Anarchica Salomè dei bordelli di Osvaldo Guerrieri

Anarchica Salomè dei bordelli Anarchica Salomè dei bordelli Nel ruolo che al cinema fu della Melato, l'attrice è autorevole e trascinante Osvaldo Guerrieri TORINO Sono ormai tre anni che «Storia d'amore e d'anarchia» di Lina Wertmiiller circola per i teatri italiani. Segno di solidità e di successo. Giuliana De Sio e Elio (senza le Storie tese) danno vita alla vicenda che nel 1973 Mariangela Melato e Giancarlo Giannini fecero conoscere alle platee cinematografiche con un film memorabile. Ma lo spettacolo in scena all'Alfieri fino al 6 gennaio non è la trasposizione teatrale del film. È la sua matrice. «Storia d'amore e d'anarchia» nacque per il palcoscenico, con quella struttura di commedia musicale che, grazie alle canzoni di Nino Rota, Italo Greco e Lucio Gregoretti, la avvicina in alcuni momenti a Brecht, a certi interventi corali deir«Opera da tre soldi». Ma con tutt'altro spirito, si capisce. La storia è nota a molti. Il contadino Tunin scende a Roma per uccidere Mussolini durante un comizio. È accolto da Salomè, prostituta che esercita in una casa di prima categoria e mette a disposizione dello stordito rivoluzionario non solo la propria fede anarchica, ma anche la disponibilità erotica della «maison». Tunin s'innamora ricambiato della Tripolina che, per salvargli la vita, fa fallire l'attentato. Tunin morirà lo stesso, massacrato dalla polizia dopo avere sparato assurdamente a un carabiniere. Non c'è molta suspense nel copione e nello spettacolo della Wertmùller. Forse perché lo spettatore sa già tutto. Ma c'è una bellissima descrizione d'ambiente. Nella scenografia a fiori rossi e neri di Enrico Job costituita da una ripida gradinata al cui centro è collocata una porta, tra divani e letti a scomparsa, prende vita un bordello degli Anni Trenta con la sua fauna amara e complessa. Ci sono le prostitute con i loro dialetti e il loro succinto abbigliamento. C'è la maitresse adeguatamente cinica. C'è il viavai dei clienti. C'è l'esibizione celodurista dei gerarchi, soprattutto dell'odioso Spatoletti addetto alla sicurezza del Duce. Ei è qui, tra queste scalinate e letti e divani, che si svolge tutto, magari con qualche momento di stanca a metà strada, senza che le canzoni riescano a elettrizzare il clima. Anzi sono proprio le canzoni il momento debole dell'operazione. Nessuna è memorabile, spesso sono monocordi e basate su pochi, elementari concetti. Se il modello voleva essere Kurt Weill, stiamo freschi. E tuttavia lo spettacolo sa conquistare il pubblico, ha energia e ritmo, è ben calibrato. Merito della regia e degli attori. Prima fra tutti la De Sio. Autorevole, vitalissima, estroversa e insieme sentimentale, sontuosa nel baby doli e nelle lunghe vestagUe morbide, l'attrice dà un beUissimo ritratto di Salomè. Elio non ha grandi occasioni musicali, ma è persuasivo nei panni stazzonati di Tunin, nel suo vivere atono, ipnotizzato, velleitario. Gabriella Pession è la trepida Tripolina. Marco Zannoni disegna con sicurezza il fallocrate Spatoletti. Alla recita cui abbiamo assistito un successo prossimo all'ovazione.

Luoghi citati: Roma, Torino