Una sfrenata corsa contro il tempo di Pierangelo Sapegno

Una sfrenata corsa contro il tempo LA TRAGEDIA DI CAGLIARI Una sfrenata corsa contro il tempo Dall'espianto all'operazione non possono passare più di tre ore Si vola senza pensare ai rischi con il cuore in una scatola refrigerata E il paziente attende la salvezza già pronto nella sala operatoria la storia Pierangelo Sapegno SU un Cessna che portava la vita sono morte sei persone e un cuore, contro la gugba di una montagna, una mattina di poca luce e poca fortuna. «E' b nostro lavoro», diceva Valentino Martelb, b primario di Alessandro Ricchi, una debe vittime di Caghari. «Ma questi medici hanno fatto più del loro lavoro», gb aveva suggerito uno, b vicino. E lui, no, aveva detto, «è quebo b nostro lavoro». Fare di più. Neba storia del Cessna finito contro b crinale di un monte c'è tutta la normabtà ignorata, c'è tutto b valore sconosciuto deba nostra vita e deba nostra quotidianità, percorsa a volte a ritmi straordinari, mentre ogni cosa attorno e ogni evento continua a rotolare lentamente, perfino banalmente, come se non succedesse mai niente, e come diceva Marco Tiddia ricordando queba volta che passarono ai 150 all'ora davanti ai fori imperiab e agb sguardi sorpresi, o come dice Francesco Fatane raccontando quel viaggio pazzo neba nebbia per arrivare a Novara, contro b tempo e contro la morte. Si corre fuori daba normabtà per riconsegnarla, queba normabtà. Sono le équipes del cuore, quebe che lo prendono, lo portano, lo rimettono, quebe che trasferiscono la vita, che ce la danno e ce la salvano. Sono team senza sogni, banab come la vita, squadre che non fanno mercato e non fanno profitto, che hanno meno mezzi e meno soldi, meno fama e più grane. «Bravi, ma sempre m guerra», come b descrivono gb amici e i cobeghi. In guerra per la vita. Uno dei medici morto ieri, Alessandro Ricchi, 52 anni, modenese, dieci anni fa ebbe un incidente mentre portava un altro cuore da impiantare viaggiando da Sassari a Caghari. Riuscì ad arrivare in ospedale e a operare lo stesso. Quel cuore non poteva aver fatto un viaggio inutbe. Ieri, forse sarà un caso, ma su queba montagna abe porte di Caghari, b cuore è stato l'ultimo che ha smesso di vivere. Era chiuso dentro a un contenitore coperto dal ghiaccio, era freddo e fermo, come dev'essere prima di finire dentro a un altro nome, a un'altra vita. Molte volte ci riescono. Al pericolo non ci si pensa, e lo ripetono quasi con stupore, come se loro se ne accorgessero soltanto adesso, o come se non capissero b senso di una domanda così. Non ci si può pensare. Francesco Fatane, cardiochirurgo abe Molinette di Torino nell'equipe di Antonio Calafiore, aba fine cerca di spiegare quasi in maniera didascalica che «b tipo di lavoro che facciamo ci porta a correre determinati rischi che vengono a volte sottovalutati. Ma è normale, non potremmo fare altrimenti». Il fatto è che in babo ci sono tempi strettissimi e una vita da salvare. «Il cuore è un organo molto debcato che tobera quasi niente l'ischemia», dice Fatane: «Per cui dal momento in cui viene espantiato a quebo in cui viene immesso, al massimo devono passare tre ore. Bisogna correre, non c'è tempo da perdere o da pensare. Per espantiarlo l'operazione dura ab'mcirca un'ora, e un'altra mezz'ora ci vuole per impiantarlo. Resta un'ora e mezza, ed è b tempo che deve durare b viaggio, non un minuto di più. Bisogna andare velocissimi per limitare i danni dovuti ab'ischemia, e a volte si va in aereo, o in ebcottero, a volte si corre a 150 ab'ora neba nebbia, come è successo a noi in tantissime occasioni da Torino a Novara». L'equipe deb'espianto è fatta da due cardiologi e da uno strumentista infermiere, «cbe è quello che passa i ferri in sala operatoria»: questo intervento dura di più ((perché in genere vengono presi molti organi assieme». Il team dell'impianto prevede un capo, un aiuto cardiochirurgo e un anestesista. L'equipe che viaggia è la seconda, deve portare l'organo a destinazione correndo velocissima, «in modo tale da riperfondere b cuore e farlo ossigenare b prima possibbe». Viene messo in un contenitore tipo frigorifero, in una soluzione fredda e con del ghiaccio attorno, per mantenere la temperatura sempre molto bassa. Viaggia bloccato nel tempo, come se dovesse rinascere. In realtà la sua vita continua. «Il cuore arriva ghiacciato e fermo». Riprende a battere nel nuovo corpo, quando ritrova b suo respiro. Attorno a lui ci sono gb uomini che permettono tutto questo, nomi e cognomi, camici e lavoro, che gb ridanno la scansione dell'esistenza, le pulsioni del mondo. Adesso Marco Tiddia, specia- bsta di circolazioni extracorporea, cobega debe vittime di Caghari, prova a ricordare e racconta una realtà di tutti i giorni che noi ignoriamo per inseguire chissà quab storie, quab cronache, quab dolori. «Sento parlare di eroi, ma non so se è b termine giusto, anche perché per me erano innanzitutto degb amici, prima che cobeghi di lavoro. Certo, per chi si impegna come loro in una équipe di cardiochiruighi, la corsa contro b tempo è sempre ai limiti, e qualche volta di più, dei rischi personab. Se penso a loro mi toma in mente questo grande spirito di gruppo cbe si forma in una squadra dove tutti i suoi componenti sono sempre pronti ad accantonare tutto appena arriva la segnalazione di un organo disponibile per l'espianto. Queba che si mette in moto va al di là deb'immaginazione comune e degb stereotipi da telefilm, e non è retorica, questa, perché non c'è niente di finto, ma è tutto vero, ed ha la forza, ha la grandezza di una missione. Non so spiegarlo, ma quando scatta dentro questa moba tutto passa in secondo piano, a combaciare dabe questioni legate aba sicurezza. Sappiamo solo che è in babo una vita umana e che tutto si gioca a volte sul filo dei minuti, per non dire dei secondi». Per questo, abora, su un'auto del Pobcbnico Gemelb sfrecciavano ai 150 ab'ora ai fori imperiab, e per questo ci devono mettere non più di venti minuti per andare dall'Umberto I a Ciampino, ((perché tutto diventa inutbe dopo tre ore». E sempre, per questo, per riportare la vita e la salvezza, una volta, racconta Tiddia, atterrarono a Novara con un elicottero mentre infuriava una bufera di vento e neve, o correvano a più di 180 ab'ora suba Messina-Catania, o partirono da Reggio con b mare in burrasca. Non c'era tempo per pensare, o per aver paura. Sono nomi e cognomi che dimenticheremo in fretta, facciamo sempre così, troveremo qualcos'altro da cantare. Anche ieri sei medici e un cuore hanno fatto così, correndo verso la vita contro la morte. Mancava solo mezz'ora. In auto a 180 all'ora in elicottero nella bufera o in nave con il mare in burrasca perché arrivare in ritardo significa rovinare tutto Un collega dei medici morti in Sardegna «Il nostro lavoro è fare sempre di più» Un chirurgo in camera operatoria

Persone citate: Alessandro Ricchi, Antonio Calafiore, Francesco Fatane, Umberto I, Valentino Martelb