Dei e mostri nascono e cadono nei «Labirinti» di Osvaldo Guerrieri
Dei e mostri nascono e cadono nei «Labirinti» MARA BARONTI PER LO STABILE AL TEATRO GOBETTI Dei e mostri nascono e cadono nei «Labirinti» Osvaldo Guerrieri TORINO Mara Baranti sta al teatro di narrazione come la ciliegina alla torta. Sono imprescindibili. Anzi è stata questa attrice di solida formazione accademica a lanciare il genere negli anni '80, a insinuarsi con la sola suggestione della parola nell'immaginario favolistico. Ricordate le sue incursioni nel territorio fantastico delle «Mille e una notte»? Adesso la Baranti si inerpica alle origini della civiltà occidentale. Con «Labirinti», che il Teatro Stabile ospita al Gobetti fino a domenica, ci conduce fra i meandri e le svolte di un mito denso di suggestione e di drammaticità, quello del labirinto appunto, che, scaturito dalla civiltà cretese, ci irretisce ancora oggi con la sua doppia natura: quella fisica di luogo cieco, deviante, fallace, e quella simbolica della vita che incontra la morte per rinascere. E' la mitologia dell'infanzia del mondo: gli dei, gli eroi, i mostri, gli artefici divini come Dedalo. E' lui, l'inventore della vela e del compasso, a costruire il labirinto per volere di Minosse. Lo costruisce riproducendo il percorso di una danza complicatissima per nascondervi la vergogna di Pasifae, moglie di Minosse, che si è congiunta con un toro è ha generato il Minotauro: un ibrido mostruoso, che nessuno deve vedere. Intorno al labirinto agiscono Arianna e Teseo, oltre a una infinità di figure che compongono il grande arazzo deU'immaginario occidentale. La Baronti assume il tema del labirinto come principio e conclusione del suo racconto. Tra i due capi distende il flusso di una narrazione che può deviare (e devia) per altri rivoli e altre epoche, si spinge in Mesopotamia, sorvola l'Egitto, sonda i capricci e le collere degli dei, si pone sulle orme di Eracle. La Baronti non ha un copione. Recita improvvisando, ossia usando parole sempre diverse. Nel caso di «Labirinti», realizzato con la collaborazione registica di Valerio Rinasco, gioca una carta in più, si accompagna a un duo jazz (Enzo Favata e Alfredo Laviano) che non si limita a fornire spunti sonori o contrappunti musicali. Al contrario. Parola e musica si giocano la partita alla pari, quasi dividendosi il tempo. Ed è qui il punto debole di uno spettacolo che, altrimenti, sarebbe ammirevole. L'invadenza della musica e la creazione di isole sonore cosi ampie deprimono e sfilacciano il clima suscitato dal racconto. Ne deriva che lo spettatore, una volta deviato, è costretto poi a faticare per rientrare nel labirinto di una suggestione che stava per smarrire.
Persone citate: Alfredo Laviano, Baronti, Enzo Favata, Gobetti, Parola, Valerio Rinasco
Luoghi citati: Egitto, Mesopotamia, Torino
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