Una clandestina «vacanza romana» di Sergio Pent

Una clandestina «vacanza romana» Una clandestina «vacanza romana» Sergio Pent CON la leggerezza poco invadente di chi assiste alle intemperie sociali da un solitario ancorché critico - angolo d'osservazione provinciale, Valerio Aiolli approda al suo quarto romanzo come sempre in punta di piedi, imbastendo un'altra storia minima, sfuggente, ma a suo modo emblematica. Narratore sicuro e tradizionale, fuori coro dai dilettantismi esasperati e dai professionismi costruiti ad arte, Aiolli non è quasi mai citato ad esempio quando le diatribe critiche si arrovellano sulle potenzialità realistiche e antropologiche della nostra narrativa recente: il suo posto parrebbe quello dell' onesto artigiano di una commedia all'italiana improntata alla coralità dei soggetti, maestro di sorrisi provinciali non certo casuali, ma col risultato di un confronto ufficiale perdente quale potrebbe essere tra un Monicelli o un Dino Risi dinanzi allo snobismo intellettuale di un Visconti o alla genialità di Fellini. Dal canto nostro, accomunando nomi come quelli di Aiolli, Covacich, Bugaro, Teobaldi o il più attempato Severini, ci rendiamo conto che la narrativa "provinciale" rappresenta ancora o^gi la diversità strutturale dell'Italia, la accomuna - paradossalmente - proprio nel gioco delle pulsioni minori che diventano angoscia, sofferenza o speranza nei più riposti angoli del territorio: questa sorta di neorealismo involontario si promuove quindi a scelta precisa, da condividere, proprio perché - nei suoi migliori disegni psicologici minimalisti - sa andare oltre le apparenze, come di rado accadeva nei romanzi neorea- listi del dopoguerra, dove la realtà talvolta impastava le pagine di disagi non filtrati, più passionali che critici. Nel suo nuovo romanzo, Fuori tempo, semphcemente grazioso, Aiolli tocca le corde del cuore di destini secondari, in una Firenze dalla scenografia sfumata, in un presente che diventa il sottofondo esagitato di tempi ai quah spesso stentiamo ad appartenere. La vicenda incrociata si gioca sui ruoli sentimentali di due protagonisti ultrasessantenni, la professoressa Emma e il modesto accademico Carlo Del Pozzo, entrambi prossimi alla pensione. Lei è stata piantata dal sanguigno marito Fernando, avvocato e musicista, fuggito con la men che trentenne assistente; lui è vedovo, triste, sopravvive con la funerea sorella single Clara in una casa senza sorrisi, nel ricordo della moghe morta in un incidente per salvare il figlioletto Andrea, ora diventato un adulto grasso e fastidioso. Se la vita di Del Pozzo scorre lenta e proiettata verso l'estremo tentativo di scrivere un libro importante col suo mentore di sempre, Parodi, quella di Emma è ben più incasinata da due fighe belle e diverse, Francesca - sposata col rassegnato Attilio e madre di due bambine - e la frenetica Laura, che toma dagli States col fighe John, dopo un paio di matrimoni e una sfilza incalcolabile di storie "importanti" e sepolte, irrompendo in famiglia con la pretesa cu un pezzo di casa tutta per sé. L'incontro tra Emma e Carlo è casuale, dettato da diffidenza reciproca, ma diventa quasi subito un sotterraneo gioco d'affetti, in quel limbo di per sé temibile che è la soglia della vecchiaia. Una passione senile eppure giovane nelle intenzioni e nei risultati - deliziosa la clandestina "vacanza romana" dei due fidanzatini, lei con le gambe malsicure, lui con la prostata in rivolta - che fa vagheggiare a entrambi una nuova porzione di serenità, prima di trovarsi definitivamente "fuori tempo". La situazione, comunque, si comphea in un gioco di piccole, tragicomiche sorprese - più o meno positive - che rendono vivace il racconto e che è giusto lasciare alla curiosità del lettore, compreso il commovente, inatteso risvolto finale. E' un Aiolli in odor di cinema, quello àiFuorì tempo, nel tentativo discreto di raccontare certi momenti-chiave della vita, nella coralità espressiva di figure ben sbozzate che vedremmo tranquillamente sullo schermo con la regia - ad esempio - di un Virzì. Il romanzo non è innovativo, certo, ma crediamo che neanche Aiolli voglia esserlo: la vita va comunque raccontata anche nella sua sempheità senza titoli in prima pagina, e in questi destini normali c'è molto di tutto, il sorriso -o la lacrima - che accompagnano le nostre giornate senza yacht e senza lifting, dove le rughe voghono anche significare di aver vissuto in silenzio, ma di aver vissuto. «FUORI DEL TEMPO» DI AIOLLI: UNA PROFESSORESSA E UN MODESTO ACCADEMICO, UNA PASSIONE SENILE EPPURE GIOVANE NELLE INTENZIONI E NEI RISULTATI Valerio Aiolli Fuori tempo Rizzoli pp. 247, ZI5 ROMANZO

Luoghi citati: Firenze, Italia