Vicenda Parmalat un riso amaro nella tragedia di Lorenzo Mondo
Vicenda Parmalat un riso amaro nella tragedia Vicenda Parmalat un riso amaro nella tragedia Lorenzo Mondo AL dissesto clamoroso della Parmalat mancava soltanto il funebre rintocco del suicidio. E arrivato puntualmente con il gesto disperato del capo contabile che si è gettato da un ponte sul greto fangoso di un torrente. Non mancavano illustri precedenti che inducevano a presagi molesti. Il cuore infermo di Calisto Tanzi poteva essere un altrettanto deprecabile surrogato. Non ci si aspettava comunque che a uscire drammaticamente di scena fosse un uomo come Alessandro Bassi, che non era di prima fila. Stando agli inquirenti era entrato e uscito da una porta secondaria dell'inchiesta, era stato sentito soltanto come testimone e non risultava minimamente indagato. Forse non sapremo mai perché lo ha fatto. Poteva essere il persistente timore delle manette toccate al suo diretto superiore o l'assillo per il posto di lavoro compromesso dalla crisi. Preoccupazioni elementari, primarie. Ma in uno strato meno corticale della coscienza agiva probabilmente lo sconforto per il crollo di un mondo in cui si sentiva inserito con fierezza, di un sistema di relazioni industriali e umane in cui aveva creduto. Non ha saputo sopportare l'inganno di cui è stato vittima, e con lui migliaia e migliaia di risparmiatori; insieme all'avvilimento di un'oscura, ingiustificata vergogna. Come poteva «sapere», mentre i vertici della Parmalat, quelli stessi che esibivano come tratto distintivo il rispetto dell'etica familiare e sociale, alle contestazioni dei magistrati si trinceravano dietro l'ignoranza dei fatti e l'appannamento della memoria? Del resto, a essere incrinato non era soltanto il rapporto di fiducia con un'azienda che aveva piantato il suo vessillo in ogni parte del mondo. In questa storia si va ben al di là della saga dei Tanzi, del giudizio sul loro comportamento professionale e morale. E il contesto nazionale che suscita smarrimento in tutti noi, compresi gli onesti contabili. Il duro confronto, sulle omissioni nell'accertamento delle frodi Parmalat, tra il ministro Tremonti e il governatore di Bankitalia può lasciare perplessi perché inquinato da motivazioni politiche. Non così per altri episodi e dati di fatto. Se non fosse materia dolente, saremmo portati a un irrefrenabile riso. Sentiamo ad esempio che il presidente della Consob si giustifica affermando di aver effettuato ben 75 controlli sulla Parmalat. Non ha riscontrato nessun indizio del disastro, ma non si sente sfiorato dal dubbio di trovarsi nella posizione insostenibile di chi pesta acqua nel mortaio. Così, veniamo a sapere che, a parte le inadempienze di banche e società di revisione, erano le stesse aziende interessate a nominare gli ispettori che certificassero la correttezza dei loro bilanci. In altre parole, nell'Italia dei permanenti conflitti d'interesse non poteva mancare il controllato che paga il controllore. Era necessario arrivare a questo punto per capire che il sistema non aveva reti di protezione? Sono i ragionamenti semplici dell'uomo della strada, di chi ha visto volatilizzare i suoi risparmi in una successione di vuoti forzieri che abusavano dell'immagine rassicurante, salutifera di latte e di yogurt. Alessandro Bassi, anello di congiunzione tra la Parmalat e il popolo dei risparmiatori beffati, ci appare come la vittima sacrificale di una disinvoltura morale e di un'incapacità decisionale che hanno larghe e profonde radici. Si poteva capire prima che il sistema non aveva reti di protezione: il capo contabile suicida è la vittima sacrificale di una disinvoltura morale e di un'incapacità decisionale che hanno radici profonde
Persone citate: Alessandro Bassi, Calisto Tanzi, Tanzi, Tremonti
Luoghi citati: Italia
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