Meglio ottant'anni da Sellerio di Alberto Sinigaglia

Meglio ottant'anni da Sellerio SCHERZACCI, IRONIA, PROVOCAZIONI: INTERVISTA CON IL GRANDE FOTOGRAFO EDITORE CHE DOMANI FESTEGGIA IL COMPLEANNO Meglio ottant'anni da Sellerio «L'Italia di oggi? Pessima. La Sicilia? Ah, santo Dio!» Alberto Sinigaglia PALERMO «USL pugno nello stomaco dice Enzo Sellerie che domani compie 80 anni -, si, comincerei con un pugno nello stomaco. Trascorro questo compleanno con grande rimorso, perché io sono libero mentre Sofri è in carcere da sette anni. Mi pare una cosa indecente. Secondo me l'Italia entrerà in Europa quando Sofri uscirà di galera». Il celebre fotografo e editore siede eretto alla scrivania del suo studio. Accanto ha una testa di bronzo nella cui bocca ha infilato una vecchia pipa di ferro. Alle spalle un pannello con tante cose attaccate, la fotografìa di un gatto di nome Enzo, color miele con righe nere, un'altra fotografìa con Sellerio a New York sulla 5a Strada che ammonisce la sagoma di Reagan. Occhi vivaci come il linguaggio, pochi fili bianchi nei capelli neri, ironico e mordace, è giovanile e impetuoso: «A Palermo c'è il famoso motto: meglio vivere un giorno da leoni che cento anni da pecora. Non è preso molto sul serio. I leoni non vivono a lungo: basti pensare ai giudici, ai pohtici, ai poliziotti assassinati. Un solo leone visse a lungo, in gabbia al giardino di Villa Giulia: si mangiò un palermitano andato a fargli visita». Per molti anni lei è stato assistente di Diritto costituzionale. «Anche senza crederci molto: in Italia lo Stato di diritto è ancora quasi una finzione, soprattutto in Sicilia dove vigeva e vige la teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici, nata per legittimare il Concordato e adottata da queste parti per accettare la convivenza della legge dello Stato con quella della mafia». Finché si rifugiò nella fotografia, tra una RoUeiflex e ima Leica. «Fui spinto da un amico di quei tempi, il pittore Bruno Caruso. Ho fotografato per circa 20 anni, dal 1952 all'inizio degli anni 70. Una rivista svizzera, di piccola tiratura ma di grande prestigio, nel 1961 mi aveva affidato un servizio fotografico su Palermo per un numero monografico che mi aprì le porte di alcune riviste importanti in Europa e in America. E anche le porte della tv tedesca alla quale collaborai, insieme con due fotografi famosi, per un film sulla Germania». Poi approdò all'editoria. «Neanche la fotografìa mi diede molte soddisfazioni. Le riviste morivano o cambiavano, la televisione imperversava. Fu così che, incoraggiato da altri amici, Leonardo Sciascia e Aldo Scimè, sono passato a poco a poco all'editoria. Prima come curatore grafico di una collana dell'Assemblea regionale siciliana. Poi in proprio, fondando assieme a mia moglie Elvira l'editrice di cui curo ancora - anche se dall'83 la casa si è divisa in due sezioni separate - la grafica della quale non sono insoddisfatto». Ha esercitato il mestiere con distacco. «Unendo alla serietà il divertimento. Quando ho pubblicato un volume sulla Valle dei Templi di Agrigento finanziato dal Banco di Sicilia, l'ho portato al presidente insieme con una bilancia. H volume pesava un chilo e 800 grammi. Era un gesto polemico riguardo a quegli editori voraci che davano l'assalto alle banche. Il Banco aveva pubblicato poco tempo prima un volume sulla Fondazione Mormino che pesava 5 chili e 800 grammi. Poteva bastare un volumetto di 200 pagine». Poi ha fatto anche altri scher zi. «Per esempio quando ho avuto la cura grafica di un catalogo sulla mostra di Guttuso del '71. Tra le riproduzioni c'era II ratto di Proser- pina. Allora io ho fatto disegnare da un amico mio un rattone sul cornicione di Palagonia, l'ho inserito in una copia stampata in piena regola e ho portato all'artista il volume pronto. Quando Guttuso ha visto il topo è rimasto allibito: "E questo che cos'è?". Sudava, poverino. Ho pensato che gli venisse un infarto». Ci sono stati editori che lei ha molto ammirato, che ha cercato in qualche modo di emulare? «Perla verità no». Qualcuno che ha invidiato? «No, non ho invidiato nessuno, perché ognuno bene o male fa quello che può. Io ho apprezzato molto Adelphi, ma ha un'altra posizione». E c'è stato qualche editore che ha ammirato davvero? «Ero in buoni rapporti con Einaudi. Ecco, se c'è una persona da ammirare è lui». L'editoria non le ha tolto le voghe di battaglie, di provocazioni? «Quando tornò a galla, non ricordo l'anno, la faccenda di Ustica, io scrissi al comandante Nato di Napoli un telegramma: "Dovendomi recare a Roma per un motivo di lavoro, la prego di assicurarmi la sicurezza del volo AZ... daU'esercitazione degli aerei posti sotto il suo comando". Questa cosa fu riportata dai giomah». Da chi ha ereditato questa ironia? «L'ironia è dote di mia madre russa». Com'era? «Ah! Una donna straordinaria. Era molto intelligente, parlava quattro lingue, leggeva un sacco, era laureata in francese e poi era andata in Germania per perfezionare il tedesco. Lì aveva conosciuto mio padre che, laureato in fìsica a Palermo, si laureava in ingegneria al Pohtecnico di Monaco e entrava alla Siemens di Berlino. Era molto spiritosa. Quando mi fermavo vicino alla finestra diceva: "Togliti, non tutti i vuoti sono trasparenti"». Lei ha avuto anche un'espe- rienza come giornalista? «Io ho iniziato come giornalista, ho scritto alcuni reportage per Paese Sera. Sono stato in Spagna: sei puntate vennero pubbhcate su Paese Sera, Milano Sera eccetera. Ho fatto un paio di servizi sul Festival di Edimburgo per il Nuovo Corriere di Firenze. Poi abbandonai. Non si comportarono molto bene con me, mi scocciai e me ne andai». E oggi come vede l'uso della fotografia nel giornalismo? «L'uso della fotografìa non mi piace affatto. Innanzitutto perché in molti giomah le fotografìe non sono accreditate, questo mi pare scandaloso. In fondo la fotografia firmata qualifica il giornale. Poi perché non trovo francamente che se ne faccia un uso molto selettivo». Che cosa pensa della vecchiaia? Come la vive? «La vecchiaia non è un sentimento, è un fatto anagrafico. C'è un tempo fisico; le cose gravi della vecchiaia sono la stanchezza e che uno non può più fare tutto quello che vuole. C'è un tempo mentale: il sentimento della morte che si avvicina. La valutazione del tempo è completamente diversa da quella che si aveva da giovani. Sembra una banalità, ma la constato giorno per giorno; uno non calcola mai il tempo passato. Io penso siano passati due anni, ne sono passati dieci. Uno cerca di non pensare al futuro, perché se no si suiciderebbe». Che Sicilia vede oggi? ((Ah, santo Dio!». Che Italia vede oggi? «Siamo in un periodo abbastanza brutto. Io vivo di immagine e l'immagine è pessima, tanto a destra quanto a sinistra. È globalmente pessima. C'è una cosa che mi dà fastidio: D'Alema che fa i pranzi con Vissani. D'Alema è la persona più antipatica d'Italia dopo Schifani. Veltroni è molto più simpatico. Ma dico: perché riceve i cantautori? E poi non si può stare a dire: I care. Come si può proporre quale slogan di un partito italiano uno slogan inglese? Certe cose mi fanno sbalordire. L'Italia ha proprio un'immagine globalmente pessima. Tuttavia la speranza è l'ultima a morire». «E un brutto periodo, a destra come a sinistra Mi dà fastidio D'Alema che fai pranzi con Vissani Il nostro Paese entrerà in Europa quando Sofri uscirà di galera» Sellerio in una foto di Nino Giaramidaro Conversazione tra uomini in strada: una foto scattata da Enzo Sellerio nel 1967 a Gela In questa foto del 1967 l'obiettivo di Sellerio ha colto la moglie Elvira e la figlia Olivia