La parabola del Pirata lo scalatore fragile

La parabola del Pirata lo scalatore fragile VITTORIE, INFORTUNI E GUAI GIUDIZIARI La parabola del Pirata lo scalatore fragile Dai triOnfi nelle grandi COrSe a tappe alle aCCUSe di dOping personaggio Giorgio Viberti LO temevamo. Pirata. Sapevamo che stavi lottando contro il tuo passato, contro la gente che aveva sfruttato il tuo sudore, le tue lacrime, i tuoi sogni. E che stavi perdendo l'ultima corsa della tua vita. Ti avevano visto piangere, da solo su una panchina della tua Cesenatico. Ti avevano fermato per strada, trovandoti strano, confuso, estraneo persino a te stesso. Non eri più tu, Pirata. Ti avevano lasciato solo proprio quando ti sarebbe servita la scia di un gregario fedele, la spinta di un tifoso complice, la borraccia di un avversario amico. Marco Pantani era nato a Cesena, da Paolo e Tonina, il 13 gennaio 1970 e si era affacciato al ciclismo dopo aver dato, come tutti, quattro calci al pallone, ala destra. Scalatore cristallino, cominciò a vincere molto presto, già agli esordi con la maglia della «Fausto Coppi» di Cesenatico. Conquistò il Giro d'Italia dilettanti nel giugno '92, passando professionista due mesi più tardi con la maglia della Cairera di Davide Boifava, proprio l'uomo che nel 2003 avrebbe cercato di rilanciarlo nel grande ciclismo. Ritiratosi per problemi alla schiena dal Giro '93, esplose nella corsa rosa dell'armo dopo, vincendo per distacco a Merano, all'Aprica (con il terribile Mortirolo) e concludendo infine secondo dietro al russo Berzin. Pochi mesi dopo, salì sul podio (terzo) anche del Tour de France. Parve la sua consacrazione, invece dovette rinunciare per infortuni vari al Giro '95 e '96, ritirandosi poi nel '97 in seguito a una caduta nella discesa di Chiunzi. Andò un po' megho al Tour, ancora un terzo posto nel '97. Nel frattempo era passato alla Mercatone Uno del patron Romano Cenni, l'uomo che l'avrebbe sempre sostenuto - anche finanziariamente - nella sua carriera di corridore. Fu così che Pantani divenne il Pirata, conquistando nel '98 una fantastica doppietta: Giro d'Italia, davanti al russo Tonkov, e Tour de France, lasciandosi alle spalle il tedesco Ullrich. Nessuno sapeva esaltare le folle come lui, signore incontrastato delle montagne, aquila imprendibUe a Selva di Val Gardena, Piancavallo, Montecampione, Oropa, Pampeago, sul Gran Sasso come a Morzine, sull'Alpe d'Huez, a Guzet Neige, sul Plateau de Beille, a Les Deux Alpes. Così, quando il 5 giugno 1999 a Madonna di Campiglio venne allontanato per ematocrito alto da un Giro d'Italia ormai già suo, la sua vita cambiò per sempre. Pantani lasciò temporaneamente il ciclismo, poi cercò di rientrarvi ma sempre con risultati altalenanti. Tornò al Giro nel 2000, aiutando il suo compagno Garzelli a vincerlo. Tentò di riprovarci anche al Tour, conquistando le tappe sul Mont Ventoux e a Courchevel. Ma fu proprio questa la sua ultima vittoria in carriera: 36 successi in totale da professionista, 14 volte maglia rosa, sei volte maglia gialla, più un bronzo in Nazionale ai Mondiali su strada '95 a Duitama (Colombia) e altre due presenze azzurre senza successo (Mondiali di Agrigento '94 e Olimpiadi di Sydney 2000). Il tutto costellato da decine di infortuni: investito da un'auto nel '95 e poi da un fuoristrada nell'ottobre dello stesso anno (frattura di tibia e perone), caduta al Giro '97 a causa di un gatto, ancora caduta nell'ultimo Giro con arrivo a Chianale. Poi tanti incidenti in auto. Ma a segnarlo sono stati soprattutto i guai giudiziari, con le inchie¬ ste per l'ematocrito alto - dopo la frattura del '95 e nel Giro '99 - e per il ritrovamento di una siringa di insulina nella sua stanza di albergo nel Giro 2001. L'accusa arriva a ipotizzare la frode sportiva, anche se Pantani non è mai stato trovato positivo ad alcun controllo antidoping. Viene dapprima condannato per tre mesi con la condizionale, poi assolto in appello. La Federciclismo gli impone poi uno stop di otto mesi, ma la Caf glieli annulla. Interviene tuttavia l'Uci (Federciclismo intemazionale) per fermarlo nuovamente, ma la Tas gli dimezza di fatto la squalifica e Pantani può tornare quasi subito a correre. In tutte queste vicende, il Pirata si è sempre professato innocente e vittima, cercando di tornare in bici per rispondere con 1 fatti ai detrattori, ma cadendo infine in una profonda depressione . «A volte chiudiamo gli occhi perché la realtà non ci piace - scrisse in una poesia -. Se però smettiamo di comunicare non riusciamo più ad assaporare la vita e a scrivere la nostra storia. Il mio linguaggio è la bici e voglio continuare a scrivere quel capitolo del mio libro che da troppo tempo ho lasciato in sospeso». Parole che oggi suonano struggenti e malinconiche come un tragico epitaffio.