E' il cieco il vero visionario di Marco Vozza

E' il cieco il vero visionario E' il cieco il vero visionario Marco Vozza JACQUES Derrida è quasi certamente il filosofo contemporaneo più noto al mondo, in Europa come negli Stati Uniti, dove a decostruzione ha ispirato anche la critica letteraria, il femminismo e le scienze umane; alcuni però lo detestano, si ribellano all'idea di conferirgli una laurea honoris causa, lo accusano di praticare uno nichilismo iperbolico che non conduce ad alcuna affermazione accertabile, di essere un accademico alessandrino, un pensatore fumoso ed estetizzante, un neoconservatore e, negli ultimi tempi, anche un mistico. L'unica cosa certa è che Derrida ha modificato sensibilmente il canone stilistico della scrittura filosofica, esplorando territori nuovi del pensiero, pur muovendo da una invidiabile padronanza della storia della filosofia. Il principale problema della ricezione del pensiero di Derrida è la sua prodigiosa (qualitativamente e quantitativamente) produzione di testi: ogni conferenza si trasforma in un volume, al ritmo di due o tre l'anno, tanto che anche i suoi più attenti esegeti rischiano di lasciarsi sfuggire rilevanti aspetti della sua filosofia, come è il caso degli studi di estetica sviluppati dapprima ne La verità in pittura e rinnovati dalle Memorie di cieco, che va considerato senza esitazioni uno dei capolavori di Derrida; il libro risale al 1990 e nasce come catalogo di una mostra da lui ideata al Louvre, secondo quella felice e audace formula del Parti pris che giustamente il curatore dell' edizione italiana si rammarica di non veder importata in Italia. L'allegoria della conversione dalla cecità alla visione interiore domina anche le pagine di queste Mémoires d'aveugle tracciate da Derrida: dopo aver sviluppato l'ipotesi di una gene¬ si originaria del disegno dalla condizione trascendentale della cecità (che rende possibile ogni visione), di un autoritratto che cancella la propria immagine per offrirla allo sguardo dell'altro, il filosofo francese (con riferimento al mito della caverna platonico ma soprattutto alle Confessioni di Agostino) parla di una conversione che libera l'uomo dalla «prigione fenomenica del mondo visibile», la quale equivale ad una cecità dell'anima: così, nel Vecchio come nel Nuovo Testamen- to, il cieco diventa un testimone o un visionario, un archivista della visibilità che distingue le due fonti luminose e attesta della luce divina che fa risplendere la verità. Paradossalmente, Gesù afferma di essere venuto al mondo affinché coloro che non vedono vedano e coloro che vedono diventino ciechi: dalla visibilità alla visione, come per anamnesi, mediante una fede che è cieca, che sacrifica la vista per rendere possibile l'autentica visione, invisibile all'occhio che persegue la rappresentazione mimetica della realtà visibile. In un altro bellissimo libro dal titolo Donare la morte ( Jaca Book, pp. 208, 6 16) Derrida sceglie le incisioni di Rembrandt per accompagnare il suo testo; avvalendoci ora del discorso sull'invisto, di questa estetica spettrale, sarà possibile osservare come gli autoritratti di Rembrandt non mostrino tanto l'invecchiamento del soggetto, l'usura del tempo, la decomposizione psicofisica, quanto più essenzialmente la rovina del volto, il suo ritrarsi dal visibile e affidarsi alla memoria: «la rovina non sopraggiun- gè come sopraggiunge un incidente in un monumento dapprima intatto. In principio è la rovina. Rovina è qui ciò che accade all'immagine a partire dal primo sguardo. Rovina è l'autoritratto, il viso fissato come memoria di sé, ciò che resta o ritorna come uno spettro non appena al primo sguardo su di sé una raffigurazione si eclissa». La rovina appare così la cifra dell'esperienza stessa, di una totalità che si sottrae al soggetto, di una impossibile intuizione diretta che ne determina il carattere luttuoso, di sfibrata malinconia narcistica. Questa modalità della conversione - che segna tutto il percorso metafisico Z introspettivo della filosofia occidentalecome ritrarsi trascendentale evoca il linguaggio della teologia negativa perchè tale visione si offre senza manifestarsi, come il Dio nascosto che si ritira o si eclissa nell'invisibile, si sottrae al sensibile così come all'intelligibile, nominato e subito cancellato. La conversione va intesa come uno scambio economico tra la cecità e il supplemento di chiaroveggenza: così il cieco può diventare il veggente o il visionario, testimone di una visione provvidenziale ad occhi chiusi, come nel Sogno di Giacobbe di Rembrandt. La cecità illumina l'occhio interiore mediante la rinuncia allo sguardo rivolto all'esteriorità dei corpi, finalmente ricondotto alla fonte accecante della luce o della parola divina, come nella Conversione di san Paolo di Caravaggio a Santa Maria del Popolo: è il privilegio di una rivelazione che richiede con intransigenza l'epoche, la sospensione dello sguardo mondano. Dall'esterno all'interno, dalla concupiscentia oculorum al raccoglimento nei penetrali della memoria, dal piacere di sguardi carnali rivolti a forme seducenti all'intimità dell'autocoscienza. Questo il senso dell' autoritratto/confessione di Agostino: «Questa è la Luce, è l'Unica Luce, e un'unica cosa coloro che la vedono e l'amano. Viceversa questa luce corporale insaporisce la vita ai ciechi amanti del secolo con una dolcezza suadente ma pericolosa... Resisto alle seduzioni degli occhi». L'accecamento diventa allora una benedizione, un premio divino che assume infine il tono apocalittico di uno sguardo che rinuncia al regno del visibile (dominato dalla curiositas) ed accede alla sua destinazione suprema, velandosi di lacrime per la gioia di una acquisita chiaroveggenza. Derrida, il filosofo oggi più noto, prolifico e discusso, amato e detestato, esplora nei suoi studi di estetica ciò che è invisibile all'occhio, che si sottrae ai sensi e si mostra invece allo sguardo dell'interiorità i^ftrv"^.-. ìms.mKXiì* tmm&mm ummMm&zmsÈ&mm&v m \iMsmmmamt m - wwwm'-m.esmì ■y\ Un'incisione di Rembrandt, uno degli artisti scelti da Derrida per le sue riflessioni sulla cecità che "illumina l'occhio interiore ", rinunciando allo sguardo rivolto all'esteriorità Jacques Derrida Memorie dl cieco L'autoritratto e altre rovine a cura di Federico Ferrari Abscondit. pp. 175, e 18 S A G G

Luoghi citati: Caravaggio, Europa, Italia, San Paolo, Santa Maria Del Popolo, Stati Uniti