ART DECO Tra Liberty e avanguardie rivive l'Italia degli Anni 20

ART DECO Tra Liberty e avanguardie rivive l'Italia degli Anni 20 ART DECO Tra Liberty e avanguardie rivive l'Italia degli Anni 20 na to Fiz attutto urismo Marco Rosei DÉCO è abbreviazione della definizione di stile, di gusto, di tempo storico, gli anni 1920, della francese Art Déco, a sua volta nascente dalTExposition Internationale des Arts Décoratifs di Parigi del 1925, lo stesso anno della II Mostra di Arti Decorative di Monza. Dopo il recupero storico e critico del Modernismo intemazionale e dunque anche del Liberty italiano negli anni '40, quello del Déco risale alla mostra parigina del 1966 nel rinnovato e «aggiornato» Musée des Arts Décoratifs. Su una parete di fronte alla ricostruzione dell'appartamento della grande sarta Jeanne Lanvin campeggiava un quadro di Tamara de Lempicka, allora nota solo a pochi amatori sfiziosi, perfetto esempio di pittura di gusto Déco con la sua scimmiottatura snob e cartellonistica di Léger e di Delaunay. In effetti alla base di quel gusto nelle arti decorative vi era un'avanguardia, fra metacubista e «orfica», da «haute couture». La linea italiana, ottimamente illustrata ad Aosta a cura di Rossana Bossaglia e di Alberto Fiz, è altra: rappresenta soprattutto felicemente il vero volto originale e creativo del secondo Futurismo, al di sopra e al di là della noia ripetitiva dei dinamismi macchinistici e delle aeropitture, anche se ad esempio in mostra Figura e ambiente di Filila e il dipinto Compenetrazione di sentimenti di Thayaht reggono bene il confronto con la stilizzazione parigina delle avanguardie. Thayaht, con il bronzo Ballerina volante (da paragonare con rimmancabile regina degli anni '20, Josephine Baker dipinta da Ivanhoé Cambini), a cui corrisponde al secondo piano la bellissima Donna col ventaglio cubofiiturista di Mino Rosso, anticipatrice di Mastroianni, è presente nel salone introduttivo al primo piano. Vi campeggiano abiti di alta moda di ateliers da Torino a Palermo, in gran parte provenienti dalla Galleria del Costume di Palazzo Pitti a Firenze, e un mobile kitsch, con cimasa ad angolature cubiste e corpo con sculture meomichelangiolesche, esposto alla Mostra di Monza. E' opera di Giovanni Guerrini, autore del manifesto dell'esposizione, perfettamente déco. Ma il timbro primario è quello della «Ricostruzione futurista dell'universo», con delizie di Balla, daUo stupendo Appendiabiti dipinto alla tavoletta con Tenniste dipinte all'anilina, il piatto assai spiritoso GH ombrelloni e il bozzetto della ceramica II formichiere di Farfa, le prime ceramiche di Tullio Mazzetti di Albisola, poi ampiamente presenti nelle sale successive, e di Diulgheroff, attivo per lui nei primi anni '30, infine il bozzetto di Prampolini per il manifesto del Teatro Magnetico, puntualmente dei;925. È evidente in esso il rapporto con il costruttivismo sovietico, presente a Parigi con il padiglione di Melnikoff, architettura in antitesi assieme a quello dell'«Esprit Nouveau» di Le Corbusier. La ceramica è un punto di privilegio del Déco italiano e le scelte della mostra sono ben calibrate evitando con intelligenza un'aura generica di modernariato. Una prova palmare è offerta dalla presentazione delle ceramiche Lenci, accanto a quella d'obbligo di Gio Ponti per Richard Ginori e di Andlovitz per Laveno, per il quale però bisogna osservare che nel vaso Monza del 1925 è ancora tributario del Liberty di Chini. Salvo un bel vaso Temporale di Gigi Chessa, preziosamente pittorico nella sua ironia da Strapaese, la presentazione della Lenci è costituita da un lato da un gruppetto di «donnine» della fondatrice Helenchen Scavini Konig, malizioso documento di costume che preannuncia e determina la «Signorina Grandi Firme» di Boccasile, ma dall'altro offre giustamente ampio spazio alla genialità di Mario Sturani. Altre presenze significative o curiose: Capitan Fracassa e Arlecchino dell'esordiente Francesco Messina, il Cane del fratello di Tullio d'Albisola, Torildo Mazzetti, che è quello del Signor Bonaventura di Sergio Tofano. Vi sono giochi affascinanti di protagonisti futuri e di intrecci culturali. Ovvio protagonista è Depero, mattatore a Monza nel 1925 e illustratore per Vogue: il suo Gilet futurista di Marinetti, in panno Lenci, è di proprietà di Nespolo, dunque feticcio, emblema, modello linguistico. L'intarsio di legni Natura morta del 1919 dell'architetto e scenografo futurista Virgilio Marchi è un omaggio a Braque. Accanto ai mobili «neoclassici» di Gio Ponti, quello del collaboratore Franco Albini cubistizza il déco in direzione razionalista. Vi è infine il caso della straordinaria «boiserie» anni ' 10 di Vittore Zecchin,in cui le Coefore ((bizantine» dipinte su tela juta sono discendenti da Klimt e da Thom-Prikker, ma con una stilizzazione ritmica decorativa di gran lusso che avrebbe trovato ammirazione a Parigi 1925 fra Sue e Mare, Iribe e Erte. Curata da Rossana Bossaglia e Alberto Fiz rappresenta felicemente soprattutto il volto originale e creativo del secondo Futurismo Al Museo Archeologico di Aosta quadri, sculture, abiti, mobili ed affiches ricostruiscono il gusto e il fascino di un'epoca che fu consacrata nel 1925 dalle due grandi esposizioni di Parigi e di Monza L'Abbondanza, un olio su tela di Giulio Bargellini, degli Anni 30 dalla Collezione di Mariangela Calistì, Pavia Sopra un manifesto di Giovann Guerrini, Sirena, del 1926. A destra Nella (o Nasin), una ceramica policroma di Elena Scavini Konig, del 1930, dalla Collezione Proverbio di Torino Art Decò in Italia Aosta. Museo Archeologico Regionale Orario 9-19 Fino al 30 aprile