Quando gli italiani imitavano i nazisti

Quando gli italiani imitavano i nazisti I CAMPI DI CONCENTRAMENTO PER GLI SLAVI VOLUTI DA MUSSOLINI TRA IL 1940 E IL 1943 Quando gli italiani imitavano i nazisti Mario Baudlno NEL 1941 il regio esercito italiano avviò, nei territori jugoslavi conquistati, una feroce politica di internamento dei civili. Deportò decine di migliaia di persone con due scopi diversi ma complementari; da un lato combattere i partigiani, dall'altro «sbalcanizzare» quelle regioni allora abitate sia da italiani sia da slavi. Mussolini accarezzò addirittura l'idea di un deportazione di massa e di una «sostituzione» di popolazioni. Non se ne fece niente, ma il prezzo pagato dagli slavi fu atroce, in termini di sofferenze e di morti. Nomi come i campi di Arbe (Rab), di Melada (Molat), Mania e Prevlaka sono tristemente celebri in Slovenia e in Croazia, molto meno in Italia. E da noi sono stati a lungo dimenticati i luoghi di internamento per jugoslavi che funzionarono in territorio italiano: Gonars e Visco nella Venezia Giulia, Moniga e Chiesanuova in Veneto, Remaci in Toscana. Qui migliaia di persone soffrirono la fame e le malattie, e molti morirono. Una storica triestina, Alessandra Kersevan, ha parlato di 7000 intemati sloveni, tra uomini, donne e bambini. Carlo Spartaco Capogreco, docente all'Università della Calabria, nel suo studio su I campi del Duce, appena uscito per Einaudi, è più prudente sulle cifre; per il solo campo sorto nell'isola di Arbe, accetta però la valutazione dello storico sloveno Tone Ferenc che «ha documentato 1436 morti». E' una vicenda terribile, che scalza notevolmente lo stereotipo degh «italiani brava gente» e della relativa mitezza del nostro esercito quando si trovò nella posizione dell'occupante, ma forse non è così «dimenticata dalla gente comune e dagli storici» come lo studioso mostra di ritenere, visto che almeno nel mondo della politica se ne è parlato insistentemente, brandendola come un'arma polemica, in parallelo al dibattitto sulle «foibe» avviato da una decina d'anni. È vero inoltre che i crimini italiani in Jugoslavia sono stati molto sottolineati dall'altra parte di quella che è stata per lungo tempo la cortina di ferro, e assai meno da questa. Tant'è che quando, nel '96, dopo un lungo e imbarazzato silenzio nazionale, la magistratura romana aprì un'inchiesta contro alcuni ex partigiani titini sospettati d'aver avuto una parte decisiva nei massacri di italiani, nella pagina nera delle «foibe», il ministro sloveno Zoran Thaler dichiarò alla televisione del suo Paese che l'indagine aveva imo scopo elettorale; e soprattutto, disse, trovava assurdo l'avvio di una tale campagna «contro un paese vicino, democratico e pacifico che non ha mai sollevato il problema dei crimini di guerra compiuti dagli italiani durante l'occupazione fascista. Se sarà necessario - aggiungeva - la Slovenia denuncerà alla comunità intemazionale i crimini compiuti dai fascisti italiani 50 anni fa». In realtà, la «vecchia» Jugoslavia lo aveva fatto da tempo, chiedendo subito dopo il '45 l'estradizione dei generali Mario Roatta, Mario Robotti e di altri militari considerati criminah di guerra. Nel nuovo quadro internazionale di contrapposizione Est-Ovest, non furono consegnati. Il fascicolo su quei crimini finì nell'armadio della memoria sottaciuta, o per citare il titolo di un bel saggio apparso per Laterza qualche tempo fa scritto dallo storico Michele Battini, dei Peccati di memoria. Il progetto di una «Norimberga italiana», accarezzato dagli inglesi, verme accantonato in base a un accordo tacito fra gli alleati, che doveva soprattutto coprire le violenze dei vincitori, da Stalin a Churchill. E se restarono impuniti i nostri generali del fronte jugoslavo, lo furono anche quelh che avevano organizzato l'operazio¬ ne dì pulizìa etnica contro gli italiani, non appena le armate di Tito invasero Trieste con il dichiarato scopo di annettersi la Venezia Giulia. Ci fu indubbiamente una doppia congiura del silenzio: come ha osservato lo storico Gianni Oliva (autore di un ottimo libro come Foibe.Le stragi negate degli italiani della Venenzia Giulia e dell'Istria, Mondadori), comunisti e democristiani, per motivi diversi, preferirono tacere su questa tragedia. Ma come dimostra Capogreco nel suo libro, anche i crimini del nostro esercito (e non solo: lo storico ricostruisce le compheate vicende che videro i militari e il Ministero degh Interni dividersi le responsabilità per la gestione dei campi di internamento) vennero in qualche modo attivamente dimenticati da tutte le forze politiche, compresa la sinistra. Ma si può ipotizzare un rapporto di causa ed effetto tra la politica del fascismo in Istria e Dalmazia, la repressione feroce, i campi di concentramento, e la successiva persecuzione degh italiani, cominciata dopo l'S settembre con le prime uccisioni, interrotta quando i tedeschi rioccuparono la zona, e ripresa su larga scala tra il '45 e il'47, con diecimila morti e l'esodo in massa delle popolazioni istriane? Il nesso divide gli storici. Una commissione italo-slovena, istitituita dai rispettivi ministeri per far luce sui tragici eventi, ha prodotto alla fine solo una relazione ufficiosa, mentre un'altra, con la Croazia, sembra essere nel frattempo naufragata. Tristano Matta, direttore dell'Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giuba, ci ricorda che il precedente è importante per capire quel che accadde dopo, ma non è certo l'unica spiegazione. E il libro di Capogreco, dice, mette un importante tassello in un quadro generale che sarebbe altrimenti incompleto. Scavare e ricordare senza alzare bandiere, «senza isolare segmenti», è l'unica strada, ribadisce, per evitare un uso pohtico della storia, come invece è accaduto troppo spesso. Giustissimo. E' però indubbio che questo libro esce proprio nei giorni in cui il Parlamento, a larga maggioranza, istituisce la «Giornata della memoria» per ricordare le foibe e l'esodo istriano-dalmato: di per sé può rappresentare un ghiotto pretesto per chi ama la «memoria ad orologeria», chi vuole contrapporre vittime a vittime. Sul confine orientale tutti pagarono un prezzo altissimo aua guerra e al totalitarismo. Ma riscoprire le «nostre» atrocità non assolve nessuno. Tantomeno coloro che scatenarono la «pulizia etnica» contro le nostre popolazioni istriane e dalmate. Un'immagine del campo per slavi di Gonars vicino a Udine