La terza era della globalizzazione

La terza era della globalizzazione LA NUOVA FASE PROMETTE DI ESSERE PIÙ ARMONIOSA DELLE PRECEDENTI La terza era della globalizzazione Entrano sul palcoscenico le vere multinazionali Tim Hindle SEMPRE più spesso le multinazionali tendono a trasferire attività operative e controllo delle principali funzioni di business, allontanandole dalla propria sede principale. Questa tendenza vede tra i principah portavoce società di primissimo piano, quah ad esempio Ibm. Il colosso deU'infonnatica ha infatti recentemente inaugurato ima nuova sede regionale a Singapore (oltre 1000 dipendenti) per seguire da vicino la crescita deUe attività della zona e accelerare il trasferimento dei propri «coUetti bianchi» all'esterno degh Usa. Questa diffusione del potere subirà una forte accelerazione nel 2004 in quella che sta per diventare una vera e propria «terza era» della strategia globale deUe multinazionali. Nella prima era, si sviluppò la tendenza a commercializzare all' estero ciò che veniva prodotto intemamente e a controllare tutte le proprie attività dalla nazione originaria dell'azienda produttrice. Nella seconda fase, sia le vendite che la produzione si trasferirono in varie locahtà di tutto il mondo, ma il controllo rimase ben saldo nella sede centrale invariabilmente collocata nella «triade» costituita da America, Giappone ed Europa occidentale. Oggi si inizia a scorgere uno spostamento significativo neUa collocazione geografica delle funzioni di controllo. Per la prima volta, le società multinazionali stanno per diventare davvero globah. La mighore e più nota esposizione analitica della prima fase della strategia globale è quella offerta da Theodore Leviti in un articolo del 1983 della Harvard Business Review. In quell'articolo Leviti prevedeva «l'emei-genza di mercati di portata globale destinati a prodotti per consumatori standardizzati su una scala di grandezza precedentemente inimmaginabile». Secondo la concezione di Leviti, la tipica azienda globale è un produttore di grande importanza su scala nazionale che intende mettere a frutto le proprie economie di scala per commercializzare e distribuire prodotti su scala globale. Quando elaborò la propria analisi, Levitt aveva ben presenti gli esempi di aziende come i giganti deU'elettronica giapponesi. Sulla base di funzioni di ricerca e sviluppo inteme e di strutture di produzione nazionali, queste aziende hanno esportato una gamma di prodotti uniformi in tutto il mondo. Ma la prima fase della globalizzazione lasciava già intravedere all'orizzonte una nuova e seconda fase. Spinte in larga misura dalla necessità o dal semplice desiderio di ridurre i propri costi di produzione, le grandi aziende occidentali hanno iniziato a spostare importanti sezioni delle proprie strutture produttive in paesi che offrivano condizioni di lavoro più favorevoli per le imprese (ad esempio, paghe inferiori). Negh Anni '90 questo ha contribuito a una rapida ascesa degh investimenti diret¬ ti all'estero. Nel 2001, per esempio, le multinazionali straniere controllavano il 390Zo delle prime 500 società dell'America Latina, un dato in forte aumento rispetto al 27D7o di soh dieci anni prima. Questa seconda era ha dato vita, in occidente, a veri e propri gruppi antiglobalizzazione. NeUa prima era, l'obiezione principale degh avversari della globalizzazione era che le multinazionali tendevano a ridurre e impoverire le possibilità di scelta dei consumatori, diffondendo nel mondo prodotti omogenei e senza personalità. NeUa seconda era, almeno secondo i più fieri accusatori, le multinazionali non si sono limitate a demolire completamente la diversità, ma hanno anche esercitato un controUo decisamente arrogante sui propri vastissimi imperi, indulgendo in pratiche di bieco sfruttamento deUe classi più povere. Nel 1998 due professori di economia, C.K. Prahalad e Xermeth lieberthal, hanno pubblicato un articolo suUa fine deU'imperialismo aziendale. Con qualche armo di anticipo sugli sviluppi più recenti, gli autori sostenevano che le multinazionali avrebbero dovuto svUuppare una nuova mentalità e adottare nuovi modelli di business. Quei modelli stanno iniziando ad apparire solo ora. Nel lugho del 2003 Rod Eddington, direttore generale di British Airways, ha redatto un articolo in cui afferma che, in questa fase deUo svUuppo mondiale, gh unici imperi globah che continueranno a resistere saranno quelli realmente graditi ai propri sudditi. L'impero britannico, sostiene Eddington, è crollato perché ha «perduto la propria iniziale flessibilità. Ben presto U processo di invecchiamento della mentalità si è inesorabilmente iniziato, e con esso la decadenza». L'applicazione deUe lezioni deU'impero aUe imprese, dice ancora Eddington, implica che società come British Airways «abbiano bisogno di una sede centrale forte ma non oppressiva e di avamposti fedeh a se stessi senza perdere la propria identità aziendale». Altri indizi suUa possihhe forma deUe multinazionali post-imperiah emergeranno senz'altro nel corso del 2004. Eccone alcuni. - Ulteriore dispersione deUe sedi centrali. È raro per una grande azienda spostare la propria sede centrale da un paese a un altro, sebbene Ikea e Bhp-Bilhton lo abbiano già fatto. Ma un numero sempre maggiore di società aUeste quartieri generah regionali, oppure trasloca altrove funzioni specifiche dei quartieri generali. Un recente sondaggio Unctad ha riscontrato che 829 «sedi centrali» di multinazionali sono state trasferite tra U gennaio 2002 e U marzo 2003, quasi un quarto di esse in paesi in via di svUuppo. - Una maggiore estemalizzazione di procedimenti chiave commerciali verso le regioni del mondo in via di svUuppo (un'attività sempre più spesso definita «offshoring»). Un rapporto recente dei consulenti Bain S- Co ha stimato che, entro il 2006, U mercato deU'offshoring in India aumenterà del 570Zo e del 450Zo in Russia. Accenture, un'importante agenzia di consulenza IT, si attende una crescita assai intensa deU'offshoring anche neUe funzioni finanziarie e di contabilità. Secondo Accenture le società iniziao a comprendere che l'estemalizzazione prevede un semphee cambiamento qualitativo del controllo, non la sua perdita. - Una maggiore integrazione di dirigenti di nazionalità differenti. Più direttori generah di società globah saranno di nazionalità diverse da queUe deUa società per la quale lavorano. Questo è al momento ancora sorprendentemente raro: ungaUese, Lindsay OwenJones, aUa testa de L'Oréal, per esempio, mentre un brasiliano, Carlos Ghosn, è diventato direttore generale di Nissan. Al hveUo inferiore, tuttavia, U bacino dal quale proverranno i prossimi direttori generah, i manager sono sempre più spesso un gruppo assolutamente pohglotta. - Un sempre maggiore utilizzo di funzioni di ricerca e svUuppo provenienti da sorgenti altemative rispetto ai laboratori intemi deUa società. Esempi di un simUe comportamento sono già piuttosto diffusi. Nel 2003, per esempio. General Motors ha equipaggiato alcune deUe sue vetture con un motore in grado di funzionare a benzina, ad alcool etilico o con una miscela dei due combustibili. il motore in questione è stato svUuppato dal centro tecnologico brasUiano di Delphi, un produttore Usa di parti per autoveicoh che (e sembra proprio U segno dei tempi) afferma di avere «sedi centrali a Troy, Michigan, Parigi, Tokio e Sào Paulo». La nuova era deUa globalizzazione promette di essere più armoniosa deUe precedenti. Nel lugho 2003 Larry Ellison, l'americanissimo boss del gigante del software Oracle, ha detto: «Non è straordinario che proprio in questo momento Oracle offra lavoro a 3.200 cittadini dell'India? I salari in costante aumento permettano a queste persone di ottenere un tenore di vita molto elevato e h aiuteranno a creare una nuova classe media in quel paese». Sarà ancora più straordinario quando una di queste 3.200 persone dirigerà la società di Ellison dai suoi uffici di Bangalore. Un giorno non più molto lontano. Nel periodo gennaio 2002 marzo 2003, oltre 800 grandi gruppi hanno trasferito la «sede centrale» Sempre più direttori generali di società globali saranno di nazionalità diversa dalla casa madre Global terracqueo. Supermercat pieni, Ikea conta gli utili. Il grande mercato cresce, ma qualcuno sta pensando di mettergli dei freni. Non è detto che sia un affare Il boss. Larry Ellison, numero uno di Oracle

Persone citate: Bain, Carlos Ghosn, Eddington, Larry Ellison, Levitt, Lindsay Owenjones, Rod Eddington, Theodore Leviti