Kentrìdge, elogio dell'ìncertezza di Rocco Moliterni

Kentrìdge, elogio dell'ìncertezza Kentridge, elogio dell'incertezza «La mia Johannesburg come la Trieste di Svevo» Rocco Moliterni RIVOLI ./Tp UTTI gh inviti alla certez'' A za, sia derivati da sciovinismo politico sia da conoscenza obiettiva, hanno un'origine autoritaria che si basa sulla cecità e sulla coercizione, elementi fondamentalmente opposti al vivere nel mondo con gh occhi aperti» così Wilham Kentridge concludeva una conferenza a Chicago nel 2001. Questa frase può essere il punto di partenza per la bella personale (la prima in Europa, approderà poi a Diisserdolf , Montreal, Sydney e Johannesburg) che il Museo d'arte contemporanea del Castello di Rivoli dedica al non ancora cinquantenne artista sudafricano (rimarrà aperta fino al 29 febbraio, informazioni al sito www.castellodirivoU.org). Curata da Carolyn ChristovBakai^giev la mostra mette in scena, attraverso sculture, disegni, film d'animazione, installazioni e teatri d'ombre, proprio quell'incertezza «sveviana» che sembra la chiave di tutto il lavoro di Kentridge. Un'incertezza che affonda le sue radici nella condizione di essere ebrei bianchi in un paese come il Sud Africa negli anni cruciah dell'apartheid e del suo crollo. Si manifesta anche attraverso l'uso prevalente di una tecnica come quella del film d'animazione in cui, a differenza delle mega-produzioni disneyane, la narrazione non procede per accumulazione di mighaia di disegni ma per successive mutazioni e cancellature di poche decine di tavole a carboncino nero con rare intrusioni di blu o di rosso. Quasi che in ogni immagine l'artista mettesse in discussione il risultato appena raggiunto. Gh esiti sono struggenti in lavori come Felix in exil (del 1994) in cui si mescolano memoria, senso di colpa, violenza della repressione, immagini di donne nere riviste con gh occhi della nostalgia, piccole stanze affollate di lacrime e sogni. Felix è il personaggio di Felix Teitlebaum, artista sognatore che è l'alter ego di Soho Ekstein, magnate bianco di Johannesburg, la cui saga di spregiudicato imprenditore minerario è narrata nei «disegni per proiezione» a partire dal 1989: Johannesburg, la seconda più importante città dopo Parigi, Monumento (1990), Miniera {1991), Sobrietà, obesità e invecchiare (1991). L'incertezza sembra un tratto anche esistenziale di Kentridge: camicia bianca e occhi azzurri, racconta, alla piccola folla che l'attornia all'anteprima, come per un certo periodo avesse pensato di fare l'attore: «Andai a Parigi, mi iscrissi a un corso, ma dopo poco capii che non era il mio mestiere». In precedenza, «finiti gh studi d'arte, avevo provato a fare il pittore, con le tele e i colori: mi accorsi di non essere taghato». Nella sua camera ha fatto tesoro di queste esperienze intrecciando tecniche teatrah e cinematografiche e anche adesso dirige una compagnia a Johannesburg e organizza spettacoh di teatro d'ombre. La loro memoria ritoma ad esempio in Zeno che scrive, il breve fihn d'animazione presentato all'ultima Documenta di Kassel nel 2002 che chiude la mostra di Rivoli. La coscienza di Zeno è un romanzo che ha colpito profondamente Kentridge. «La prima volta che l'ho letto spiega - mi sono chiesto come facesse questo scrittore italo-austriaco di inizio secolo a descrivere così bene quello che provavo io nella Johannesburg degh anni 80». Di h il tentativo «non di mettere in scena l'opera di Svevo, ma di usarla come stimolo, come faro, come visione condivisa, per cominciare un nuovo lavoro che includa la rappresentazione teatrale, l'animazione, la proiezione». La mostra non è organizzata in modo cronologico: ((Non volevo - spiega Carolyn ChristovBakai^giev - fare una mostra didascalica, trovavo più interessante lavorare sul concetto di "densità", che mi sembra caratterizzare l'opera di Kentridge». Così si alternano stanze, come quella di apertura, affollate di piccole sculture, grandi disegni, scritte sveviane («Ultima sigaretta»), lavori su pagine di libri, a stanze rarefatte, come la grande sala dove ci sono due «piccole» proiezioni, come Armadietto per medicinali, dove tavole quaksi morandiane animano lo spazio d'un armadietto, e Dormire sul vetro, dove la proiezione di sogni, piante e disegni rimbalza dalla specchiera di un comò, con sottofondo musicale di Monteverdi. Per Rivoli Kentridge ha realizzato L'indicatore delle maree, un film in cui sembra tornare alle atmosfere dei primi lavori: una spiaggia, un uomo, una processione, militari con i cannocchiah. Ma sono praticamente anche al debutto il film in cui protagonista, su cinque schermi {Frammenti per George Méliès), è lo stesso artista nel suo ateher: prova a disegnare, a sfoghare ibri, a bere il caffè e a mettere la silhouette della tazzina nel lavoro che sta facendo. E di quello in cui formiche si muovono sulla pellicola inseguendo tracciati di zucchero {Viaggio sulla luna): «Pensavo da tempo ai fihn in senso inverso, ma fino ad allora solo in termini di tempo, piuttosto che di tonalità. Ho quindi invertito il fihn, e il bianco della carta è diventato l'oscurità del cielo notturno, mentre le tracce nere delle formiche si sono trasformate in puntini bianchi che si sono fusi a formare galassie e costehazioni». William Kentridge

Luoghi citati: Chicago, Europa, Parigi, Rivoli, Sud Africa, Sydney, Trieste