Guerra a Saddam il falco libera fa l'autocritica
Guerra a Saddam il falco libera fa l'autocritica USA, IL RIPENSAMENTO DEGLI INTELLETTUALI DI SINISTRACHE AVEVANO APPOGGIATO L'INTERVENTO Guerra a Saddam il falco libera fa l'autocritica Ken Pollack, Thomas Friedman, Christopher Hitchens, Paul Berman in un forum della rivista «Slate»: col senno di poi, forse la deterrenza sarebbe potuta bastare Jacopo lacoboni ,, C E dovessi scrivere di nuovo " O The Threatening Storm di certo non sarei ancora così sicuro della necessità della guerra in Iraq». Filmato Ken Pollack, massimo esperto americano di questioni irachene, e postato su un forum della rivista americana Slate. Magari, forse, anche la deterrenza sarebbepotutabastare... Cosa succede s e un magazine di culto dell'intellighenzia (soprattutto liberal) statunitense inaugura una discussione sui «falchi liheral che riconsiderano la guerra in Iraq», e chiama a parteciparvi, oltre che Pollack, Paul Berman, Thomas Friedman, George Packer, Christopher Hitchens? Succede che quegli intellettuali di sinistra che avevano aiBomentato a suo tempo a favore dell'invasione adesso sono portati a rileggere le ragioni dell'intervento. Cosa è accaduto nel frattempo? Saddam è stato prima fulmineamente battuto poi più lentamente stanato, e squarci di libertà si scorgono dove prima c'erano solo tagUagole ed epurazioni; ma l'operazione è costata migliaia di vite, gran profusione di denari, rottura del multilateralismo, difficoltà rilevanti, ancora adesso, nel gestire un dopoguerra condiviso tra Usa da una parte e Francia (soprattutto), Germania, Russia dall'altra. È in questo quadro, con le primarie in corso e le presidenziali che si avvicinano a grandi passi, che i liberal Usa si trovano a «riconsiderare là guerra inTraq». Va inscena il più classico (masochistico?) rituale delle sinistre europee: l'Autocritica. Il pretesto per inscenarla viene da Jacob Weisberg, direttore di Slate, che spiega: perché ho chiamato proprio voi? Perché «voi siete membri togati di quello che Bill Keller, il direttore del JVew York Times, una volta ha definito "quelli del club non-posso-crederedi-essere-un-falco-liberal"». 'Diamine, questi intellettuali non sono neocons stile Kagan, Perle, Wolfowitz, Kristol, eppure avevano tutti detto di sì all'invasione. Bene: «Calcolando costi e benefici credete ancora che gli Stati Uniti avrebbero dovuto invadere l'Iraq nel marzo del 2003»? Pollackfa una premessa: «Mentre ho sempre creduto che la guerra fosse necessaria per deporre Saddam, mi sono invece opposto a tempi e modi dell'attuale guerra come è stata decisa dall' amministrazione Bush». Il fatto che le. armi di distruzione di massa non siano state trovate non lo imbarazza particolarmente, lui l'intervento l'aveva giustificato in un'altra maniera. E comunque, «l'Iraq non era lontano più di quattro o cinque anni dal costruirsi un'arma nucleare, come ritenevamo già noi dell'amministrazione Clinton». Quali altre strade c'erano, allora? «Io avrei sostenuto una revisione delle sanzioni; e dopo appoggiai una più aggressiva pohtica di "azioni coperte" nella vana speranza che potessero produrre un cambio di regime». Già, ma qual era lo spettro degli strumenti disponibili alternativi e migliori - della guerra? Rivelatasi mutile, osserva Pollack, una jolitica di azioni coperte, alla quae lui stesso aveva creduto; fallace l'illusione neocon di potersi affidare a im gruppo di «congiurati» armati dall'estero e guidati da Ahmed Chalabi; improbabile («come i fatti stanno ancor oggi dimostrando») il supporto spassionato di Francia, Germania e Russia a un'effettivia strategia di sanzioni e containment; Pollack è portato a concludere: «Col senno di poi l'unica alternativa che sembra miglio¬ re della guerra è la deterrenza, l'idea che avrebbe potuto, minacciandolo, trattenere Saddam dal mettere in pratica a sua volta le minacce». È qui che giunge l'Autocritica, «scriverei in modo diverso The Threatening Storm». «Forse la guerra non era così inequivocabilmente necessaria». Ora, fare i conti con i fatti è pratica sbalorditiva: almeno dal punto di vista italiano. Ma Pollack non è il solo a farlo. Anche chi, come il commentatore del JVew York Times Tom Friedman, è meno «revisionista» di lui, riconosce di «apprezzare l'onesta ricollocazione del problema, dalla quale anche il team Bush avrebbe moltissimo da imparare». Eppure, «avendo visitato l'Iraq per tre mesi sento con forza ancora maggiore oggi che la guerra era giusta, e ha ancora una decente chance di produrre un decente risultato». Un po' invece modifica il tiro Paul Berman, il più neocon tra i liberal: «Quale fu la ragione della guerra? Chiaro, l'il settembre». Molte persone hanno capito quel giomo che il totalitarismo, nella sua moderna versione fondament talista, i avrebbe colpito;anche gli Usa, e l'hanno identificato'm un Grande Cattivo, Osama bin Laden. «Però quel totalitarismo non viene da un singolo Cattivo, è il prodotto di un'ondata totalitaria; la sola risposta adeguata è comprenderne le ragioni e trovare la via per combatterlo, militarmente e in altro modo». Aggiunta non piccola, quel «soprattutto in altro modo». Singolare allora che proprio un radicai, Chris Hitchens, dopo lunga argomentazione se ne esca pro-guerra: «Arabi vessati possono tornare nelle loro città, la mia professione può esser praticata di nuovo nei luoghi dove fu inventata la scrittura, gh sciiti possono seguire la loro religione, i curdi sono più vicini all'autodeterminazione, e abbiamo visto l'albero della libertà rifiorire, un evento del quale non tutte le generazioni possono essere orgoghose». Sicuri che sbaglia lui? Forse ha ragione George Packer, columnist del JVew Yorker, quando dice che 1' 11 settembi «3 ha stralunato gli intellettuali Usa spostando il dibattito sulle grandi idee, conflitti globali e democrazie da esportare, e che «l'Iraq dovrebbe riportarli a terra, a giudizi pratici e razionali». Più fatti meno ideologia, un richiamo risuonato anche nel discorso di John Forbes Kerry in Now Hampshire. Il guaio è che «i falchi liberal sono attratti molto più dai grandi drammi morali che da pragmatici scopi di lungo termine». Più o meno come i neocons. Una manifestazione americana contro la guerra in Iraq
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