Sacra Corona Intrappola l'ultimo capo

Sacra Corona Intrappola l'ultimo capo Sacra Corona Intrappola l'ultimo capo Tonio Attino BARI Abilissimo a sfuggire agli investigatori e perfino a scovare le microscopie con cui i carabinieri tentavano di incastrarlo, l'ultimo boss ancora in libertà della Sacra Corona Unita, la mafia pugliese, è stato arrestato all'aeroporto di Bari dopo sette mesi di latitanza. Corrado Cucurachi, 39 anni, leccese, accusato di avere gestito un gigantesco traffico di cocaina tra Brasile, Olanda e Italia, era in attesa di imbarcarsi sul primo aereo. Non aveva ancora un biglietto, né un bagaglio, ma aveva in tasca 5 mila euro e un documento d'indentità falso, intestato a un operaio edile. Si sarebbe imbarcato sul primo volo. Cucurachi ha recitato la parte alla perfezione finché, invitato in caserma e sottoposto a una serie di verifiche fotografiche, è stato arrestato. Dell'arresto, eseguito sabato dal Ros, il raggruppamento operativo speciale dei carabinieri in collaborazione con i militari di Bari e Lecce, si è avuta notizia solo ieri, con un comunicato seguito dal commento soddisfatto del ministro dell' Interno, Giuseppe Pisanu, che si è congratulato con i militari. Denominato «il giaguaro» per la risolutezza con cui riusciva a seminare i suoi inseguitori, Cucurachi faceva parte del clan Tomese di Monteroni (Lecce) ed eira in rapporti stretti con Filippo Cerfeda, boss del clan De Tommasi arrestato proprio in Olanda nella primavera scorsa e dal luglio 2003 collaboratore di giustizia. Questo legame è stato sottolineato dal sostituto procuratore leccese Guglielmo Cataldi, secondo il quale «Cerfeda era amico personale di Cucurachi». Il magistrato sottolinea come, tutt'altro che sanguinario, Cucurachi abbia manifestato doti diplomatiche. Lui e Cerfeda, pur essendo schierati in due clan diversi, erano riusciti a stringere un'alleanza per importare cocaina in Puglia dal Brasile, passando per l'Olanda, affrancandosi dai clan calabresi dai quali la mafia pugliese tradizionalmente acquistava la cocaina. Ricercato per associazione a delinquere di stampo mafioso e traffico intemazionale di droga, il «giaguaro» era latitante dall' estate scorsa. Il 16 luglio era stata emessa un'ordinanza di custodia cautelare e a novembre ne era stata emessa una seconda. L'operazione «Pit» della magistratura fu seguita da retate successive con un centinaio di arresti e 120 indagati. Se Cerfeda era stato catturato in Olanda, in Brasile era stato arrestato - il 3 febbraio - Fabio Franco, un altro grosso calibro della Scu. Insom^ ma, l'asse Brasile-Olanda-Italia era collaudato e serviva a «portare in Pugha un fiume di cocaina», ha detto il magistrato, che entro la settimana firmerà le richieste di rinvio a giudizio per boss e gregari della mafia pugliese. Lesto nella fuga e anche nello scoprire e disattivare congegni elettronici degli investigatori che tentavano di acciuffarlo, riuscì a neutralizzare un sofisticato sistema di localizzazione delle persone (lo hanno ricordato i carabinieri senza aggiungere nulla di più): il «giaguaro», quando è stato fermato nell'aeroporto di Bari-Palese, aveva un nuovo taglio di capelli. L'ha incastrato lo «Spìs», un sistema di fotosegnalazione che sovrappone più immagini digitali. Il «giaguaro» alla fine ha ammesso. E ha chiuso da boss, facendo i complimenti ai carabinieri per l'arresto.