Poe, questa è l'agonia della modernità di Ruggero Bianchi

Poe, questa è l'agonia della modernità ICLASSIGI-LA STAMPA Ruggero Bianchi Poe, questa è l'agonia della modernità PER l'America puritana e conservatrice, Edgar Allan Poe resta ancor oggi il poeta maledetto, l'artista emarginato che si vorrebbe ignorare, non tanto per ciò che ha scritto quanto per il suo porsi in intima contraddizione con i miti e i valori déWAmerican Dream, di cui è testimonianza dolorosa la sua stessa vita: un'esistenza minata dall'alcol, sconvolta dalle allucinazioni del delirium tremens, segnata dalla tragica morte dei genitori e dallo «scandaloso» matrimonio con Virginia, la cugina tredicenne, e troncata ad appena quarant'anni, alla vigilia di nuove nozze, da una morte anonima lungo una strada periferica di Baltimora. Ma in Europa e soprattutto in Francia, grazie dapprima all'ardente e sconfinata ammirazione di Baudelaire e, successivamente, pur se in forma meno impetuosa, di Mallarmé e di Valéry, è stato subito consacra¬ to come uno dei grandi maestri della modernità, con le sue fratture, i suoi traumi e le sue agonie; al punto che la sua figura e i suoi scritti sono stati sondati da psicologi e psicoanalisti di ogni tendenza freudiani, kleiniani, junghiani - da Marie Bonaparte a Jacques Lacan. Oggi l'immagine dominante di Poe, soprattutto al di qua dell'Atlantico, va oltre lo stereotipo del narratore che riversa sulla pagina le visioni perverse e morbose coltivate o subite nei momenti di abbandono ai paradisi artificiali; sovrapponendole quella dello scrittore lucidissimo che applica le regole da lui stesso elaborate in saggi ormai canonici, apprezzati persino da Benedetto Croce, quali 7Zprincipio poetico e La filosofia della composizione: il racconto deve mirare al massimo di «effetto» sul lettore; il climax, frutto di un crescendo continuo di tensione, deve nei limiti del possibile coinci¬ dere con il finale; e quindi, per narrare al megho, occorre iniziare dal fondo e procedere a ritroso. Quanto poi al clima emotivo, orrore e terrore non nascono più soltanto, come nei vecchi romanzi gotici, da una scenografia estema di maniera - paesaggi lugubri, edifici sinistri, rumori agghiaccianti o apparizioni spettrali - ma scaturiscono in primo luogo dagli abissi dell'animo, dagli incubi orrendi e mostruosi della psiche. Qualcosa di ben diverso, insomma, non soltanto dal mondo del pulp e dello splatter, ma anche da quello di Stephen King o di Tiziano Sciavi. Non sorprende allora che, spostando di qualche grado le prospettive e i toni della narrazione, Poe riesca a spaziare (percorrendoli a volte per primo) lungo tutto l'arco dei sottogeneri dell'immaginario, dal mystery al noir, dal sensational all'horror, dalla fantasy alla fantascienza. Inventa di fatto il giallo con I delitti della me Morgue, Il mistero di Marie Rogét e La lettera rubata, creando il personaggio di Dupin, flemmatico e sedentario progenitore di Sherlock Holmes e di Nero Wolfe. Precorre Maupassant e Lovecraft nello studio dei meccanismi della paura, controllati più dalla psicologia che dalla metafisica. E anche quando affronta situazioni ed eventi che paiono sconfinare nell'ultraterreno o nell'esoterico, si preoccupa sempre di segnalare tra le righe il confine tra lo spiegabile e l'inspiegabile, tra l'inverosimile e l'impossibile. Sicché perfino i suoi racconti più classici, quali Ligeia, Morella o Berenice, delegano al singolo lettore (come nota Todorov nel suo volume sul fantastico) la responsabilità e l'emozione dell'interpretazione ultima dei fatti. Tocca a lui, alla resa dei conti, decidere se varcare o no la soglia: se leggerli in chiave di metempsicosi e reincarnazione o addirittura di vampirismo alla Dracula; o intenderli invece come stati allucinatori vissuti e narrati da deliranti menti patologiche; o declassarli ad accadimenti magari straordinari ma pur sempre riconducibili alla scienza o comunque spiegabili: la morte apparente in I funerali prematuri, ad esempio ; il mesmeri¬ smo e il coma profondo in Lo strano caso del signor Valdemar; la catalessi in II crollo della casa Usher; il complesso di colpa e gli scherzi tragici di un inconscio inteso come «demone della perversità» in II gatto nero o II cuore rivelatore; la schizofrenia in William Wilson, metaforizzata nel motivo del sosia e del doppio. Al di là dello scempio spesso grossolano fattone da certo cinema con la complicità dei vari Peter Cushing e Christopher Lee (ma le eccezioni non mancano: si pensi soltanto a Tre passi nel delirio, firmato da Federico Fellini, Louis Malie e Roger Vadim), Poe è insomma assai più di un antenato di Stephen King e dei narratori horror dei nostri giorni. La sua voce inquietante s'insinua ancor oggi nella nostra coscienza e nel nostro quotidiano, facendo di lui, come scriveva Alien Tate, uno strettissimo «nostro cugino». I racconti di un maestro dell'orrore e del terrore in edicola martedì 3 febbraio con La Stampa: un impavido investigatore degli abissi dell'anima stimato anche da Croce Edgar Allan Poe Racconti intr. di Gabriele Baldini trad. diG, Baldini e L Pozzi pp. XXXVIII - 506, e 4,90 in edicola con La Stampa martedì 3 febbraio

Luoghi citati: America, Baltimora, Europa, Francia, Virginia