Rod Stewart duetta con Cher E' Torà della swing-mania

Rod Stewart duetta con Cher E' Torà della swing-mania DISCHI Rod Stewart duetta con Cher E' Torà della swing-mania Alessandro Rosa PROSEGUE la swing-mania della canzone contemporanea, anzi si allarga. Contagia il desiderio di melodia, gusto del canto, sensibilità musicale. Musica per il piacere di fare musica e non successioni di suoni al servizio di altri obiettivi. Una tendenza che non nasce dalla nostalgia, perché è alimentata dalle doti ma soprattutto dalla sensibilità di giovani artisti. E tocca altri generi. Certo sull'onda si lanciano vecchie volpi come Rod Stewart che, forte del successo della prima antologia di grandi canzoni americane, ne presenta una seconda, «As Urne goes by. Voi. H» (Bmg, 1 Cd). Meno swing stavolta, si privilegiano le ballate e si gioca la carta dei duetti. Convincente con Cher sull'evergreen di Rodgers/Hart «Bewitched, bothered S- bewildered», più scontato con Queeù Latifah, gustoso con Alessandro Safina («Don't get around much anymore»). Emeigono i noti limiti vocali di Stewart (inevitabili i confronti con gli originali) in un disco che resta piacevole. Brillano invece i nuovi ingressi. Canadese, 27 anni, patrocinato da Paul Anka, Michael Bublè è un nuovo vero «croonera. Educato dal nonno al jazz e ai grandi della canzone, dotato di talento vocale naturale che ha affinato fin da ragazzo, si misura con celebri standard aggiungendo loro una vernice moderna grazie ad una sensibilità. Nulla sa di già ascoltato in «Michael Bublè» (Reprise, 1 Cd). Con quella classe e scioltezza dei Sinatra e dei Darin, dei quali rivede «Come fly with me», «The way you look tonight», «That's Ali», «Por Once in My Life» e «Sway», ritocca «Put your head on my shoulder» di Paul Anka, ma riveste anche brani insospettabili quali «Moondance» di Van Morrison, «Crazy little thing called love» dei Queen e una versione di «How can you mend a broken heart» dei Bee Gees, cantata in coppia con Barry Gihb. Swing ed eleganza a profusione, portati con semplicità e senza ostentazione sopra le righe, fin dalTiniziale «Pevera. Splendido splendente. La grafica di copertina ci porta subito negli Anni 70, il titolo «The soul session» (Virgin, 1 Cd) tar^a l'atmosfera, al primo brano «The chokin' kind» (cover di Harlan Howard cantata da Joe Simon nel 1969) dal tono gospel, una voce cresce lenta ma non tarda a conquistare per profondità, naturalezza. Aretha Franklin è tornata? No, si tratta di Joss Stone, bionda, inglese dalla pelle color latte. Steve Greenberg e Mike Manginihanno coinvolto nellaproduzione la taleutuosa Betty Wright, che ha capito la bravura della Stone, lo ha lucidato e ne è nato un disco che fa rinascere il Miami Sound, misto di r&b e soul di 30 anni fa, realizzato con uno stuolo di musicisti ripescati apposta. Doveva essere un disco di brani autografi e cover contemporanee (è rimasta la curiosa versione di «Fell in love with a boy» dei White Stripes), si è trasformato in una meravigliosa rinascita attraverso «Dirty man» di Laura Lee, brano femminista ma attraversato da una sottile ironia; «Some kind of wonderful» di John Ellison dei Soul Brothers Six; «I had a dream» che John Sebastian cantò a Woodstock; «Ali the king's horses» della divina Aretha. Un talento ben guidato. Meno sorprendente e meno legato ad un genere è Jamie Cullum, 23erme inglese definito muovo Sinatra» e «David Beckham del jazz». Colorite esagerazioni. In «Twenty something» (Universal, 1 Cd) con la sua voce straordinariamente matura e al piano ofire levigate versioni di vecchi brani e di classici contemporanei (Jimi Hendrix, Jeff Buckley, Billy Joel) mescolati a materiale proprio. Brillante ma con ampi margini di miglioramento.

Luoghi citati: Bee, Woodstock