ADORNO, La cultura dei lumi contro i sondaggi dei media di Gianni Vattimo

ADORNO, La cultura dei lumi contro i sondaggi dei media UNA BIOGRAFIA INTELLETTUALE DEL SOCIOLOGO TEDESCO E IL RUOLO DELLA'SCUOLA DI FRANCOFOR" ADORNO, La cultura dei lumi contro i sondaggi dei media Gianni Vattimo SOLO chi conosce già Adomo, e si sente attratto dal suo pensiero, affronterà l'impresa (anche economica) di leggere il bel libro di Stefan Mueller-Doohm che ne ricostruisce minuziosamente la biografia [Theodor W. Adomo. Biografia di un intellettuale, Carocci, pp.916, e 80). E dunque una presentazione di questo volume deve soprattutto domandarsi che cosa esso aggiunga alla conoscenza, che presuppone, del personaggio "biografato". Il sottotitolo, che annuncia la "biografia di un intellettuale", descrive bene il carattere dell' opera. Non offre principalmente una ricostruzione concettuale della filosofia adomiana; per esempio non vi si trova una analisi dettagliata del suo marxismo critico, della lettura di grandi filosofi, come Hegel, che pure hanno contato moltissimo nella sua personale elaborazione di pensiero. Non lo diciamo come un limite; anzi, lo si può considerare uno dei pregi e dei tratti originali dell'opera, quello che, come si usa dire, mancava nei tanti studi finora pubblicati sul grande maestro tedesco. Adomo è studiato come un intellettuale in una biografia a sua volta "intellettuale". Non che manchi l'attenzione alla teoria; ma essa è ricostruita da un punto di vista estemo-mtemo, con una prevalente attenzione alle relazioni con l'ambiente, i compagni di strada, la vita culturale dell'epoca, documentati attraverso un uso molto ampio degli epistolari, degli appunti editi o inediti, delle riviste intorno a cui si è sviluppata la continua discussione che ha segnato e arricchito la storia della Scuola di Francoforte. Della quale noi conosciamo soprattutto gli anni più tardi, quelli in cui - dopo il ritomo dall'esilio americano, intorno al 1950 - i vari esponenti del vecchio Institut fuer Sozialforschung cominciarono a esercitare in tutto l'Occidente quella influenza politico-filosofica che ancora oggi caratterizza una presenza come quella di Juergen Habermas, ultimo capo riconosciuto della scuola. Una ricostruzione come quella di Mueller-Doohm risulta interessante soprattutto per capire l'opera adomiana nata in più esplicita collaborazione con Max Horkheimer, la Dialettica dell'illuminismo che, pubblicata per la prima volta nel 1947 ad Amsterdam, era stata concepita negli anni dell'esilio californiano, crescendo come una serie di "Frammenti filosofici" discussi, e spesso dettati insieme dai due filosofi, tra il 1942 e il 1944, nel giardino delle loro case a Santa Monica. Adomo definì il libro, in presenza di Horkheimer, "il nostro primo figlio legittimo", evidentemente alludendo al fatto che molti altri scritti di ciascuno dei due avevano una paternità "mista". Ma la collabc -azione con Horkheimer, che a noi lettori è sempre parsa quasi una simbiosi permanente, non fu sempre così tranquilla e piena come nel caso dei "Frammenti". Horkheimer era più anziano di Adomo di alcuni anni, e esercitò nei suoi confronti anche una certa funzione di guida, più pratica che filosofica, giacché da quando prese la direzione dell'Istituto già negli anni di Francoforte (dal 1930) e poi soprattutto durante il periodo dell'esilio americano (dove Adorno si trasferisce nel 1938), fu anche nua specie di datore di lavoro", che procurò i contratti di ricerca con cui i vari esponenti dell'Istituto camparono so¬ prattutto nei primi anni dell' emigrazione. Così, Adomo, che si trasferì negli Stati Uniti solo dopo aver tentato di rimanere in Germania in attesa che il nazismo finisse, come aveva sperato nei primissimi anni, potè farlo in virtù di un contratto di ricerca che Horkheimer aveva procurato e che doveva dar luogo a uno studio sociologico - della sociologia "positiva", empirica, quella dei questionari, in uso in America - sull'ascolto della radio e la sua influenza nella società. Adomo doveva occuparsi dell'ascolto della musica, e non si adattò mai davvero ai metodi di quelle inchieste, al punto che ad un certo momen¬ to dovette abbandonare il lavoro di squadra, avendo tuttavia raccolto una quantità di osservazioni sulla musica e la cultura di massa che gli serviranno poi per i suoi saggi di sociologia critica. Non solo l'urto con la cultura accademica americana, fin da allora orientata nel senso "privatistico" che oggi si vuole imporre anche da noi, con contratti di ricerca finanziati da società ed enti privati, e utili ai loro scopi industriali e commerciali, costituì un problema nella vita di Adomo. Già in Germania, negli anni della formazione e appena finiti gli studi, non ebbe vita facile; ottenne la libera docenza più tardi di come avrebbe voluto, e cercò a lungo di collocarsi come critico musicale, e anche come musicista, prima di decidersi per la filosofia e la sociologia, in connessione con l'iniziale sviluppo dell'Istituto a Francoforte. Anche in mezzo a queste difficoltà, o forse proprio a causa di esse, gli anni di Francoforte, con lunghi soggiorni a Vienna, a Berlino, poi a Oxford, furono l'occasione per in.--ecciare le conoscenze e amicizie che costituirono la trama della sua vita intellettuale: i rapporti con Rracauer, con Loewenthal, con Alban Berg (di cui fu ammiratore e discepolo entusiasta), con Schoenberg (ritrovato poi negli anni di Los Angeles), soprattutto con Walter Benjamin, di cui lui stesso e la moglie Gretel furono amici strettissimi e editori del lascito letterario, dopo che Benjamin si uccise, nel 1940, mentre stava per essere catturato dalle SS nel viaggio verso Lisbona da cui avrebbe dovuto partire per l'America. Un intreccio fittissimo di relazioni, nella cui ricostruzione si rispecchia una larga parte della vita intellettuale del ventesimo secolo. La Francoforte di Adomo (poi trasferitasi in California) è un po' come la Londra di Keynes, la Vienna di Wittgenstein (e Freud, e Musil..), la Parigi di Bataille, uno dei punti focali intomo a cui ruotano le vicende che hanno determinato la formazione di più generazioni. Gli epistolari e le riviste sono i documenti di quei climi, e meritano certamente la minuzia e il gusto aneddotico con cui li ricostruisce un libro come questo di Mueller-Doohm. Anch'esso, forse, monumento di una cultura che, con il telefono e la comunicazione elettronica, si sta perdendo (anche se possiamo contare sui tanti centri di ascolto e di raccolta delle nostre comunicazioni; una sorta di eterogenesi dei fini, magari serviranno agli storici futuri, invece che a ricatti pohtici...). Era poi proprio il rapporto con questa cultura della comunicazione quello che costituì costantemente il tema della riflessione e della critica di Adorno. L'illuminismo che si rovescia nella "vita offesa" è per l'appunto il mondo dell'informazione generalizzata, dove tutto risulta distorto dall'imporsi della forma di merce, a cominciare dall'ascolto musicale e dalla banalizzazione dell'arte. Eppure, proprio l'esperienza dell'arte e delle avanguardie artistiche e musicali dei primi del secolo fu il punto di partenza della teoria critica adomiana. A differenza di Horkheimer, che fu sin dall'inizio un critico dell'esistenza borghese e della società capitalistica con le sue ingiustizie, Adomo arrivò al (suo specifico) hegelo-marxismo e anche alla sensibilità politica per una via fondamentalmente estetica. "Che il mondo della borghesia esistesse ormai solo come un ammasso di rovine", scrive Mueller-Doohm (p.107), diventa chiaro per Adorno non per una esperienza vissuta di ingiustizia, lui figlio unico di ricchi commercianti ben inseriti nella buona società. Il crollo generale delle tradizioni borghesi gli si manifesta "nel contesto dell'arte delle Avanguardie, della letteratura e della filosofia". E non è forse un caso che la sua ultima opera, pubblicata postuma nel 1970, sia la Teoria estetica, dove la "negatività" della dialettica, la disperazione del "dopo Auschwitz", trova una, certo fugace, possibilità di liberazione e consolazione nell'arte, intesa , con Baudelaire, come una "promesse de bonheur". Come si sa. Adomo aveva polemizzato duramente con il Benjamin de L'opera d'arte nell' epoca della sua riproducibilità tecnica, in difesa di quell' "aura", che secondo Benjamin invece era una traccia di feticismo della merce da cui l'opera doveva venire liberata proprio in forza della riproducibilità. Ma con Benjamin concordava nel sogno di una salvezza come data in un "momento messianico": che si rivela persino nell'atto del "cane che muove la coda quando gli si è dato un buon boccone"; e a cui devono servire i "frammenti" come gli aforismi che Adomo ci ha lasciato e che, per lui, sono come messaggi in una bottiglia, lanciati dal naufrago per chi li troverà; nonostante tutto, con una testardissima speranza. L'AMICIZIA E LA COLLABORAZIONE CON MAX HORKHEIMER DA CUI NACQUE LA «DIALETTICA DELL'ILLUMINISMO», L'ESILIO AMERICANO E LE RICERCHE SULLE COMUNICAZIONI DI MASSA, L'INTERESSE PER LA CRITICA MUSICALE I RAPPORTI CON KRACAUER, ALBAN BERG, SCHOENBERG E SOPRATTUTTO BENJAMIN: CRITICÒ LE SUE TESI SULL'OPERA D'ARTE NELL'EPOCA DELLA TECNICA, MA NE CONDIVISE IL SOGNO MESSIANICO DI SALVEZZA Margarete Karplus, la futura moglie di Adorno, intorno al 1925 Max Horkheimer Con la moglie Gretel intornoal1967 Heinrich Boll e Theodor W. Adorno, negli studi della stazione radiofonica Hessischer Rundf unte durante una discussione in merito alle «leggi sullo stato di emergenza» nel 1968 ADORNO, La cultura dei lumi contro i sondaggi dei media