Bush in tv: fu doveroso attaccare l'Iraq, sono un presidente di guerra

Bush in tv: fu doveroso attaccare l'Iraq, sono un presidente di guerra INTERVISTA ALLA MBC DALLO STUDIO OVALE Bush in tv: fu doveroso attaccare l'Iraq, sono un presidente di guerra «Vorrei che non fosse così, ma è così, lo vedo i pericoli ed è importante che li affrontiamo». «La Cia è moto ben guidata da George Tenet, la sua poltrona non traballa affatto». «Mi aspetto ancora di trovare quelle armi» intervista TimRussert WASHINGTON PRESIDENTE Bush, venerdì scorso lei ha annunciato la creazione di una commissione con l'incarico di valutare il fiasco dell'intelligence nella guerra dell'Iraq. Perché solo adesso? «Mi consenta un passo indietro per parlare di intelligence in senso generale. La raccolta e l'analisi delle informazioni è un aspetto essenziale della guerra e della vittoria sul terrorismo, perché è una guerra contro individui che si nascondono in caverne in luoghi inaccessibili, sono collegati attraverso una rete oscura e trattano con Stati canaglia. Per questo abbiamo bisogno di un buon sistema di intelligence. La commissione ha il compito di analizzare che cosa è andato bene e che cosa è andato male. C'è una lezione da imparare, per poter fornire ai futuri presidenti il prodotto mighore possibile». Il premier Tony Blair ne ha creata una simile in Gran Bretagna... «Sì». ... che dovrà riferire le sue conclusioni a luglio, mentre per la sua occorrerà aspettare il marzo 2005, cinque mesi dopo il voto per la Casa Bianca. «Sì». Ma gli americani non avrebbero diritto a conoscere i risultati della commissione prima delle elezioni? «Noi non voghamo che la commissione si senta il fiato sul collo. Deve fare un'analisi strategica, una sorta di grande affresco deu j capacità dell'intelligence di raccoghere informazioni nei punti caldi del mondo. Ci sarà abbastanza tempo perché la gente giudichi se ho fatto un buon lavoro, se ho preso la decisione giusta rimuovendo Saddam dal potere. I risultati della commissione aiuteranno i futuri presidenti a trovare i mezzi migliori per combattere la guerra al terrore ed è ima parte importante delle lezioni che abbiamo imparato in Iraq e, prima ancora, in Afghanistan. Queste lezioni ci torneranno utili in Iran come nella Corea del Nord, perché viviamo ancora in un mondo pericoloso. E' importante, io credo, che la gente capisca da dove prendo le informazioni per dire che questo è un mondo pericoloso. Vorrei tanto che non lo fosse. Ma io sono un presidente di guerra. Io qui, in questo Studio Ovale, prendo decisioni di pohtica estera con la guerra in testa. Ripeto: vorrei che non fosse così, ma è proprio così. E gli americani devono sapere che hanno un presidente che vede il mondo così com'è. Io vedo i pericoli ed è importante che noi li affrontiamo». Lei andrà a testimoniare davanti alla commissione? . «Lei pensa che io non ci vada? Ma io ci andrò! Sarò ben lieto di mettere a disposizione della commissione tutto quello che so e di dare qualche indicazione, se me la chiedono. Tanto per darle un'idea di che cosa penso dell'intelligence americana, le dirò che ritengo la Cia molto ben guidata da George Tenet». Allora la sua poltrona non traballai «Assolutamente no». Il senatore repubblicano Chuck Grassley si è detto certo che Osama bin Laden sarà catturato tra adesso e il 2 novembre, giorno delle elezioni. «Apprezzo il suo ottimismo, ma non so proprio se ci riusciremo. Sappiamo che i nostri uomini gli stanno dando la caccia e che Bin Laden è un killer a sangue freddo che incarna la natura del nemico che abbiamo di fronte. Lui si nasconde e noi cerchiamo di prenderlo. Sono molto soddisfatto per il lavoro buono, anzi eccellente, fatto per smantellare al Qaeda. Due terzi dei capi sono stati catturati o uccisi. Abbiamo migliaia e migliaia di uomini e agenti di Paesi alleati che partecipano alla caccia». Ha idea di dove si trovi? «Non intendo parlarne». Allora torniamo all'Iraq. La notte in cui ha trascinato l'America in guerra, lo scorso 17 marzo, lei disse: «Le prove raccolte da questo e da altri governi non lasciano dubbi sul fatto che il regime iracheno continua a possedere e nascondere alcune tra le più letali armi mai progettate». «Giusto». Sembra però che non sia così. «Esatto». Che cosa risponde a chi la accusa di aver portato in guerra il Paese con falsi argomenti? «Innanzitutto, io mi aspetto di trovare quelle armi. Seduto alla mia scrivania, di fronte alla difficile decisione tra guerra e pace, io ho basato il mio giudizio sulle migliori informazioni possibili raccolte negli anni, informazioni che non solo noi ma anche eccellenti analisti di altri Paesi ritenevano valide. Presi quella decisione nel contesto della guerra al terrorismo. In altre parole, eravamo sotto attacco e perciò ogni minaccia andava analizzata e rianalizzata. Non agire avrebbe reso Saddam Hussein più spaval- do. Avrebbe potuto sviluppare prima o poi l'arma nucleare. Non dico subito, ma con il tempo ci saremmo trovati nella posizione di subire il ricatto nucleare». Il direttore della Cia ha detto che i suoi rapporti contenevano dubbi e inviti alla cautela, ma quando lei parlò alla nazione, disse che non c'erano dubbi, che «il regime iracheno era una minaccia di estrema urgenza». «Credo, se posso ricordare le mie parole, di avere parlato di minaccia grave e crescente, ma non voglio entrare in una disputa di vocabolario. Voglio invece condividere con lei le impressioni che avevo in quel momento. Non avevo nessun dubbio sul fatto che Saddam Hussein rappresentasse un pericolo per l'America. Era pericoloso perché aveva la capacità di possedere un'arma speciale, di fabbricare un'arma speciale. Noi americani pensavamo che possedesse armi di distruzione di massa. Anche la comunità intemazionale lo pensava. Saddaìm aveva la capacità di fabbricare un'arma del genere e fare in modo che finisse in mano a una losca rete terroristica. E' importante che la gente capisca il contesto nel quale ho preso la mia decisione». Ma si può lanciare tuia guer- ra preventiva senza prove inossidabili della presenza di armi di distruzione di massa? «Le prove che io avevo andavano nella direzione che lui, quelle armi, le aveva». Gli americani hanno l'impressione che le prove esibite fossero ambigue e che lei le abbia «gonfiate» per spingere nella direzione della guerra. «Io e la mia squadra prendemmo Je informazioni disponibih, le analizzammo e ci fu chiaro che Saddam era una minaccia per l'America: ha utilizzato armi di distruzione di massa, ne ha fab¬ bricate. Ha finanziato kamikaze contro Israele. Aveva legami con il terrorismo. Era un pazzo e non ci si può fidare di un pazzo». Ma ci sono altri pazzi in giro per il mondo. Fidel Castro... «Giusto». ...e altri in Iran, nella Corea del Nord, in Birmania... Eppure non andiamo a rovesciare quei governi. «Giusto. Ma c'è una differenza: in Iraq avevamo esaurito tutte le opzioni diplomatiche». Il suo vicepresidente aveva detto che saremmo stati salutati come liberatori e invece siamo in forti difficoltà. Abbiamo sbagliato i calcoli? «Ma io penso che noi in Iraq siamo i benvenuti!» Lei è sorpreso dall'intensità della resistenza? «No, non lo sono. In quella parte del mondo c'è gente che capisce benissimo che cosa significhi un Iraq libero e perciò vuole assolutamente bloccare l'avanzata della libertà e della democrazia. Le società libere non sviluppano armi di terrore di massa e non ricattano il mondo. Certo, c'è un certo nervosismo tra gli iracheni sul loro futuro, anche se vogliono una società pluralistica. Mettere in atto un governo democratico non sarà facile. La strada verso la democrazia è caotica, soprattutto per un popolo che è stato terrorizzato, torturato e brutalizzato da Saddam». Lei pensa che la caduta di Saddam Hussein valga le 530 vite americane che è costata finora, più i tremila feriti? «Ogni vita è preziosa, ma è necessario che io mi spieghi bene alle famiglie che hanno perso i loro cari. Saddam Hussein era un pericolo e io non posso avere a che fare con un pazzo. Un Iraq libero gambiera il inondo. Questi sono teuipi scolici. Un Iraq libero farà si che alui bambini nel nostro Paese crescano in un mondo più sicuro, io ciedo che l'America abbia la responsabilità di guidare la guerra contro il terrore e di denunciare chiaramente le minacce al nostro mondo». Alla luce di queste armi che non si trovano, Jei ritiene che la guerra in Iraq sia tuia guerra di scelta o di necessità? «E' una guerra di necessità. Non avevamo scelta». Il 2 novembre gli americani sceglieranno il loro prossimo presidente. Perché dovrebbero votare di nuovo lei? «Perché ho una visione di quello che intendo fare per questo Paese. Voglio condurre il mondo verso più pace e più libena. Voglio condurre il nostro Paese a lavorare con gli altri per cambiare il mondo in modo positivo». Lei allora non pensa di perdere... «No, non prevedo proprio di perdere». Copyright 2004 Nbc Meet The Press (mdgt Non penso che perderò ^" le elezioni di novembre Ho una visione di quello che intendo fare per il mio Paese Voglio condurre il mondo verso più pace e più libertà. Voglio condurre l'America a lavorare con gli altri per cambiare il mondo in modo positivo No, non prevedo proprio di perdere 99 l&^b La Commissione ^^ che ho creato deve fare un'analisi strategica della nostra capacità di raccogliere informazioni sul terreno I suoi risultati serviranno ai prossimi presidenti che si troveranno in mano uno strumento tìfeA adatto ai tempi ^^ Laura Bush, grande atout presidenziale Un soldato americano di pattuglia pei le strade di Baghdad Il presidente Bush nello Studio Ovale durante le prove di luci e microfono che hanno preceduto l'intervista con Tim Russert