Burton nel Paese delle Meraviglie di Lietta Tornabuoni
Burton nel Paese delle Meraviglie PRIME CINEMA Burton nel Paese delle Meraviglie Lietta Tornabuoni GRAN film, «Big Fish» di Tim Burton evoca nel titolo quel pesce colossale che è (o almeno era) un elemento fìsso nelle vanterie e nelle balle dei pescatori: un simbolo di esagerazione, di invenzione. Ma allude pure all'impossibilità di essere «un pesce piccolo in una vasca piccola», alla necessità di uscire in acque aperte nel vasto mondo. L'amato Tim Burton, 44 anni, compagno di Helena Bonham Carter e padre del loro figlio, autore di «Edward mani di forbice», di due «Batman», di «Mars Attacksl» e del «Mistero di Sleepy Hollow», è sempre stato il più fantasioso e surreale tra i registi americani contemporanei, dotato di una capacità rara di fusione tra realtà e iperbole, tra ingenuità puerile e ironia adulta, tra umorismo e sentimentabsmo: stavolta sembra un poco fuori controllo, sfioro, in qualche momento il patetico o il melenso, ma il film resta ammirevole, mirabolante, divertente. Apparizioni straordinarie: un elefante congelato dentro un iceberg, due gemelle siamesi orientali che danno spettacolo per l'esercito coreano, un gigante mangione e generoso di nome Karl, ima strega con un occhio solo (nell'altro, alzando la benda nera piratesca, si vedono come su un un teleschermo gli eventi del futuro), ima radiosa cittadina Anni Cinquanta dove c'è sempre il sole e tutti camminano a piedi nudi, una banca squattrinata del Texas che rende assai deludente la rapina, un poeta che diventa potente a Wall Street, un circo diretto da Danny De Vito che ogni tanto diventa lupo mannaro. Niente fellinismi, nel film tratto dal romanzo di Daniel Wallace (editore Marco Tropea); magari, invece, la memoria degli accidentati percorsi sorprendenti dei classici anglosassoni «Alice nel paese delle meraviglie» o «Il mago di Oz»; però «Big Fish» è soprattutto originale, come immaginazione e stile. Protagonista un padre sbruffone, fanfarone e mistificatore, narratore di storie incredibili, mitografo della propria vita; nell'infanzia il figlio lo adora, poi lo trova insopportabile («Non ha mai detto una cosa vera»); per non doverlo più ascoltare se ne va a Parigi a fare il giomabsta cronista della realtà e sposa una ragazza francese. Quando toma a vederlo in Alabama, lui stesso sta per diventare padre mentre il padre sta mnorendo. Assistendolo nell'agonia il figlio si rende conto di somigliare al padre, capisce che l'immaginazione ha consentito al vecchio avventure magnifiche e che i personaggi d'invenzione si sono trasformati in persone e amici veri, accetta d'essere lui adesso a raccontare storie incredibili. Allora: padre e figbo, realtà e irrealtà, la narrazione come arte esistenziale di generazione in generazione, la fantasia come respiro indispensabile a vivere, la morte come «la cosa più strana che mi sia capitata». Molto bello. Interpreti perfetti: soprattutto Albert Finney e Ewan McGregor che recitano il personaggio del padre da vecchio e da giovane, ma anche la madre Jessica Lange, il figlio Billy Crudup, Danny De Vito, Steve Buscemi, Helena Bonham Carter strega e innamorata. BIG FISH Di Tim Burton con A. Finney, E. McGregor, B. Crudup, J. Lange, H. Bonham Carter, D. De Vito, S. Buscemi Commedia. Usa, 2003 TORINO, cinema Ambrosio, Eliseo, Medusa, Pathè, Studio Ritz. MILANO, Ducale, Medusa, Odeon (v. o.), Plinius, President, Warner Vili. ROMA, Alcazar, Andromeda, Cineland, Eurcine, Fiamma, G. Cesare, Jolly, King, Maestoso, Uci, Warner Vili. «Big Fish»
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