«Il doping non c'entra, era un ragazzo fragile» di Giorgio Viberti

«Il doping non c'entra, era un ragazzo fragile» IL PRESIDENTE DELL'ASSOCIAZIONE «Il doping non c'entra, era un ragazzo fragile» Il medico del ciclismo: Marco non reggeva più, si è spento a poco a poco intervista Giorgio Viberti PANTANI vittima della depressione? Dei farmaci? Del doping? A domande tanto angoscianti tenta di trovare delle risposte Massimo Besnati, 54 anni, di Busto Arsizio, dal '96 presidente dell'Associazione Italiana Medici di Ciclismo. In oltre 20 di carriera ha seguito campioni come Sorensen, Zanini, Berzin, Bartoli, Bettini, Pezzato e alcuni fra i team più prestigiosi. Dottor Besnati, quale potrebbe essere la causa della tragica fine di Pantani? «Vista l'evoluzione della sua vita dopo l'esclusione dal Giro '99, temo che si sia lasciato morire». Pensa a un suicidio? «No. Pantani non reggeva più la vita che stava facendo e si è spento poco a poco. Volontariamente o no, non fa differenza». Non possono aver influito negativamente tanti anni di ciclismo massacrante? «Fisicamente Marco era forte, psicologicamente no. Un declino così marcato fa pensare a grande fragilità emotiva, un terribile bisogno di aiuto». E' stato lasciato solo... «Da chi? Dalla sua manager? Dai suoi direttori sportivi ? Non credo. E' vero invece che era molto difficile aiutare Marco perché lui stesso si schermiva». Qualcuno collega la morte al doping. Il consulente del Co- ni Sandro Donati ha detto che qualche medico dovrebbe provare rimorsi terribili... «Non credo che ci sia un nesso diretto con la morte di Pantani. Donati è bravo a parlare, senza però mai far nomi. Dovrà rispon¬ dere delle sue affermazioni». E' arduo non accostare il ciclismo a certi farmaci. «E' vero. Fino al '96-'97 i corridori prendevano di tutto, ma poi i controlli sono diventati sempre più severi e oggi possiamo smascherare chi usa epo o testosterone, thg o emotrasfusione. E presto riusciremo a smascherare chi assume l'ormone della crescita». Vuole dirci che il ciclismo è diventato pulito? «No, il ciclismo non è pulito perché in mezzo a noi ci sono dei medici, io li chiamo "dopologi", che continuano a barare. Ma ci sono sicuramente altri sport nei quali il doping è più diffuso». Pensa forse al calcio? I decessi del camerunense Eoe e dell'ungherese Feher hanno fatto discutere. «Credo che dietro quelle morti ci fossero anomalie organiche, come avvenne per il corridore Denis Zanette. La normale casistica prevede anche casi di infarti o ictus in persone ancora giovani». Come il caso di Galderisi? «Esatto, invece la sua vicenda, per fortuna finita bene, è stata subito strumentalizzata». Dunque il doping non c'entra con la morte di Pantani? «Non credo, anche se certamente Marco è esploso come corridore proprio nel periodo in cui il ciclismo era sommerso da farmaci pericolosi e vietati. Lo ripeto: credo che i problemi di Pantani fossero psicologici e caratteriah». Viene in mente la morte del corridore spagnolo José Ma¬ ria Jimenez, stroncato da infarto due mesi fa a 32 anni. «Infatti sono due casi molto simili. Per entrambi si è parlato di depressione e uso di stupefacenti. Sarà l'autopsia a chiarire gli interrogativi su Pantani, certo non si può escludere l'uso eccessivo di ansiohtici o un'interazione con sostanze stupefacenti». Un'overdose? «Potrebbe essere. Molti avevano parlato di un viaggio di Marco a Cuba e di certe sue frequentazioni nel mondo della droga. Se è stato davvero cosi, la sua fine avrà presto ima spiegazione». E forse tutti noi, giornalisti, medici, addetti ai lavori, avremmo potuto e dovuto fare qualcosa per il Pirata. «Sento dentro un vuoto enorme, ma non voghe perdere la ragione. Marco, dopo lo stop al Giro '99 per ematocrito alto, avrebbe dovuto riprendere subito a correre, facendo il Tour. Invece si isolò, sentendosi una vittima e addossandosi colpe che non aveva. La sua tragedia è cominciata quel giorno». «Dopo lo stop del '99 avrebbe dovuto riprendere subito Ma si isolò, prendendosi colpe che non aveva»

Luoghi citati: Busto Arsizio, Cuba