Metti Pinocchio in casa De Amicis di Osvaldo Guerrieri

Metti Pinocchio in casa De Amicis «CUORE» A GENOVA SECONDO IL TEATRO DELLA TOSSE Metti Pinocchio in casa De Amicis Osvaldo Guerrieri inviato a GENOVA L'ombra di Tadeusz Kantor non sembra del tutto estranea alla riela.borazione teatrale del «Cuore» di De Amicis offerta da Tonino Conte al Teatro della Tosse. «La classe morta)) sembra essere lì, col suo carico di malinconia, di valzer e di memoria postuma, come una scintilla immaginativa dalla quale si diramano un percorso e un clima profondamente diversi. E non è un caso che, con il debutto di «Cuore», siano stati presentati nel contiguo spazio del Museo di Sant'Agostino venti disegni di Kantor per «La classe morta» e il libro con la partitura originale dello spettacolo curato da Luigi Marinelli e da Silvia Parlagreco (Scheiwiller). Con Tonino Conte la classe di De Amicis, se non è morta, è moribonda. Enrico, Garrone, Franti, il Muratorino sono vecchi, hanno facce gessose e abiti scoloriti. Ma questi vegliardi, che contrastano con la vivacità sgargiante della Maestrina dalla penna rossa, misteriosamente si animano e, pur conservando il medesimo aspetto mineralizzato, rivivono nell'infanzia, tornano ai banchi di scuola e alla retorica di quel socialismo nazionale così caro a De Amicis sintetizzato dalla triade Dio-PatriaFamiglia. La zona della loro memoria ha per sipario un «trasparente» con una lettera del padre di Enrico e, sul fondo, un praticabile a due piani che è balcone di ringhiera e, più sopra, stanza dei giocattoli con la presenza minacciosa e ammonitrice di Pinocchio. E' qui che le pagine di «Cuore» si addensano in azioni sceniche pervase per lo più dal soffio di un'affettuosa ironia. Niente dileggi alla Eco, ma l'adesione quasi sentimentale a un mondo che per il regista-lettore ha una sua plausibilità. Solo il tono, soltanto la morbida pennellata di risibilità, crea una breve e salutare distanza. Non ci riferiamo alle lette¬ re sagge che il padre scrive a Enrico. Pensiamo ai «racconti del mese» e a certe situazioni extra scolastiche in cui la mano di Tonino Conte lavora al meglio. Prendete il racconto «Sangue romagnolo», che nasce all'interno di un teatro per burattini e si sviluppa sul palcoscenico, con il nipote e la nonna in carne e ossa, con l'ombra del ladro che conficca il coltello nella schiena del bambino che, morendo, implora l'ignara vecchietta di perdonarlo. Prendete il duetto tra Enrico e la sorella Silvia, in cui la bambina è scossa da brividi incestuosi e mugola di piacere all'idea che un giorno potrà curare e confortare il fratello gravemente malato. Prendete la maestra affetta da mal sottile che, ormai prossima a defungere, anzi nel suo entrare e uscire (falla cassa, bacia i ragazzi e spiega che non si mette a riposo perché, con una pensione decurtata, non potrebbe campare. Si rivolge al ministro Maroni? Chi parla direttamente a Michele Ceppino, all'epoca ministro per la Pubblica istruzione, è Carlo Collodi, che dice che è inutile che tutti imparino a scrivere, se poi quel che si legge è noioso. Anche lui, a chi parlava? Ricco di spunti, di figurine, di sketch, di allegria, lo spettacolo ha momenti impagabih quando porta in scena la Maestrina dalla penna rossa, che la spiritosissima Claudia Lawrence trasforma in una divetta da avanspettacolo nel cui sangue scorre il mercurio del ballo, della mossa, del couplet. Inutile dire che il pubblico l'ha applaudita con molto calore insieme con i suoi bravissimi compagni: Enrico Campanari , Vanni Valenza, Lorenza Pisano. E poi Alberto Bergamini, Massimo Di Michele, Pietro Fabbri, Davide Lorino, Mario Marchi, Franco Piccolo, Franco Ravera. La nostra simpatia umana va alla maestra tisica Myria Selva: chissà quanti scongiuri ha fatto ogni volta che entrava nella cassa. Coraggio.

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