Giudici, la sfida tra falchi e colombe

Giudici, la sfida tra falchi e colombe OPPOSTE SIA Li TOGHE SIA GLt AVVOCATI INTENPONO SCIOPERARE Giudici, la sfida tra falchi e colombe ROMA E I furibondo Ettore Randazzo, avvocato penahsta, eletto presidente dagh 8500 avvocati iscritti all'Unione deUe Camere Penali: «Noi avvocati non abbiamo né il potere associativo né quello mediatico della magistratura che riesce sempre, da anni, a condizionare il Parlamento. Alcune concessione dei magistrati su punti marginali della riforma sono solo l'alibi per la clamorosa marcia indietro della maggioranza sulla separazione deUe carriere tra pm e giudici. Già si parlava solo di separazioni di "funzioni" ora, sento dire che si cederebbe anche sullo sdoppiamento del concorso iniziale per entrare in magistratura tra chi aspira ad avere una funzione giudicante e chi inquirente. E' pazzesco». Randazzo commenta così i primi risultati del confronto tra l'Anm, Associazione nazionale magistrati e la Commissione Giustizia della Camera che ha all'esame il disegno di legge del ministro della Giustizia, Roberto Castelli, già approvato al Senato, di delega al govemo per la riiforma dell'ordinamento giudiziario. Una legge assai dehcata che modifica un assetto della magistratura ormai vecchio più di mezzo secolo e "semizoppo", dopo le leggi, leggine, e circolari del Csm, Consigho Superiore della Magistratura. Rafforzamento del ruolo della Cassazione; riorganizzazione e gerarchizzazione dell'ufficio del pubblico ministero con più poteri al Procuratore Capo; pirogressione in camera automatica solo per la parte economica le promozioni, invece, per titoh ed esami; pm e giudici su due binari diversi già dal concorso iniziale e, ulteriore concorso, se si vuole cambiare funzione da pm a giudice o viceversa almeno dopo 5 anni e comunque mai nello stesso distretto; nuovi profili di illecito disciplinare (esempio: contro le sentenze "creative"); divieto di partecipazione a qualsiasi dibattito pubblico (salvo attività scientifico, ricreative, sportive: sono i punti salienti della riforma Castelli. «Mi concedono solo la possibilità di andare in palestra», ironizza Francesca La Malfa, magistrato di Cassazione, a Bari che svolge funzioni di primo grado in processi di criminalità organizzata. Bollata dai magistrati perlomeno come un "ritomo all'antico "a prima delle leggi Breganze (1966) e Breganzone (1973) che eliminando esami e scrutini introdussero la carriera automatica, a "ruoli aperti", e smantellarono una concezione piramidale della magistratura («in primo grado si è m prima linea» dice La Malfa) la legge Castelli, così come approvata dal Senato, è vissuta da molte toghe come una lesione ai loro diritti di cittadini e un attacco all'indipendenza e all'autonomia della magistratura (un timore evocato in questi giorni persino da Giulio Andreotti, nonostante le sue a dir poco tormentate vicende processuali a Palermo e Perugia). Di certo il tentativo benedetto dal Presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini - «nessuna riforma contro d magistrati» per evitare lo sciopero - l'I 1 e 12 marzo - dei magistrati contro la riforma e ottenere più mezzi ha almeno prodotto negh ultimi giomi controproposte dell'Anm (tra le altre una norma d'incompatibilità per impedire al pm di fare il giudice nella stessa sede) e promesse di emendamenti al testo del presidente della Commissione, Gaetano PecoreUa, avvocato penahsta, eletto da Forza Itaha. Fidarsi? I vertici dell' Anm si riuniranno il 3 marzo, ultima data utile, in base al codice di autoregolamentazione, per decidere se rinviare o addirittura, come chiede Pecorella, sospendere lo sciopero. «Non abbiamo pregiudizi, il nostro interesse esclusivo è avere una buona legge», dichiara Antonio Patrono, segretario di Magistratura indipendente. Tra falchi e colombe; àudizio- ni, contatti ai vertici dello Stato, rassicurazioni; e autocritiche inusuali fino a pochi anni fa (per esempio, sull'attuale "vuoto valutativo" del lavoro dei magistrati, con i controllati che eleggono nel Csm i loro controllori) si muove da giomi il vertice deh' Anm sapendo di avere un margine di manovra assai ristretto, visto gh umori bollenti della sua base. Solo una chiusura corporativa di una categoria che rifiuta ogni cambiamento? «Tranquilli, i magistrati non sono i feirovieri, anche se scioperano per i cittadini i danni saranno bevi», ribatte duro Giuseppe Di Federico, membro del Csm per Forza Itaha, docente di Ordinamento giudiziario all'università di Bologna. Da anni Di Federico non risparmia niente alle toghe; dalle accuse di scarsa professionalità («entrano in magistratura a 27 anni e arrivano a 75 senza che nessuno valuti il loro lavoro»), ai troppi incarichi extragiudiziali, all'eccessiva politicizzazione. Considerato la vera mente della prima versione della legge («all'inizio hanno copiato dai miei testi», sorride) il professore sostiene che - di mediazione in mediazione - la riforma Castelli conterrebbe ormai innovazioni "modeste". «Ma se passa», avverte Di Federico, «sarebbe un cambiamento epocale. E' la prima volta in 40 anni il Parlamento interviene sullo status dei magistrati; per questo protestano, voghono mantenere il pieno controllo della loro corporazione». Al professore obbietto che la grande maggioranza dei magistrati, di ogni tendenza e grado, è contraria. «Si stupisce?», risponde ancora più duro, «sono come i maiali: tra di loro si mordono ma, se ne tocchi uno, strillano tutti». Paragone non certo destinato a rasserenare il clima. C'erano una volta magistrati, avvocati, professori universitari; élite professionali, selezionate in concorsi diffìcili che, aldilà degh scontri in aula o in punto di diritto, condividevano stili, valori e coltivavano un rispetto reciproco. «Ma oggi "i signori del diritto" non sono più una classe omogenea», spiega Vincenzo Ferrari, preside della Facoltà di Giurisprudenza all'Università degh Studi di Milano, coordinatore della ricerca interdisciplinare "L'amministrazione della giustizia nella società italiana del Duemila" (cofinanziata dal Ministero dell'Università e dalla Statale, i primi risultati saranno presentati in un work-shop il 19 marzo). Una mutazione profonda, causata da molti fattori («anche l'aumento vertiginoso del numero di avvocati, oggi sono 150 mila», dice Ferrari) che ha frantumato quel vecchio mondo. I troppi intrecci con la pohtica (fino agh anni 70 in Parlamento c'erano solo due o tre magistrati con la carriera bloccata; oggi pullula di giudici in aspettativa e avvocati di inquisiti, più o meno eccellenti) ha fatto il resto. Una materia tanto dehcata come l'ordinamento giudiziario, con i riflessi impliciti sulla vita quotidiana dei cittadmi, vorrebbe maggior serenità, nessun preconcetto. «Con tutta la buona volontà questa riforma è insostenibile», confessa Renato Bricchetti, gip a Milano, pur se «contrarissimo allo sciopero, anche perché in questo periodo altri cittadini avrebbero più diritto di noi di protestare». Giudice per le indagini preliminari nell'inchiesta sul crack del Banco Ambrosiano, nessuna tessera di corrente («preferisco studiare») ma candidato, non eletto, di Forza Itaha alle europee del '94, Bricchetti descrive la magistratura come un corpo sostanzialmente sano, in cui alcuni, soprattutto pm, hanno commesso errori («hanno pensato di essere dei leader del cambiamento», denunciò già nel '94) Avverte Bricchetti: «non si può reagire agh abusi di pochi mettendo in crisi la professionahtà di tanti giudici. E poi in questi anni tra noi giudici è cresciuta davvero una cultura della terzietà rispetto alle parti». Francesco Fleury, procuratore aggiunto di Firenze, un magistrato protagonista di tante indagini sulla mafia, in prima linea anche ora nell'inchiesta sulle nuove Brigate Rosse teme inoltre che: «il ripristino dei gradi e degli esami porti molti magistrati a fuggire nel civile e, comunque, ad evitare i processi più difficili e delicati. E' questo che voghono i cittadini?». Un sistema che rischia di produrre un magistrato burocrate, tanto dannoso quanto certi pm "missionari" ed il rischio, poi, che una vera messe di concorsi provochi un enorme "ingorgo organizzativo", come prevede Carlo Guamieri, docente di Sistemi politici e sistemi giudiziari all'Università di Bologna, nonostante tutto tra i più tenaci fautori di un nuovo ordinamento. Ma c'è di più. «Ci sono tanti mezzi a partire dall'impugnazione fino anche ai rimedi più estremi per opporsi all'operato di un magistrato; buttare tutto in sanzioni disciplinari, mi sembra sbaghato. Non solo l'errore di un magistrato non può essere ritenuto sempre una colpa ma temo il rovescio della medagha: un magistrato che viva neU'incubo di un'azione disciplinare», aggiunge Mario Chiavarlo, ordinario di procedura penale a Torino, presidente dell'Associazione per lo studio del processo penale. Infine il capitolo - il più difficile e contrastato della riforma - che mira a garantire la terzietà del giudice in linea con la recente riforma dell'articolo 111 della Costituzione (il "giusto processo"). Secondo l'avvocato Gilberto Lezzi, ordinario di procedura penale, all' università Sapienza di Roma, il codice penale è ormai ridotto come «un vestito di Arlecchino»; inoltre sono tante le distorsioni emerse dall'uso sistematico dell'incidente probatorio, al ricorso al patteggiamento quasi fosse un mezzo per rendere più rapida la giustizia, all'informazione di garanzia che invece di tutelare l'indagato è diventata invece una sorta di condanna preventiva, via mass-media, rito poco civile che si ripete in questi giomi, a undici anni da Mani Pulite nelle inchieste Parmalat-Cirio-banche; imporrebbero un intervento limpido del legislatore. «Prima di fare una riforma non sarebbe stato più logico chiederci che processo penale abbiamo?», chiede Lozzi. Ma a così gravi e complessi squilibri tra accusa e difesa in quello che doveva essere il processo accusatorio, con le prove che si formano in dibattimento, si risponde con una ricetta che dovrebbe garantire effetti miracolosi, la separazione della carriera del pm da quello del giudice. «Se è questo il vero obiettivo della maggioranza di govemo lo si dica apertamente; e l'Anm sbaglia ad alzare un muro perché noi giudici non abbiamo nulla da temere o tantomeno nascondere», dice Massimo Cusatti, giudice del Tribunale del Riesame di Genova, iscritto alla corrente Unità per la costituzione. L'avvocato Gilberto Lozzi aggiunge: «Tutti gli avvocati, indipendentemente dalla loro opinione pohtica, sostengono a spada tratta la separazione. Se ne pentiranno. Io vogho un pm che abbia una mentalità da giudice non da poliziotto». Cusatti e Lozzi, un giudice che non teme di dire i suoi dubbi sulla posizione dell'Anm e un penalista che da tanti anni è iscritto all'albo degh avvocati sono due voci isolate nel deserto. La separazione delle camere tra magistrati requirenti e giudicanti, è un tema ormai sviscerato in anni di convegni e confronti estenuanti tra chi cita l'articolo 107 comma 3 della Costituzione («i magistrati si distinguono fra di loro soltanto per la diversità delle funzioni») e teme che un pm fuori dalla giurisdizione finisca sottoposto al controllo pohtico e chi ribatte con il risultato del referendum del maggio 2000 (il sì alla separazione della carriere raccolse il 71,707o dei votanti) e con l'esperienza di molti altri Paesi - la Francia, e Germania, per esempio - dove le carriere sono separate. Un dibattito ormai avvelenato dai toni spesso apocalittici «mentre», dice Chiavario, «è difficile trarre dalla Costituzione argomenti tranchant in un senso o nell'altro». Torniamo al furibondo presidente dell'Unione Camere Penali. Randazzo ricordando l'impegno a battersi per la separazione preso dall'ultimo congresso degh avvocati, a Palermo, ce Iha con gh awocati-parlamentari («appena eletti dimenticano le nostre battaghe») e anche con Remo Danovi, presidente del Consigho Nazionale Forense, in questi giomi tra i più convinti sostenitori della necessità di evitare uno scontro istituzionale. Infine, con la maggioranza di govemo. «O il presidente Silvio Berlusconi in passato ha mentito o non ha la forza per imporre ai suoi alleati le sue idee». Fine dell'arringa. Ma lo scenario di un mondo pohtico succube della magistratura ha un qualche fondamento o è solo un'invenzione retorica del penalista? La parola a chi sta nei palazzi della capitale. [2-continua] Solo i penalisti insistono sulla separazione delle carriere contrastando il compromesso della separazione delle funzioni Tra le novità che i magistrati più osteggiano c'è la reintroduzione dei concorsi per avanzare nella carriera