E' proprio crudele essere troppo sinceri

E' proprio crudele essere troppo sinceri E' proprio crudele essere troppo sinceri Ermanno Bencivenga COME si scrive un libro? Supponete di aver avuto in sorte un'idea: un'affascinante creatura fatta di vento e passione che promette sorprese e sconquassi, che illumina con i suoi bagliori un tratto di strada accidentato, dalla destinazione incerta e misteriosa. Dovrete adattarle un genere letterario, arricchirla di tropi, incollarvi le vostre esperienze, le vostre letture, i vostri desideri. E dovrete trovare una misura: esercitare sufficiente controllo su digressioni e sviluppi da far risaltare il tema, chiarirlo e rivelame tutta l'improvvisa necessità, nel modo sottile in cui una salsa delicata ci fa conoscere per la prima volta il gusto prepotente della selvaggina. Troppo condimento può avere esiti letali, come con le patatine di McDonald's annegate nel ketchup. L'idea che fonda La virtù crudele. Filosofia e storia della sincerità, di Andrea Tagliapietra, è assai promettente. Che cosa c'è di più semplice, in prima battuta, della sincerità, ossia del dire la verità? E che cosa c'è di più giusto, di più corretto, di più moralmente buono? Poi si scava un po' nel profondo ed emergono, appunto, le sorprese; si delineano, appunto, gli sconquassi. Di quale verità stiamo parlando: di una neutrale corrispondenza con i fatti, che cela (anche a noi stessi) le nostre intenzioni, le nostre scelte, i nostri demoni? Non dovremmo distinguere tra veridicità e autenticità: tra rispecchiamento accurato del mondo e fedeltà al nostro Io interiore? E non è forse, questa "virtù" (in entrambe le sue principali manifestazioni), usata spesso come un'arma; non cominciano, tanti discorsi che fanno male, con la premessa "Ti dirò la verità, senza nasconderti nulla"? È un'idea, dicevo, che promette bene. Che fame? Come costruirci intomo un testo? Tagliapietra si rivolge allo schema rassicurante della storia delle idee, dove trova uh posto per ogni cosa e ogni cosa al suo posto; e ci offre 500 pagine di resoconti affrettati e manualistici medaglioni, tentando disperatamente, come chi si ripa- ra dal freddo con una coperta troppo stretta, di inglobare nel suo libro l'intero scibile (l'indice analitico contiene più di mille nomi). Si capisce che il suo cuore batte per la letteratura francese: che gli piacerebbe dilungarsi su Molière e Madeleine de Scudéry, su Stendhal e Constant; ma non c'è tempo, bisogna parlare anche di Kant e di Hegel, di Aristotele e Agostino, di Kierkegaard e Carlyle, di Pirandello e Heidegger. E, mentre se ne parla, non si può rinunciare a nessuna informazione, per quanto irrilevante. I Ricordi dal sottosuolo furono pubblicati sulle pagine della rivista Epocha all'inizio del 1864; il dramma L'anatra selvatica fu rappresentato per la prima volta al Norske Theater di Bergen il 9 gennaio 1885; Tommaso d'Aquino iniziò a stendere la Summa Theologica a 34 anni. Né si può fare a meno, siccome il linguaggio è quello accademico, di introdurre deferenti citazioni a tutti i luminari del caso (e non), anche quando quel che dicono nulla aggiunge alla loro fama. C'è davvero biso¬ gno di Starobinski per "intuire" che «Montaigne rovescia la scansione classica fra essere e apparire»? O di Italo Valent per imparare che Wittgenstein «ripercorre accuratamente i meandri lungo i quali si genera il mito di una realtà interiore»? O del "suggerimento" di Lioitel Trilling per trovare in Laing, Marcuse e Norman Brown i segni «della distanza degli sviluppi più recenti della teoria psichica dal modello freudiano del Super-Io civilizzatore»? Anche il lettore più benevolo, sottoposto a un simile fuoco di fila di riferimenti, di riassunti dell'Amleto e di Cuore di tenebra, del Werther e del Nipote di Rameau, di curiosità e dati d'ogni genere, perde di vista (con rimpianto) l'immagine evanescente e suggestiva che aveva contemplato all'inizio. E finisce per chiedersi se non sia, questo annegare un'idea nella tetra dizione universitaria (in cui Schopenhauer è "il filosofo di Danzica" e Nietzsche è "il filosofo svevo"), questo tormentarla nel letto di Procuste di una rigida, prevedibile periodizzazione (che ci inchioda al ruolo di "spettatori postmoderni"), un modo per nasconderne la verità. Per dime tutto quel che c'è da dire facendo in modo che nulla venga raccolto o compreso. Storia e filosofia di una virtù ambigua, una buona idea per un saggio che affronti cosa significa dire sempre la verità: purtroppo non basta per questo affidarsi a mille digressioni, da Aristotele a Kant, da Molière a Starobinski Il teatro di Molière è tra le principali fonti del saggio di Tagliapietra s i Andrea Tagliapietra La virtù crudele. Filosofia e storia della sincerità Einaudi, pp. XVI-506, ^ 22 SAGGIO

Luoghi citati: Bergen, Danzica