini, Bruno Di Giovannangelo, Fabio e Maurizio Viscido. Sono quattordici, in tutto. Per il momento, perché all'appello ne potrebbero mancare ancora a Roma, a Firenze e a Pisa: simpatizzanti, fiancheggiatori, raccordi che vanno neutralizzati per non ripetere la storia, farsa e tragedia nello stesso tempo. I documenti del palmare, quelli sequestrati agli indagati durante le perquisizioni, il materiale ritrovato nel covo di via Montecuccoli a Roma, il 20 dicembre scorso, ricostruiscono la vita e l'identità di un gruppo di killer che rapinava, faceva inchieste sui prossimi bersagli, che parlava di fare la rivoluzione part-time. Un gruppo che dopo la morte di Mario Galesi e l'arresto di Nadia Lioce, gh unici due militanti complessivi dell'organizzazione, prendeva atto della sua crisi: nonostante il «successo» militare e politico, le Br da D'Antona a Biagi non erano riuscite ad aggregare nuove forze. L'epilogo sanguinario di quel 2 marzo del 2003, sul diretto Roma-Firenze, sembra aver chiuso il discorso. Almeno per oggi. Partendo dai computer palmari sequestrati gli investigatori sono riusciti a trovare tracce che riconducevano agli omicidi di Massimo D'antona e Marco Biagi LA RICOSTRUZIONE DELLA SPARATORIA 1 poliziotti della Polfer entrano nello scompartimento in cui sono seduti i br Nadia Lioce e Mario Galesi per controllare i documenti 1 essLpd Il br Mario Galesi estrae la pistola e la punta contro il sovrintendente EmanuelePetrì. Nella sparatoria entrambi restano uccisi. Nadia Lioce è riuscita a farsi consegnare la pistola dell'altro poliziotto mentre Galesi teneva sotto tiro Petri. Nella concitazione, ora viene disarmata e arrestata. Il poliziotto rimane ferito. Il sovrintendente Emanuele Petri La Br Nadia Desdemona Lioce II vagone del treno Roma-Firenze dove ci fu lo scontro a fuoco tra i terroristi e la polizia ferroviaria .