La tragedia del popolo che vuole uno Stato di Giuseppe Zaccaria

La tragedia del popolo che vuole uno Stato UN PRÒSLÉMA IRRISOLTO DEL DOPO SADDAM La tragedia del popolo che vuole uno Stato ^omesse mancate e nemici: il rompicapo di una nazione fantasma analisi Giuseppe Zaccaria POCO più di un mese fa Masud Barzani, presidente del Partito democratico del Kurdistan aveva pubblicato sul giornale «Al-Ta'aki» un articolo che parlava alla nuora araba perchè suocera americana intendesse. Intitolato «La collaborazione curdo-araba» già dalla premesse il lungo intervento chiariva una volta per tutte come i sei milioni di curdi iracheni non soltanto si pongano come etnia separata (il che non sarebbe stata una novità) ma dopo i sacrifici fatti ed i servizi resi vogliono «affermare un'identità politica e nazionale» sia pure nell' ambito di un Iraq federale. Pochi giorni prima Jalal Talabani, leader della formazione rivale, l'Unione Patriottica, aveva espresso le medesime posizioni in un'intervista che commentava la cattura di Saddam Hussein ed il ruolo essenziale svolto dai «peshmerga» nell'operazione. Le «bombe umane» di Irbil dicono che dopo più di vent' anni la questione del Kurdistan indipendente si pone sul tappeto in termini molto più drammatici di quanto tutti ritenessero, e che se fino a ieri questa veniva considerata l'area più affidabile ed omogenea del Paese adesso si avvicina forse il momento di un conflitto rinviato per più di un decennio. La questione di fondo è la medesima che con la fine della Prima guerra mondiale si aprì con la separazione dei curdi in quattro Stati: anzitutto la Turchia che ne accoglie il maggior numero (si parla di quindici milioni di persone), quindi l'Iraq (circa un milione e mezzo) e poi ancora l'Iran e la Siria, senza considerare gruppi meno consistenti che si sono collocati in alcune repubbliche ex so¬ vietiche. Sono trascorsi più di ottant'anni, il quadro geopolitico è cambiato più volte, i massacri dei curdi si sono ripetuti eppure il problema resta identico, in quale misura ancora più acuto, e si può ridurre in una semplice frase: un Kurdistan indipendente converrebbe soltanto a chi lo abita. Quello iracheno rappresenta il solo territorio in cui un esperimento di Stato futuribile sia proseguito «in vitro» per più di dieci anni, soprattutto nelle città di Irbil e Suleymanya. La prima guerra dui Golfo aveva scatenato la rivolta dei fieri guerriglieri del Nord e per questo fin dal '92 Stati Uniti ed Inghilterra continuarono a proteggere la regione per mezzo di una «no fly zone» che impediva agli elicotteri di Saddam Hussein di attaccarla ed alla Guardia Repubblicana di spandere nuovamente gas letali. Sotto l'ombrello dei «caccia» alleati Barzani e Talebani, pur mantenendo il controllo di zone diverse (il primo l'area Nord, l'altro quella orientale) ed atteggiamenti da «signori della guerra», hanno progressivamente smussato i contrasti fino a creare un abbozzo di rappresentatività. Ad Irbil si riunisce un «parlamento curdo», il governo regionale nomina assessori che vengono chiamati pomposamente «ministri». Nel frattempo sia il Partito democratico (PDK) che l'Unione (PUK) hanno intensificato la collaborazione con l'Occidente accogliendo missioni di aiuto, collaborando sul piano militare ed informativo, espellendo con le brutte dal proprio territorio gruppi radicali come «Ansar aiIslam». La collaborazione, mai chiarita fino in fondo nella cattura di Saddam Hussein ha creato infine l'ennesimo titolo di credito nei confronti di Washington e Londra. In questa fase, mentre si discute ancora delle prime elezioni «democratiche» in Iraq e comincia a delinearsi il progressivo ritiro dei soldati americani, mai il Kurdistan era parso più vicino ad un'autonomia talmente sostanziale dal confinare con l'indipendenza. Non ci si possono atendere sconti, l'articolo di Barzani precisa in termini molto netti che anche in un Iraq federale «qualsiasi principio dovrà salvaguardare la particolare natura del Kurdistan» e che la sua gente «non accetterà nulla di meno della situazione esistente» e che non vi sarà spazio per la riproposizione di una politica che «storicamente ha puntato a separare l'uno dall'altro i governatorati curdi». Apprestandosi a riscuotere l'annoso credito il Kurdistan si aspetta quindi di restare autonomo ed unito in una sorta di «federalismo geografico» e di amministrare direttamente (sia pure sotto supervisione internazionale) quel milione e mezzo di barili di petrolio che fino a dieci anni fa rappresentava la sua produzione quotidiana, nonché più della metà della produzione dell'intero Iraq.Fino a che punto una simile ipotesi è sostenibile? Le inquietudini turche restano molto vivaci, la nascita di un «semiStato» ai propri confini fa temere al governo di Ankara il riaccendersi interno dell'antico problema curdo. Un Kurdistan iracheno ricco ed autonomo fa temere finanziamenti ed armi ai partiti clandestini di oltreconfine, come il «PKK» che fu di Ocalan. Anche dal punto di vista degli iracheni una regione quasi indipendente al Nord, che oggi per bocca dei suoi leaders propone magnanima «una coesistenza volontaria» con gli arabi, rappresenta un impoverimento ed una minaccia. La questione che si poneva ottant'anni fa non è mutata di una virgola ed in questa chiave l'intensificarsi delle stragi in Kurdistan sembra rispondere ad una logica di provocazione che può convenire a molte delle parti in causa. Non era ancora accaduto in Iraq che dall'autobomba si passasse alle persone imbottite di tritolo come in Palestina, ma questa similitudine non spiega chi abbia avuto intenteresse a decapitare la leadership regionale. I portavoce dei partiti decimati accusano l'onnipresente Al Qaida, che nella regione si sarebbe materializzata nei supersiti di «Ansar ai-Islam» però anch'essi si agitano nel buio più completo. Forse sarà il caso di chiedere aiuto ai nuci servizi segreti iracheni, che gli Stati Uniti stanno riorganizzando con 2mila persone, almeno il 5 per cento delle quali proviene dal vecchio «Mukhabarat» di Saddam Hussein. Professionisti non compromessi, assicurano i selezionatori, «banditi del vecchio regime», accusa Ahmad Chalabi, membro del Consiglio Provvisorio di governo. Eppure la scelta pare obbligata, per risolvere il riaffiorare di vecchi problemi non c'è nulla di meglio dei vecchi spioni. A rendere ancora più difficile la scelta una produzione petrolifera che è la metà di quella irachena mentre la Turchia resta contraria a qualsiasi ipotesi di autonomia che rafforzi il vicino

Persone citate: Ahmad Chalabi, Barzani, Jalal Talabani, Masud Barzani, Ocalan, Saddam Hussein