UNGHERIA la biblioteca del mondo

UNGHERIA la biblioteca del mondo DAI GUERRIERI DI ÀRPÀD AL PREMIO NOBEL A KERTÉSZ: ESCE IN ITALIA LA STORIA DELLA LETTERATURA E DELLA CIVILTÀ MAGIARA UNGHERIA la biblioteca del mondo FRA cinema e letteratura, negli Anni Trenta hanno invaso il mondo, non certo al modo dei loro remoti antenati, baffuti e ferocissimi, ma con eguale determinazione: a Hollywood si diceva che per il grande schermo essere ungheresi non era indispensabile, però rappresentava un buon vantaggio. Magiari erano molti produttori, il fondatore della cinematografia inglese, Alexander Korda, e il regista di Casablanca, Michael Curtiz, magiari furono gli scrittori che i nostri nonni divorarono in quel periodo, da Zilahy a Kòrmendi, da Fòldi a Harsànyi, dalla Erdòs a Kosztolànyi,. da Kuncz allo stesso Sàndor Màrai, l'autore di Brad allora popolare, poi dimenticato e ora rilanciato in tutto il mondo dall'Adelphi. Per non parlare di Ferenc Molnàr, ebreo nato sul Danubio, che ci ha dato I ragazzi di via Pài. Scrivevano in una lingua parlata da dieci milioni di persone, e ijer di più misteriosa, barbara e dolcissima, imparentata con turco e finlandese. Roland Barthes, nel celebre Flrammenti di un discorso amoroso, osservava come l'ungherese fosse il solo al mondo a poter dire (do ti amo» con un'unica parola (per l'esattezza, «szeretlek»). Il libro risale agli anni Settanta, ubriachi di sottigliezze strutturaliste; magari non ci offre una rivelazione epocale, ma è vero che tentare in italiano un «amoti» non è esattamente la stessa cosa. Resta il fatto che un pugno di intellettuali, in fuga (perché ebrei o di sinistra) da una piccola nazione in quel momento governata da una dittatura fascisteggiante, riuscirono a imporre un certo modo di fare cinema, di scrivere racconti. C'è nella cultura (e nella storia) dell'Ungerla qualcosa di speciale; lo si intuisce, anche se definirlo è più complicato. Ora ci ha provato Bruno Ventavoli, che ha coordinato una corposa Storia delia letteratura ungherese in due volumi, cui partecipano tutti i magiaristi italiani. Un'opera del genere mancava da tempo: l'ultima pubblicata in Italia fu quella del Tempesti nel '69. Questa, però, ha ambizioni più vaste: attraverso la lente della letteratura guarda al costume, alle vicende politiche, alle idee, raccontandoci un Paese profondamente europeo che, nello stesso tempo, sul filo di una memoria ancestrale, appartiene alle steppe lontane da cui, esattamente nell'896, piombarono nel mondo cristiano quei terribili nomadi guidati dal mitico Aipàd, la cui statua fa bella mostra di sé a Budapest. Come si conviene distrussero città, assalirono conventi, bruciarono e stuprarono, saccheggiarono ori e reliquie e fecero à che nelle preghiere occidentali comparisse l'invocazione: «asagittis Hungarorum libera nos Domine», liberaci dalle fiecce degli ungheresi. Poi vennero contenuti e sconfitti, si convertirono e cominciarono la loro storia «europea», che proprio il prossimo 1" maggio culmina con l'ingresso nell'Unione. Per tanti secoli sono stati un baluardo dell'Occidente, il confine dove si consumavano lotte e contraddizioni: dalle guerre infine perdute contro i turchi al molo non solo simbolico svolto nell'estate dell'89, quando la decisione del governo ungherese (ancora comunista) di concedere il visto per l'Occidente a decine di migliaia di tedeschi dell'Est dette un colpo decisivo al Muro di Berlino. Senza dùnenticare il '56, e la rivolta antisovietica che mise in crisi molti comunisti dell'Occidente. La storia letteraria di Ventavoli (giornalista della Stampa e docente di ungherese all'Università di Torino) è anche, forse soprattutto, un atto d'amore verso un popolo geniale e coraggioso. Per noi lettori è viaggio pieno di sorprese: ad esempio ci offre l'occasione di scoprire la grande letteratura epica fiorita al tempo delle guerre con i turchi, i versi di Balint Baiassi, poeta soldato in una delle innumerevoli fortezze che costituivano una «cortina di pietra» nel Paese. Baiassi narrava combattimenti e amori, come si conviene a un colto ufficiale che spasimava sempre per donne sbagliate, tra l'altro, per la moglie del bano di Croazia, ed è certamente meno noto di Sàndor Petòfi, il grande poeta romantico morto nell'800 combattendo per l'indipendenza, contro gli autriaci. Ma è difficile sottrarsi all'idea che i due rappresentino bene un filone significativo nella storia di un Paese sempre minacciato e spesso asservito, quello doé dei letterati che non disdegnano la spada. I loro eredi potrebbero essere gli scrittori del periodo comunista, da Tibor Déry (Mki, storia di un cane è stato tradotto per Einaudi da Franco Lucentini con Istvàn Mészàros) a Géza Ottlik. Un suo romanzo Scuoia suiia frontiera, è un vero culto non solo in Patria. Peter Esterhàzy, l'autore di Harmonia caelestis (Feltrinelli), per rendergli omaggio, ha ricopiato a mano tutte le cinquecento pagine su un solo foglio, che alla fine è diventato ovviamente una macchia nera. Ottlik visse, durante il regime sovietico, isolato ed emarginato, occupandosi di bridge e diventando un'autorità internazionale in questo campo, tanto che, quando morì, la prima notizia della sua scomparsa fu portata in Occidente proprio dalle pubblicazioni dedicate all'aristocratico gioco di carte. Fiori e picche invece di fortezze, autoemarginazione invece di duelli, ma l'orgoglio di non cedere è lo stesso. Imre Kertész, premio Nobel 2002, si comportò, tavolo verde a parte, alla stessa maniera, dando per scontato che lui avrebbe scritto e basta, senza pensare neppure alla pubblicazione dei suoi libri. Ma se gli scrittori hanno il talento di non scendere a patti, i politici ungheresi sembrano invece dotati di quello opposto, con buoni risultati. Questa Storia della letteratura ci ricorda anche come nel 1867, Ferenc Deàk, leader illuminato, sia riuscito a concepire il capolavoro politico, noto come «compromesso», da cui nacque l'Austria-Ungheria del mito asburgico, e di conseguenza la lunga età dell'oro (nonostante le tensioni sociali e etniche rimosse) che si concluse solo nel 1914. Fiorì in questo periodo la grande letteratura moderna, con autori come il profilico Mór Jókai (aveva la passione dei tarocchi, ma non si lasciava distrarre: le sue opere complete contano 313 volumi) e Kalman Mikszàth, che racconta con ironia il contrasto tra la vecchia e la nuova Ungheria. In modo analogo, dopo la repressione del '56, Xàdàr ottenne spazi di relativa libertà facendo del Paese uno dei più accettabili fra quelli asserviti ai sovietici, in grado di guardare al futuro. A testimonianza di una costante: in tutte le fasi d'una storia pur travagliata, l'Ungheria ha dato sempre l'impressione di non arrendersi al fatto compiuto, alle sconfitte, alla legge del più forte. Duttile e ribelle, è stata un laboratorio politico e culturale sempre al lavoro. Lo spirito avventuroso e forse sciamanico di quegli antichi nomadi dello steppe non si è mai spento. dFmltacassllg

Luoghi citati: Berlino, Budapest, Croazia, Géza Ottlik, Hollywood, Italia, Ungheria