Galeone «miracolato» dalla tv

Galeone «miracolato» dalla tv DA ANNI Al MARGINI DEL GRANDE CALCIO, HA CONFESSATO ALLE TELECAMERE LE PROPRIE PAURE: E L'ANCONA LO HA CHIAMATO Galeone «miracolato» dalla tv Marco Ansaldo AVEVAMO dimenticato Giovanni Galeone, allenatore di football, finché un paio di settimane fa non lo vedemmo ammettere in tv la propria paura di morire per le pasticche e le infiltrazioni che gli avevano somministrato da giocatore per mandarlo in campo anche quando avrebbe dovuto curarsi. Confessò che, leggendo di ex calciatori della sua generazione colpiti da mali inspiegabili e letali (che qualcuno ricollega all'uso smodato e improprio di quei farmaci), si considerava un miracolato. So no discusse sui giornali e in televisione, si scoprì che Galeone non era l'unico a tremare: con perfido realismo, Agroppi ammise che pure lui provava un brivido a pensarci e non si sentiva un miracola¬ to in quanto il male può sopraggiungere in qualsiasi momento e nemmeno Galeone doveva giudicarsi del tutto in salvo. L'argomento, serissimo, tenne banco per un paio di giorni poi arrivarono le dimissioni di Moratti a distrarci con cose allegre. Ma Galeone era ormai sdoganato dal ruolo sempre più ristretto di opinionista nelle tv private: tornava a vivere come personaggio nel momento in cui aveva annunciato di temere di morire come uomo. «Dov'era finito?», si chiese qualcuno. Senza dubbio sarà una coincidenza eppure, do- po quell'episodio, hanno offerto la panchina dell'Ancona proprio a lui che era disoccupato da tre anni e in declino da otto, da quando centrò l'ultima promozione con il Perugia cui seguirono soltan¬ to gli esoneri e l'inattività. Dubitiamo che l'Ancona sia ancora una squadra di serie A, vista la posizione in classifica. Forse non lo è mai stata, zavorrata com'è dalla politica gerontofila del suo presidente, Ermanno Pieroni, quello che Cimminelli voleva portare al Toro come general manager al tempo in cui non aveva ancora una società tutta sua. I marchigiani sono partiti male e hanno continuato peggio: 5 pareggi, 13 sconfitte e nessuna vittoria, ultimo posto in solitaria e con buone prospettive di battere il record negativo del Brescia che si fermò a 12 punti nel '95. Pieroni è un paladino della terza età. In estate imbottì la squadra di ultratrentenni, adesso per rimpolparla vi ha aggiunto qualche altro bene avviato alla bollitura e Jardel che piace- va alla Juve, ma dieci anni fa. Tuttavia Galeone, a 63 anni e emarginato, non poteva pretendere troppo. Era un tecnico «à la page» nei primi Anni Novanta. Tra Udine e Pescara fece vedere un bel calcio, dichiaratamente offensivo, e poi piacevano la sua eleganza stropicciata, le idee un po' libertarie sul calcio e permissive sulla vita privata dei giocatori. Si intendeva di vini e amava le buone letture, conosceva Brecht e Camus sui quali più di un suo collega si confondeva chiedendo dove giocassero. Un uomo intelligente, un allenatore «scomodo», come si diceva allora, per quanto Galeone sembrasse perfettamente a proprio agio nelle comodità. Cosa possa portare al calcio di oggi è una domanda alla quale temiamo di dover rispondere. Salvo rare eccezioni, quella generazione di allenatori ha fatto il proprio tempo, il suo giro si è ristretto alle panchine che nessuno accetta più perché si rischia di perdere la faccia. Hanno un nome, l'esperienza, la dignità professionale. Soprattutto quegli allenatori portano vecchie medaglie che i presidenti esibiscono ai tifosi per illuderli, dopo che hanno costruito squadre sbagliate: ed è per questo che continuano a chiamarli, a volte dopo averli rivisti alla tv. «ss Giovanni Galeone, 63 anni

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