In forma di Arcangeli

In forma di Arcangeli TRENT'ANNI FA SCOMPARIVA IL CRITICO E STORICO D'ARTE BOLOGNESE, ALLIEVO DI ROBER In forma di Arcangeli L 14 febbraio saranno trent'anni dalla scomparsa di Francesco Arcangeb, l'albevo di Roberto Longhi, critico e storico dell'arte (forse in nessuno come lui le due dimensioni si intrecciarono). Per l'occasione esce, a cura di Ivo lori, una raccolta di scritti inediti e rari, Uno sforzo per la storia dell'arte (Monte Università Parma Editore, pp. 140, C15, tei/fax 0521/386014, www.raupedi- tore.it, info@mupeclitore.it). Pubblichiamo, per gentile concessione, gran parte del testo che dà il titolo al libro, discorso letto dallo stesso Arcangeb all'Accademia dei Lincei, quando ricevette il Premio FeltrineUi nel 1969, nonché una riflessione su Eugenio Montale. Anche Miner¬ va edizioni di Bologna (tei. 051/6630557) rende omaggio a Arcangeb (cbe nella capitale emiUana nacque nel 1915, ivi morendovi): ha da poco riproposto «Natura e espressione», in giugno accogberà in catalogo Dal romanticismo ali 'informale, apparso da Einaudi nel 1977 (sempre lo Struzzo pubbbcherà nel 1981 Giorgio Morandi: Morandi cbe rinnova «l'antico miracolo famigbare all'arte itabana: spogbar la materia d'ogni episodio e per lasciarle la sua naturale evidenza»). Fondamentale, di Francesco Arcangeb, è il saggio uscito su Paragone, la rivista di Roberto Longbi, nel novembre del 1954: Gli ultimi naturalisti, a cui seguirà nel '57 - ideale svolgimento - Una situazione non improbàbile. «Ultimi», ovvero, come deluciderà Roberto Tassi, «il senso dell'estremo, della perdutezza, di un evento portato ai limiti più lontani possibile, all'orlo dell'avventura e dell'abisso». «Naturafìsti», ovvero - avverte Arcangeb - i testimoni di una natura «che si guarda, si respira, si sente, si soffre ancor prima che la si dica in parole», «il senso del due», artista e natura pantelsticamente fusi, confusi. Da Morandi e Merlòtti (e Wols, Pollock, de Staél, i «grandi tragici poeti dell'informale» - ancora Tassi) a, su per b rami, Wibgelmo, alle radici della Padania, dove «il sangue dei Galb e dei Longobardi si mescolò col sangue latino». [b.q.J Francesco Arcangeli DENSO cbe la cosiddetta "presa di coscienza" su una certa qualità del mio lavoro per la critica e per la storia dell'arte sia accaduta, in me, una quindicina d'anni fa; quando mi capitò di scrivere un saggio che si intitolò "Gb ultimi naturalisti". Ricordo che ebbi, aUora, l'obbiezione d'una personalità della storia dell'arte cbe mi ha sempre seguito con le quabtà austere e penetranti - e pure umane - del suo ingegno; mi disse cbe con quel saggio io "ero uscito dalla storia dell'arte". A distanza di molti anni mi illudo che, coscientemente per la prima volta, io avessi tentato, in queUe pagine, uno sforzo iniziale per far coincidere in me stesso la storia dell'arte e la critica dell'arte. Quello sforzo è continuato poi, più o meno progressivamente, più o meno febcemente, questo non posso saperlo; ma è quello che ho sentito agire entro di me (...). A me è toccata la fortuna di essere albevo di Roberto Longbi; e, fin da quell'ormai lontano autunno del 1934 in cui io - che ancora non lo conoscevo personalmente gb intesi leggere la famosa prolusione sui "Momenti della pittura bolognese", seppi che cosa era la specificità della discipbna che poi avrei scelta come mio campo di lavoro; credo d'averlo saputo, almeno in nuce. Alte e appassionate, pur nella apparente imperturbabiblà della dizione, suonarono queste parole di Longhi: "condotto daba mia conformazione mentale ad un amore per la lettura diretta dell'opera come documento parlante, non mai stanco di sprememe i significati quasi inesausti...". Questa specificità non può venir meno, anche se l'opera tradizionalmente intesa trapassi in "opera aperta", in "enviromnent", persino in "happening", per usare i termini nati in una metropob dell'arte contemporanea. Di questa specificità della ricerca storico-artistica Longhi ha dato, io credo, con il suo lavoro, la riprova più circostanziata e gemale del nostro secolo; dove, dalle fonti positive della disciplina fu precoce il trapasso a una visione totale dell'opera, cui lo storico rispondeva con un'ineguagbabile capacità di "parlarla" come egb stesso definì l'operazione della risposta ai testi - ma anche con un articolatissimo innesto di quei valori della "pura visibibtà" cbe innervavano d'oggettività visuale quel rapporto. Da questa operazione compiuta e specifica, che è l'apporto più rilevante e individuato della storia dell'arte itabana alla disciplina nella sua compresenza ormai totale, da que- sto mirabile sommarsi deUe doti del vero conoscitore e del vero storico, da questo modello io credo che non dovrò mai staccarmi, e con me quelb che si sono abbevera- ti a questa fonte. Non potremo, mai, non dirci longhiani. Io credo. infatti, profondamente cbe, accan- to allo schema dialettico deUa vita e del pensiero, ne possa esistere, ne esista anzi, un altro: cbe è queUo cbe potrebbe definirsi del tramando. Ma il tramando accade oggi neUe condizioni particolari di cui s'è detto sopra; condizioni innova- tive, profondamente. E non potreb- he non essere, dunque, se non tramando per trasmissione, ma ad un tempo anche per trasformazione. I significati dell'opera si fanno "inesausti" entro la vita della storia, che, per la mia generazione, non è mai stata la stona con la esse maiuscola dello storicismo; ma umana, travagbata coscienza del tempo cbe passa. L'opera è inesausta nei significati anche perché è inesausto il travagbo che è dentro di noi. Può darsi che la mia generazione abbia esasperato il senso deU'individuo, senziente e combattuto, talvolta, fino alla distruzione di se stesso; abbiamo creduto neU' "anno zero" della coscienza e della vita, abbiamo creduto nella ricarica, non solo dell'arte, ma anche deUa coscienza e deUa vita: perciò, nella ricarica anche (e questo non poteva non essere impbcito in noi) della storia deU'arte come critica deU'arte; come discriminazione di ciò che accade oggi, in quanto ciò potesse essere fonte di un perpetuo rinnovarsi deU'arte e deUa sua critica. Vi dirò qualche parola di questa malattia apparente; cbe è stata, neU'arte, 1' "informale". L'artista deU"'informale", anche se U suo subconscio è ben coUocato neUa geografia, e carico di storia, è, a UveUo cosciente, un grumo di spazio, un attimo nel tempo. La sua dimensione sembra impossiMle, né vicina né lontana, né grande né piccola; può essere, se mai, infinitamente vicina o infinitamente lontana. Questa condizione è l'impulso per le sue scelte, apparentemente squilibrate; in realtà l'artista deb' "informale" è coUocato in un'orbita vera. Sono nato al buio, siamo nati al buio. È ormai perduto, per sempre io credo, o perlomeno chissà per quanto tempo, U senso luminoso e razionale di un umanesimo che, dopo l'antica Grecia, ebbe proprio in Itaba la sede più certa. E forse l'Itaba ba pagato questo suo umanesimo con una condizione marginale rispetto agb impulsi successivi e fondamentab del mondo moderno. Ora, abbiamo accumulato infinite nozioni, ma, apparentemente, nasciamo al buio. Abbiamo preso coscienza deUe forze intuitive e subconscie, e auspichiamo soltanto una nostra chiarezza futura; cbe, anche quando potrà approdare a una totale antropologia, lascerà tuttavia, probabilmente, impregiudicata la nostra coUocazione nel cosmo. Lo sfondamento copernicano deUe dimensioni deU' universo mi pare, in questo senso, irreversibile. Mentre, tuomo del Rinascimento si autocentrava nello spazio per un accumulo di convinzione psicofisica e di eroica volontà razionale, ora l'impulso inevitabUe deU'uomo ad autocentrarsi accade su una parabola mobUe. Ci autocentriamo, ma ansiosamente, confinati in un "qui ed ora" cbe appare un segmento infinitesimo su ecbtticbe proiettate misteriosamente nel tempo e neUo spazio. È probabUe che U ciclo del pensiero storicistico sia nato anche per contraccolpo d'una concezione mobUe deUa vita, quale fu soUecitata daUa nuova dinamica universale postcopemicana; ma, altrettanto probabilmente, lo storicismo è una proiezione sul futuro d'una concezione umanistica, cbe tende a pianificare il tempo cbe passa entro dimensioni note, prevedibib daUa mente; e da questa concezione è nata una storia deU' arte quale ancora noi, per così dire istituzionalmente, veneriamo. Un nuovo sforzo non può non essere, invece, cbe neUa direzione d'una storia deU'arte adeguata aUa critica deU'arte. È proprio nel momento critico, nel momento deUa scelta, inevitabUe, che non è più possibUe quel rimando, queU'alibi, tecnico, facilmente impbcito neUo storicismo. All'origine di questa scelta, cbe inceppa U meccanismo del rinvio aU'infinito, non può non stare la nostra gravitazione esistenziale. E' inutUe nascondere le nostre inclinazioni, che sono, in noi, altrettanto potenti deU'antichissimo "cbnamen" atomico. Sono le nostre inclinazioni cbe fanno valere le ragioni deUa critica deU' arte entro la storia deU'arte; così intensamente cbe, al limite, critica e storia non possono non coincidere. (...). «NON POTREMO MAI NON DIRCI LONGHIANI. IO CREDO CHE, ACCANTO ALLO SCHEMA DIALETTICO DELLA VITA E DEL PENSIERO, NE POSSA ESISTERE, NE ESISTA ANZI, UN ALTRO: CHE È QUELLO CHE POTREBBE DEFINIRSI DEL TRAMANDO, PER TRASMISSIONE E PER TRASFORMAZIONE» «SONO NATO AL BUIO, SIAMO NATI AL BUIO. È ORMAI PERDUTO, PER SEMPRE IO CREDO, 0 PERLOMENO CHISSÀ PER QUANTO TEMPO, IL SENSO LUMINOSO E RAZIONALE DI UN UMANESIMO CHE, DOPO L'ANTICA GRECIA, EBBE PROPRIO IN ITALIA LA SEDE PIÙ CERTA» r''' Sopra: Giorgio Morandi «Natura morta» Accanto: Francesco Arcangeli a Roma nel 1969, quando ricevette all'Accademia dei Lincei il premio Antonio Feltrinelli

Luoghi citati: Arcangeb, Bologna, Grecia, Italia, Parma, Roma