Kennediani d'Italia in ordine sparso di Fabio Martini

Kennediani d'Italia in ordine sparso PER LA SINISTRA L'IMPORTANTE E' LA SCONFITTA DI BUSH Kennediani d'Italia in ordine sparso Fabio Martini ROMA Walter Veltroni già li vede abbracciati: «Al di là d.i ruoli che rivestiranno nella corsa alla Casa Bianca, John Kerry e John Edwards sono in grado di costituire il ticket migliore per battere il presidente Bush». La passione americana del sindaco di Roma risale agli anni del Pei e Veltroni può discettare di Stati Uniti senza lo zelo del parvenu, ma in Italia è sempre serpeggiante la tentazione di leggere con gli occhiali domestici le escalation di grandi politici non italiani. Anche stavolta? Francesco Rutelli si limita a rilanciare un felice slogan coniato negli States («Gli elettori si sono fidanzati con Dean perché li fa sognare, ma ora si vogliono sposare con Kerry perché li fa vincere contro Bush») e definisce l'ala maggioritaria dell'elettorato democratico con due termini («riformista e centrista») che in Italia potrebbero connotare un partito come la Margherita. Ma la curiosità con la quale i due leader più "americani" della sinistra italiana stanno seguendo le primarie democratiche per ora non sembra corrispondere ad una "Kerry-mania". E se il nuovo "Jfk" non gode ancora di quelle ventate di infatuazione un po' provinciale così tipiche dei politici italiani, circola già la speranza di essere travolti dall'innamoramento, se non altro per un parallelismo suggerito dal ds Carlo Rognoni: «In certi infatuazioni italiane c'è un po' di provincialismo e anche nel caso di Kerry potrebbe accadere tjualcosa del genere, ma la simpatia che anche da noi circonda i candidati democratici è legata al fatto che anche per un cittadino europeo una presidenza come quella di Bush è molto "tosta" e tutti capiscono quali benefici avrebbero l'Europa e l'Italia da una presidenza democratica». Insomma, chiunque caccia il Presidente Bush va bene, esattamente come da noi l'unico cemento dell'opposizione è l'ostitilità a Berlusconi. L'istintiva simpatia suscitata da Kerry nella sinistra italiana si spiega così? «Faccio fatica a tradurre in italiano quel che sta accadendo negli Stati Uniti - dice Ermete Realacci anche perché si fa un grande evocare la stagione kennedyana, ma personalmente non vedo nessuno, tra i candidati democratici, capace di ricordare una figura come quella di Bob Kennedy». E così, alla fine, ciò che trova d'accordo quasi tutti è la chiave per interpretare il successo di Kerry. Dice il ds Franco Bassanini: «Mi hanno invitato alla Convention dei democratici di Boston e lì si sarà consolidata la tendenza che constatiamo in queste settimane: l'indizzo ideologico della presidenza Bush sta rilanciando le chances dei Democratici che sembravano destinati alla sconfitta. Ma non di tutti i Democratici, solo dei Democratici di governo». E il presidente dei senatori della Margherita Willer Bordon: «Starei attento a fare parallelismi tra Kerry e la nostra politica però una cosa è vera, qui e lì: i progressisti vincono quando riescono a parlare all'elettorato moderato senza perdere quello più radicale». II sindaco di Roma Walter Veltroni