La Serbia riscopre la tentazione del passato di Giuseppe Zaccaria

La Serbia riscopre la tentazione del passato SI DELINEA UN PANORAMA POLITICO SIMILE Al LETALI RADICALISMI DELL'ULTIMA JUGOSLAVIA La Serbia riscopre la tentazione del passato Nel voto di oggi la delusione e la disperazione favoriscono i nazionalisti Giuseppe Zaccaria inviato a BELGRADO Belgrado non era mai stata così luccicante e così depressa. Ha nevicato, le strade sono ricoperte di ghiaccio perchè il Comune non ha fondi bastevoli ad assicurare interventi, i vecchi contadini hanno ricevuto ieri l'ultima rata della pensione del maggio di un anno fa (circa 20 euro) eppure qualcuno ha ritenuto di tempestare gli alberi del centro di lampadine, mostrando la capitale per quello che non è. Non era mai accaduto che la città e la Serbia si scoprissero così falsamente moderne e nello stesso istante così vicine ad un arretramento storico: domani, per la prima volta dopo la caduta di Milosevic, si tengono elezioni politiche e la luce delle lampade natalizie non riesce a dissipare le nuove ombre della disperazione e dell'abbandono che minacciano di allargarsi sul Paese e sul resto dei Balcani. La Serbia è disperata e dunque vinceranno i nazionalisti: tutto sta a vedere fino a che punto. Mentre mutavano i teatri di emergenze e genocidii la dissolu- zione serba è proseguita implacabile, scivolando poco alla volta nel cono d'ombra dell'attenzione generale. Qui pochi mesi fa un primo ministro è stato assassinato come si usava a Sarajevo ai tempi di Franz Ferdinand, per due mesi uno «stato d'emergenza» è stato schermo di una spietata resa dei conti, la nuova democrazia ha dato prove di corruttela tanto ignobili da risultare grottesche ed il governo è caduto di fronte ad un caso da operetta: una deputata della maggioranza risultava aver votato pur trovandosi quel giomo in Turchia. Dopo dodici anni di sanzioni, tre guerre, la morte di una Federazione, i bombardamenti della Nato ed una rivoluzione senza spargimento di sangue era inevitabile che un Paese già di per se umorale reagisse all'indefinito allontanarsi del benessere e del sogno europeo. Adesso tutti i sondaggi pronosticano una vittoria dei nazionalisti più biechi, quelli del partito radica¬ le che fu già di Seselj (oggi detenuto all'Aja) ed oggi esibisce uno slogan che pare un ultimatum: «Radicalmente meglio». Il programma è semplice: al diavolo tutti. Altre formazioni, come il partito riformista della Vqjvodina di Miodrag Isakov traducono il messaggio in maniera appena più articolata: «Tutti devono poter vivere del salario o della pensione». Con diverse coloriture ogni gruppo politico (fra incroci e coalizioni, in gara ce ne sono 65) punta sull'idea del cambiamento, della svolta, dell' adesso basta con l'accanimento sanzionatorio dell'Occidente e l'Europa matrigna. Il partito di unità serba (quello del defunto Arkan) annuncia: «Dopo la notte, l'alba». Vojslav Kostunica, che toma in corsa alla guida del «Dss» lancia la promessa: «Se dò una parola è quella». Boris Tadic, già volto presentabile del partito di ZoranDijndijc, sintetizza: «Il futuro è adesso». In realtà la competizione si basa ormai sulle diverse coloriture dei nazionalismi, perfino un equilibrato signore come Milorjub Labus, che è un economista e tentò inutilmente di riportare questo Paese nell'orbita della ragionevolezza, adesso dice «i serbi non hanno più la pazienza di sopportare privazioni e sacrifici». Insomma, mentre il fronte mediorientale è ancora lontanissimo da ima qualsiasi stabilità quello balcanico minaccia di riaprirsi a partire dal suo proprio ombelico. In Croazia r«Hdz» che fu di Franjo Tudjman è tornato stabilmente al potere, in Bosnia la morte di Izetbegovic segna il trionfo del. suo «Sda». In Serbia sui 250 seggi del Parlamento le proiezioni ne attribuiscono 75 ai radicali di Tomislav Nikolic e trentacinque ciascuno al «Dss» di Kostunica ed al «G 17 Plus» di Labus. Tra le formazioni minori r«Sps» che appartenne a Milosevic viene accreditato di in risicato sei-sette per cento ma in qualche modo potrebbe rappresentare la vera sorpresa. A guidarlo oggi sono Milorad Vucelic, uomo di mondo che odia la globalizzazione ed Ivica Dacie, sosia ringiovanito del grande Sloba. Dopodomani, con i primi risultati, la Serbia potrebbe forse scoprire che lo spauracchio dei radicali era stato sopravvalutato (qui i sondaggi funzionano poco, il voto è una questione d'impeto) ma che in ogni caso, chiunque si ritroverà al governo dovrà marcare una svolta. Kostunica ed il suo «Dss» potrebbero tentare un accordo con il «G 17» di Labus, i resti del gruppo Djindjic, forse il partitino del redivivo Vuk Draskovic. I programmi ad ogni modo non differiscono di molto: basta con il ricatto di finanziamenti legati alla consegna di criminali veri o presunti, basta con il Kosovo terra di nessuno, autonomia per i serbi di quella regione. Si sta piantando il primo seme di una nuova divisione. Con diverse coloriture tutte le formazioni si ribellano all'accanimento sanzionatorio di Europa e Occidente Una manifestazione di sostenitori del partito socialista con ritratti di Milosevic