Dal rogo di cento anni fa recuperato un best seller di Maurizio Lupo

Dal rogo di cento anni fa recuperato un best seller Dal rogo di cento anni fa recuperato un best seller Il palazzo era in via Po: 23.711 volumi furono distrutti o quasi «Le Chevalier Errant» di Tommaso li! di Saluzzo è esposto alla Reale la scoria Maurizio Lupo CENTO anni fa, il 26 gennaio, un rogo devastò, fra centinaia d'altri tesori, il primo «best seller» letterario europeo scritto a Torino: «Le Chevalier Errant», opera in prosa e versi composta nella torrida estate del 1394 da Tommaso III di Saluzzo, incarcerato a Palazzo Madama dai principi Savoia Acaja, che gli contendevano il potere. Scrisse un testo d'educazione pedagogica che lo rese celebre in tutto il continente. Con il pretesto di raccontare vicende di teneri innamorati o di cavalieri avventurosi, insegnava ai giovani del tempo le regole per vivere con saggezza, illustrate da splendide miniature. Fino al primo Rinascimento fu la lettura prediletta della più scelta gioventù. Quanto è sopravvissuto, appena due copie, una a Parigi e l'altra mutilata dalle fiamme a Torino, è tutt'ora un documento prezioso per capire la vita del tardo feudalesimo. Il tema principale è la Fortuna, intesa quale instabile arbitra delle sorti umane, che può essere dominata solo con la padronanza di sé. Fortuna sovente ingrata, come dimostrò il 24 gennaio del 1904, cento anni fa esatti, quando il «Chevalier» di Tommaso, donato da Vittorio Amedeo II di Savoia all'Università di Torino, s'accartocciò annerito, da una fornace ardente che distrusse 23.711 volumi della Biblioteca Nazionale, allora in via Po. Fu uno dei quattro grandi incendi che ferirono la città. Seguirono quello del Teatro Regio nel 1936, quello del Cinema Statuto nel 1983 e quello che violò la Cappella della Sindone nel 1997. Quella notte del 1904 fu un passante a dare il primo allarme, poco prima dell'una di notte. Scorse bagliori guizzare da una finestra al secondo piano dell'Ateneo. In poche ore ci fu ben poco da salvare. A rendere disastroso il bilancio dell'incendio furono soprattutto le misere condizioni di sicurezza dei locali, specie di quelli che ospitavano i manoscritti, raccolti in una stanza con un'unico accesso e un piccolo sportello metallico d'emergenza, accessibile da un ambiente attiguo. La cronaca di quel giorno è ancora vivida. ((Alle cinque del mattino - ricorda La Stampa di martedì 26 gennaio 1904 - sotto i colpi che ne hanno scardinato l'intelaiatura, s'apre lo sportello di ferro. Il pompiere che ha vibrato l'ultimo colpo si slancia trionfante per la stretta apertura, mentre tutti ansiosamente attendono la risposta che recherà. Dopo un istante ricompare tra il fumo: la sala dei manoscritti è in fiamme! Il momento è grave. Lì non bruciano mattoni e libri: ma sono le solitarie voci degli antichi trasmesse sino a noi nella rara ed unica forma di scritture miniate, sono le testimonianze senza conferma del pensiero di secoli passati che le fiamme lambono e distruggono». Mezzi di soccorso inadeguati, superficialità e confusione degli interventi trasfor¬ marono l'incendio in tragedia di beni culturali. L'emozione e lo sdegno sono enormi. Torino ritiene colpevole «la trentennale neghittosità della burocrazia ministeriale» di Roma e l'altrettanto «trentennale imprevidenza dei ministri». La Stampa del 27 gennaio accusa: «Per trent'anni l'Italia ha affidato a costoro tutto il tesoro più puro delle sue memorie, tutti i ricordi più santi del perenne genio italico. E Torino dotta oggi piange, coi suoi migliori uomini, le debolezze e le colpe della ignoranza e della incuria dei burocrati di Roma». Vengono nominate tre inchieste, ma non vengono a capo di nulla. Non accertano né le cause del rogo e nemmeno le responsabilità. Il ministro della Pubblica Istruzione Vittorio Emanuele Orlando è a disagiò. Il paziente Piemonte è furente, circondato dalla solidarietà intemazionale. Le principali biblioteche e istituzioni culturali del mondo offrono libri, tecnici, fondi. Il Parlamento italiano si trova costretto a stanziare 750.000 lire per i primi restauri. Ma è una cifra che non remunera certo la perdita dei palinsesti di Cicerone, e del Codice Teodosiano. Per medicare quelle ferite c'è voluto quasi un secolo. durante il quale Roma ha confermato a lungo la sua indifferenza, lesinando risorse ai restauri condotti dal laboratorio fondato il 5 febbraio 1905, per tacitare la rabbia dei torinesi. La protesta ottenne anche una legge, che nel 1907 assunse l'impegno di costruire una nuova sede alla Biblioteca. I lavori, in piazza Carlo Alberto, incominciarono mezzo secolo dopo, nel 1959. Finirono nel 1972. Nel frattempo la Biblioteca, ancora in via Po, perse altri 15 mila volumi sotto i bombardamenti del 1942. E il laboratorio? Dal 1904 al 1918 fu affidato al grande restauratore Carlo Marre. Gli succedette nel 1921 la sua allieva Erminia Caudana. È a questa donna semplice e taciturna, nata a Torino nel 1896 e morta nel 1974, che la città deve il recupero di tanti documenti. Mise a punto un metodo segreto per risanare le pergamene che l'incendio aveva «agglutinato» in duri blocchi anneriti. Si riuscì così a restituire parziale decoro a 253 fogli dello «Chevalier Errant» e a rivitalizzare le pagine del «Libro delle Ore» del Duca di Barry, arricchite dalle miniature di Van Eyck, che la Biblioteca Reale espone oggi con orgoglio nel suo caveau. Erminia Caudana inventò un metodo segreto per risanare le pergamene che l'incendio aveva «agglutinato» in duri blocchi anneriti Si restituì così parziale decoro a 253 fogli Cento anni fa l'incendio che distrusse la Biblioteca Nazionale, allora in via Po