All'avventura con Salgari nell'Africa fatta in casa di Lorenzo Mondo

All'avventura con Salgari nell'Africa fatta in casa SCORRERIE SARACENE, BELVE, PASSIONI: ESCONO IN COFANETTO TRE ROMANZI POCO NOTI DEL PADRE DI SANDOKAN All'avventura con Salgari nell'Africa fatta in casa Lorenzo Mondo 'TpBA i molti viaggi compiuti A da Emilio Salgari sulle carte geografiche e sulle ab dell'immaginazione, occupano imo spazio rilevante quelli africani. Viene a ricordarcelo un cofanetto degli Oscar Mondadori contenente tre romanzi che suscitano curiosità proprio perché non sono tra i più noti: La Costa d'Avorio, Le pantere di Algeri, I briganti del Riff (369-402-336 pgine, 18,40 euro). La terna conferma gli interessi dello scrittore riproponendone certe costanti: la maggiore attenzione per il Maghreb rispetto all' Africa nera, la parte comunque riservata alle avventure di mare (come conviene a chi si è autopromosso «capitano in seconda»), l'eventuale incursione in secoli lontani (Le pantere di Algeri è ambientato nel Seicento delle scorrerie saracene). Sono romanzi che si leggono con gusto, per la foga che travolge ogni ostacolo, anche stihstico; per la curiosità onnivora capace di rigenerarsi in una quantità di invenzioni, sia pure elementari, primarie; per la naìveté così disarmata da diventare contagiosa. E poi, mentre il mondo vaticinato da Verne, il suo rivale «scientifico», si è pressoché realizzato, resta il solo Salgari a raccontare un esotismo che, in una terra violata e inquinata. risulta più che mai fantastico, irreperibile. Ad apertura di pagina, registriamo anche qui le ben note impronte salgariane. L'iperbole dei sentimenti: «Mille milioni di demoni!, gridò, strappandosi impugno di capelli». La propensione didascalica manifestata anche nella descrizione, che si vorrebbe conturbante, di Una beltà femminile: «Occhi superbi tagliati a mandorla che spiccavano maggiormente sulla piccola riga d'antimonio così largamente usato dalle moresche e dalle orientali nella loro toletta». Le scene da grand-guignol: «...le corazze che si schiodano sotto quei colpi tremendi e gli uomini cadono cogli elmetti fracassati che gettano sangue da tutti i fori o colle spade confitte nella gola o nel basso ventre che le corazze non proteggono». La personificazione delle belve, nel caso una pantera apostrofata col termine di «canaglia». E la ricorrente nota «storica» a pie di pagina, che intende confermare la veridicità di eventi particolannente bizzarri o crudeli. Salgari, d'altronde, si documentava puntigliosamente sui dati storici e geografici, sentiva il bisogno di fornire solide basi alla sua più sbrigliata inventiva. Eppure, contro ogni apparenza, non ebbe un rapporto facile con l'Africa, proprio perché ce l'aveva in casa: «Ai piedi delle colline di Verona si parlava swahili». Ce lo racconta Silvino Gonzato nella sua introduzione (che si accompagna alle utili schede filologici: " e documentali di Vittorio Sarti). Nell'istituto del «servo di Dio» don Nicola Mazza, si educavano «moretti» per fame dei missionari, anche se molti di loro, scampati alle polmoniti, finivano domestici nelle famiglie nobiliari. Nel 1878 (Emilio aveva sedici anni) Daniele Comboni partiva per il Sudan con sette giovani suore veronesi, tra cui Maria Caprini, che era stata amica d'infanzia di Salgari. Lui, anziché approfittarne, ambienta i suoi primi scritti in Papuasia, in Cocincina, in Malesia. «Verona brulicava di barbe di missionari che la sapevano lunga, molto più lunga di lui, sul continente nero». Sia imbarazzo, sia effetto saturazione, soltanto nel 1884 Salgari approda in Africa, quando pubblica a puntate su La Nuova Arena il romanzo La favorita del Mahdi. A muoverlo è forse la grande sensazione suscitata in Europa dalla meteora del profeta sudanese, vincitore di Gordon Pascià. Anche le «suorine» e i religiosi veronesi soffrirono la dura prigionia del Mahdi, alcuni ne morirono, ma Salgari ne parla frettolosamente, tutto preso dalla fiammeggiante passione d'amore dei suoi eroi. Abd-el-Kerim e Fatbma (entrambi arabi, lui non ha pregiudizi etnici o razziali). Chiederà notizie di loro intervistando il missionario Luigi Bonomi, riuscito a tornare. Vuol sapere anche se il Mahdi, che è appena morto e che lui ha trattato nel romanzo con rispetto (come «vendicatore degb arabi che languono sotto il giogo e la sferza dei turchi e degli infedeli») fosse «un furbo o un fanatico». Passeranno molti anni prima che tomi a occuparsi creativamente dell'Africa, I briganti del Riff uscirà nel 1911, l'anno della morte. Ma, ancora nel 1885, stende per LArena il resoconto di una conferenza tenuta a Verona da Augusto Franzoj. L'esploratore, giornalista e scrittore piemontese ha un successo straordinario. Bacconta il suo viaggio di tremila chilometri in Abissinia, senza bussola e senza protezioni, incalzato da malattia e penuria, esposto ai pericoli di un paese dilaniato dalle guerre tribali, alle insidie ultime della regina di Ghera, l'awelenatrice: alla quale riesce a strappare le ossa dell'esploratore Giovanni Chiarini perché abbiano sepoltura in Italia. Salgari annota, e ammira certo, con una punta di amarezza, quel personaggio: l'intrepido rodomonte che sembra incarnare nel modo più alto gli eroi dei suoi romanzi, IVafricano» che è riuscito a essere ciò che lui ha sognato per tutta la vita e continua a sognare nei suoi romanzi. Nelle pagine della «Costa d'Avorio», delle «Pantere di Algeri» e dei «Briganti del Riff» la curiosità per un continente amato già a Verona, attraverso i racconti dei missionari Emilio Salgari. I tre romanzi si leggono con gusto, per la foga che travolge ogni ostacolo, anche stilistico :':mm.;zwmm Un'illustrazione di Giuseppe Gamba per il romanzo La costa d'Avorio