BANLIEUE SUPERSTAR di Cesare Martinetti

BANLIEUE SUPERSTAR LA PERIFERIA È DIVENTATA IL CUORE DELLA NUOVA FRANCIA. STORIA D'UN VISTOSO FENOMENO CULTURALE E SOCIALE BANLIEUE SUPERSTAR Cesare Martinetti corrispondente da PARIGI STAR del cinema, comico alla moda, alla peggio popolare animatore di una trasmissione in tivù... «Io, voglio diventare una stari», dice Kamel alla prima riga di imo degli ultimi romanzi usciti direttamente da una banlieue, Allah superstar, autore Y.B., 36 anni, algerino, editore Grasset. Alla fine Kamel riuscirà effettivamente ad essere una star, ma non diciamo, come perché il romanzo sarà presto pubblicato da Einaudi («Stile libero») e non è il caso di togliere il gusto della lettura. Ciò che conta è quel «voglio diventare una star», ima specie di scarica elettrica che esce da un «quartiere sensibile di istruzione prioritaria in zona di non diritto», come recita il burocratese ministeriale della République, dove - scrive Y.B. - un arabo o un nero non hanno altra scelta; «O si diventa ima star o si è nessuno». Il fatto è che da queste banlieues - luogo fisico e ormai anche metafisico della Francia metissée, meticciata - negli ultimi tempi di star ne stanno uscendo a mazzi. Cinema, teatro, spettacolo in genere. Ma anche business, moda, comunicazione. Escono dalle banlieues senza rinnegarle. Anzi, facendone il loro punto di forza e la fonte di creatività. Scrive Fahim Benchouk, direttore di Respect, nuovo magazine trimestrale che racconta la vita dei quartieri difficili: «Sono i simboli viventi dei valori nei quali ogni cittadino francese ama riconoscersi: métissage, energie, liberté». Tre parole che tolgono la muffa persino alla triade universale sancita dalla presa della Bastiglia e battezzano lo slogan di una nuova Rivoluzione. Se la «liberté» 6 etema, il «metissage», la mescolanza degli uomini prende il posto della «égalité»; e invece della «fratemité» - più spesso proclamata che non praticata - ecco 1' «energie», energia, forza vitale, elettricità. Mourad Merzouki, per esempio, ha messo in scena al teatro Jean-Vilar di Suresnes (banlieue parigina) la sua compagnia di danza hip-hop «Kafig», ragazzi e ragazze black-blanc-beur (neribianchi-arabi) che visti in scena ha scritto l'Express - sembravano una pubblicità Benetton. E fin qui niente di nuovo. Se non fosse che Merzouki, cresciuto a Saint-Priest - una di quelle banlieue di Lione dove il Front National di Jean-Marie Le Pen fa percentuali da paura e dove bianchi e beurs si scrutano da lontano come in un'ininterrotta intifada - prenderà presto il posto di Dominique Hervieu e José Montalvo come direttore del Centro nazionale di coreografia di Creteil. Intanto Jamel Debbouze showman, una trottola di gesti, smorfie e parole - sta per concludere una trionfale tournée che in otto mesi ininterrotti l'ha portato su tutti i palcoscenici di Francia. In autunno è stato eletto «Personalità preferita dagli adoloscenti». In teatro e al cinema ha trasferito e sdoganato la lingua delle banlieues, ma anche soprattutto trasmesso il contagio di ironia e sfrontatezza, della voglia di vivere e di uscire dal ghetto, di arriva- re. Di essere una star, direbbe il Kamel di Allah superstar. Per saperne di più chiedere a Mohamed Dia, 30 anni, di Sarcelles che in quattro anni ha costruito un'impero dell'durbanwear» (moda urbana) che vale ormai 18 milioni di euro e sta per aprire una boutique a New York. Il sociologo Fabien Kay ha studiato il fenomeno e ne ha scritto un saggio: L'impatto della banlieue sul pret-à-porter di alta gamma. Scrive Kay: «Le rappresentazioni della banlieue sono ambivalenti, nel senso che non evocano soltanto violenza, disoccupazione, precarietà, ma anche il dinamismo e un certo spirito ribelle che affascina la gioventù dei quartieri bene». Lo conferma Brice Compagnon, responsabile del casting per Vogue: «Il monopolio dello stile ormai ce l'hanno i ragaz¬ zi di banlieue. I borghesi, copiano». E se i prìncipi dell'Alta Moda hanno saputo da anni assorbire, rielaborare e commercializzare i lampi spontanei e creativi dei «banlieusards» la novità è appunto un giovanotto come Dia che trasforma se stesso in griffe, marchiando con segno autoctono pantaloni, felpe col cappuccio e teeshorts. Gli abiti che indossano le ragazze e i ragazzi che il sabato infilano i treni dell'RER (la metropolitana suburbana) e sbarcano nel centro di Parigi ad annusare «la vera vita» (come racconta JackAlain Leger alias Paul Smail in AK il Magnifico, pubblicato in Italia da Feltrinelli) con passi ondulati, al ritmo hip-hop. «Queste marche - spiega ancora Kay - sono percepite come trasgressive, ma soprattutto autentiche perché diverse da quelle delle multinazionali senz'anima». Qualcuno, sui giornali francesi, già scrive che il triangolo della moda non è più Parigi-Milano-Londra, ma Sarcelles-Les Minguettes-Bagnolet. Maryline Vigouroux, presidente dell'Istituto Mode Mediterranée di Marsigha, conferma e sostiene che «l'estetica-banlieue è acqua di giovinezza per la moda francese». Ma il furbo Mohamed Dia non gioca affatto sulla contrapposizione città-periferia, anzi recupera tutto e si definisce «figlio di banheue, abitante di New York, cittadino del mondo». Gli uffici marketing delle grandi multinazionali fiutano la novità. La Mattel ha inventato la bambola multiculturale «Flavas» agghindata con accessori col marchio della banlieue, Kiabi ha messo sul mercato sweat-shirt (felpe) con «tag» prese dai muri delle periferie, Adidas corteggia i giovani graffitari del collettivo «Club70». Il sociologo Michel Kokoreff, che in un bel libro (La force des quartìers, editore Payot) ha raccolto microstorie di balieues per scardinare i luoghi comuni, sostiene che «queste periferie ribollono di idee e di progetti. Il problema è che mancano totalmente i mezzi e ci si scontra con l'inerzia amministrativa». Solo il 5 per cento dei budget pubblici arriva a sfiorare i progetti culturali delle ZUS, le zone urbane sensibili, settecentocinquantuno torre di nessuno disseminate in tutta la Francia. Tocca fare da sé. E' l'arte della «bougeotte», del muoversi senza pause, senza rispettare quelle «35 ore» istituite e mitizzate dal governo di sinistra di Lionel Jospin che hanno migliorato la vita a quadri e funzionari della Parigi ministeriale, ma che invece sono state una delle principali cause della sconfitta della gauche nell'elettorato popolare: i più incazzati han¬ no votato Le Pen, i più positivi invece si riconoscono maggiormente nei liberali di destra che non nei burocrati di sinistra. «Noi - dice Fahim Benchouk - per arrivare dobbiamo lavorare tre volte più degh altri e sopperire alla mancanza di relazioni e di conoscenze dei nostri genitori». La stilista marsighese Sakina M'sa è diventata una specie di mito quando alla fine di un meeting è riuscita a strappare un appuntamento all'inossidabile e inawicinabile super ministro dell'economia Francis Mer. Ci vuole «culol», faccia tosta. Ad Aziz Senni, 28 anni, di Mantes-la-Jolie, ex tassista che ha costmito il suo business lavorando nei quartieri dove nessun tassista osava nemmeno avvicinarsi ed ha ora un'impresa di trasporti in comune, è capitato invece di essere chiama¬ to come consulente dal ministro per i problemi delle città JeanLouis Borloo. E ora, Aziz, ha fondato l'Associazione dei giovani imprenditori di Francia ed è un punto di riferimento per gli enfants delle banheues. Anche il cinema ha cambiato lo sguardo. Pochi anni fa fece sensazione La haine (L'odio) di Mathieu Kassowitz. L'ultùno film culto, da poche settimane nelle sale, è ora L'Esquive, la schivata, del tunisino Abdellatif Kechiche, dove si racconta l'amore quotidiano tra gli adolescenti del quartiere di Franc-Moisin: «Gli abitanti delle banheues - dice il regista - hanno diritto a una giusta rappresentazione». E a un buon palcoscenico, come quello dell'Olympia, come capita al Kamel di Allah superstar. Ma attenzione: il finale potrebbe essere esplosivo. Gii uffici marketing delle grandi multinazionali fiutano la novità: Mattel ha inventato la bambola multiculturale «Flavas» Nella fotografia in alto lo stilista Mohamed Dia che ha costruito un impero dell'urbanwear està per aprire una boutique a New York Sotto: immagine d'uno spettacolo della compagnia Hip-hop «Kafig» Interno d'un bar, nella banlieue parigina, nuovo cuore della vitalità urbana