sotto la maschera canta RABAGLIATI

sotto la maschera canta RABAGLIATIsotto la maschera canta RABAGLIATI OGNI giomo uno inciampa nella propria vergognosa ignoranza. Sul Messico, ad esempio, ho in mente soltanto dei luoghi comuni, Montezuma, Pancho Villa, Zapata, i pittori di murales, la Cucaracha, i vulcani, quegli enormi sombreri che forse nessuno porta più. Vedo che esiste invece un Messico ben diverso, dove fin dal 1994 un esercito di ribelli si batte sulle montagne contro l'esercito di un'oligarchia frusta e corrotta cui da settantanni si piega il Paese. Sono gli zapatisti e ora ricordo che tempo fa l'On. Bertinotti andò a visitarli, immagino a cavallo, e che sono subcoraandati da un misterioso subcomandante Marcos. Leggo per curiosità gli scritti di questo mascherato leader (Oscar Mondadori) e devo dire che non sono niente male. Si tratta di proclami, appelli, lettere aperte, ispirate filippiche contro il potere, e si sente subito che il subcomandante è tutt'altro che un subscrittore. Questa faccenda del "sub" temo nasconda una civetteria, se non un guizzo di falsa modestia: poiché tutti noi guerriglieri siamo uguali - dice - non ci può essere nessuno che conta più degli altri; qualcuno che tecnicamente comandi ci vuole ma allora lo si chiamerà "sub" (mi chiedo come si chiami il "vice" del capo: sub-sub?). E tuttavia questa umiltà esibita, sottolineata, suona oggi più che altro ingenua, e del resto gli scritti di Marcos lasciano un'impressione di fervido candore, di semplicità, di parole che vengono come si dice dal cuore prima che dalla dialettica propagandistica. Il subcomandante è un eccellente polemista, ricopre ora di sarcasmi ora di maledizioni i governanti messicani, si scaglia doverosamente contro gli Stati Uniti e le loro mene in Sudamerica, descrive con accenti di autentico sdegno le condizioni di vita nelle terre dove opera, vitupera i feroci rastrellamenti di cui. sono vittime gli zapatisti, esalta i suoi molti eroi e le sue giovani eroine, combattenti generosi e indomiti che prima o poi vinceranno. E' tutto molto chiaro, diretto. convincente, a mille miglia dai messaggi arzigogolati delle nostre BR, per dire. L'uomo, è evidente, ha il dono di saper parlare ai suoi, e questo dev'essere il vero movente delle visite dei nostri politici laggiù, a cavallo o a dorso di mulo che sia. Come farà? Qual è il suo segreto, la sua tecnica, da dove gli viene quel calore, quella concretezza, quella spontaneità di eloquio? Il fatto è che Marcos parla in una situazione antica, è un tribuno che si rivolge a servi oppressi per aiutarli a insorgere, a com- battere; e più nulla di tutto questo è ancora presente nel nostro mondo supercivilizzato. Lo si va a vedere con rispetto e ammirazione, senza dubbio; ma con una dolente punta di nostalgia. Ecco com'era la lotta politica prima dei dibattiti televisivi, dei girotondi, delle adunate da un milione di manifestanti! Ecco come si potevano infiammare i cuori e le menti di un popolo davvero oppresso, davvero in ginocchio! Un rivoluzionario un po' lucido non può che misurare la distanza tra le parole di Marcos nei viUaggi delle sue montagne e le proprie astruserie amplificate fino all'insignificanza dai ricchi "media" di cui dispone. Non può che provare una fitta di malinconia, come se nello sfondo ci fosse Alberto Rabagliati che canta soave: "Maria-laohohoh, lasciati baciaaar..." sarà stata messicana questa Mariala-oh? MORTUSEST Dimenticavo Trotsky (mi rifiuto di usare la grafia oggi prevalente), l'assassinio di Trotsky a Città del Messico nel 1940. Era in casa sua, in giardino, chino sui fiori. Il giovane studioso che stava raccoghendo materiale per scrivere la sua biografia (per questo Trotsky lo ospitava) gli arrivò alle spalle e gli spaccò il cranio con un picconetto. L'agonia durò qualche giorno, dopodiché Stalin, mandante dell'esecuzione, potè finalmente esclamare "Mortus est, mai pi barbota", o un'equivalente in georgiano. Non so da dove venga questo sbrigativo congedo dialettale. A me arrivò attraverso una vecchia balia originaria delle campagne vercellesi, che non lo usava alla lettera, in morte di questa o quella persona reale, ma piuttosto nel senso di: pazienza, cosa fatta capo ha, era ora, be', finalmente ce ne siamo liberati di questa vetusta pentola con un solo manico, o magari schiacciando un moscone riottoso col giornale. Cose così, in un contesto casalingo. Ma se avesse saputo dell'assassinio di Trotsky (nemmeno aveva idea di chi fosse) avrebbe probabilmente alzato le spalle col suo "mortus est". Un remoto regolamento di conti tra remote canaglie. Solo che quelle canaghe continuano a borbottare insistentemente, evocate, discusse, sviscerate anno dopo anno, libro dopo libro. Mi chiedo banalmente quanto tempo ci voglia per far davvero morire, disseccare nella memoria, quella gente. Prendia¬ mo Napoleone, un paragone del tutto improprio se non per il culto appassionato che generò. Il bonapartismo durò a lungo dopo Waterloo (1815) e si può dire che solo con la Grande Guerra (1914) la partita (emotiva, non storica) si chiuse. Un secolo. Trotsky morì nel 1940, Hitler nel 45, Stalin nel '53, e i conti sono sempre aperti, bene o male. Tenta di chiuderli un buon romanziere inglese Martin Amis, figlio cinquantenne di un altro buon romanziere inglese Kingsley Amis, defunto nel 1992, a cui il libro è dedicato (Koba il terribile, Einaudi). Un libro grondante di indignazione, orrore, sbigottimento. Si sente anche che Amis jr. si sta toghendo un macigno dallo stomaco, giacché Amis sr., poi diventato un acceso anticomunista, aveva in gioventù creduto "in" Stalin per quindici anni buoni e il figlio cerca oggi di spiegarsene il perché. La famiglia è benestante, è borghese, ha ottime conoscenze e amicizie nel mondo intellettuale inglese. Kingsley Amis era benissimo piazzato per sapere cosa fosse veramente l'Unione Sovietica, chi fosse veramente Koba, un altro soprannome di Stalin. Ma come molti, pur salendolo o intuendolo non si vole privare dell'illusione utopica. Tale dissociazione o rimozione, ben nota anche in Italia, permise al sistema dei gulag di sopravvivere acquattato nelle coscienze fino alla caduta del Muro di Berlino, e surrettiziamente anche oltre. Come mai, si chiede Amis jr. "tutti conoscono Auschwitz e Belsen, nessuno conosce Vorkuta e Solovckij", due gulag che quanto a capacità di sterminio non avevano nulla da invidiare ai lager nazisti? Il tormentato autore non si capacita. Stalin, ma anche Lenin e Trotsky, anche Kamenev e Zinoviev e in pratica tutta la banda bolscevica era niente di più che, appunto, una banda di mediocrissima levatura; gestì fin da subito il potere col terrore e la propaganda, del tutto indifferente alla vita umana singola e collettiva, e si afflosciò su se stessa nel 1989 senza lasciare dietro di sé niente, ma proprio niente, degno di onorevole memoria. Suscitò altissime testimonianze, come Arcipelago Gulag e i Racconti della Kol^nna; si attribuì il merito di Stalingrado. Ma per il resto "faceva ridere", sostiene Martin Amis notando che si può scherzare sul comunismo mentre il nazismo spegne anche retrospettivamente ogni sorriso. L'Urss fu una colossale, dettaghatissima, mostruosa farsa, una tale enormità da risultare alla fine incredibile. Quelle notizie che pure filtravano in Occidente non potevano essere "vere". Amis figlio rimesta questa tragica materia in tutti i sensi, sempre però attorno alla figura centrale di Koba, di cui finisce per darci se non ima biografia un ritratto a crude pennellate espressionistiche. Ma è chiaro che ci vorranno almeno altri cinquant'anni prima che di lui si possa dire "mortus est, mai pi barbota". SOLDATI IN AMERICA L'editore Sellerio, fedele al ripescaggio di testi più o meno introvabili propone ora una ben corredata edizione (quasi un'edizione critica), di America primo amore di Mario Soldati che avevo letto mezzo secolo fa. Dall'anno della sua prima uscita, 1935, il libro, che era destinato a Bompiani, passò invece a Bernporad, e ne vediamo qui riprodotta la copertina originale disegnata da Carlo Levi; e poi via via il periplo dell'editoria itahana, Einaudi, Garzanti, Rizzoli, Mondadori fino a Sellerio. Corretto e ricorretto dallo stesso autore ad ogni nuova apparizione, è dunque un libro che si rifiuta di sparire, c'è sempre un qualche nuovo angolo da cui guardarlo, un nuovo motivo per rimetterlo in libreria. L'America affascina e insieme delude Soldati, che ci andò con una borsa di studio nel 1929, proprio nel momento del grande crollo borsistico, delle code per la minestra, della disoccupazione, dello squallore dei quadri di Edward Hopper. Duro paese, dure città, duri ambienti, durissimi giudizi. Ma sebbene i racconti siano nati come "pezzi" giornalistici, di cronistico c'è ben poco. Soldati è un elegante, un raffinato prosatore, incline alla citazione colta anche quando fa lo sguattero in una miserabile bettola. Si ripara da quel mondo violento e ostile mediante lo snobismo, l'invettiva, l'autobiografismo di tono lirico. A rileggerlo oggi, noto cose che mi erano sfuggite: l'odio (esagerato) per i professori universitari americani e le loro vite di ipocriti falliti e tendenzialmente!?) omosessuali; osservazioni molto acute sul cinema di Hollywood, specie di serie B; descrizioni vividamente sensuali di cafeterie, ristoranti, strade, stazioni, botteghe; ricorrente e ingolosita ammirazione per i bei ragazzoni d'America, alti, forti, sorridenti, ammiccanti baristi, autisti, marinai, in cui il bisessuale Soldati scorge ghiotte disponibihtà. Un libro strano, sfaccettato, irto, passionale, prezioso pezzo d'antiquariato ma carico di emozioni profetiche, legatissimo alla vecchia Europa, alla vecchia Torino e tuttavia scisso, metà faccia rivolta con una smorfia al fantastico e allarmante Nuovo Mondo. America primo amore, sì. Ma un amore difficile, come continua a esserlo per molti di noi. SUL FILO DELLA NOSTALGIA: LEGGENDO AMIS, DA TROTSKY A UNA VECCHIA BALIA ORIGINARIA DELLE CAMPAGNE VERCELLESI, ALLA RISCOPERTA DI UNO SBRIGATIVO CONGEDO DIALETTALE UN VIAGGIO ANNI TRENTA A NEVIORKE, PREZIOSO PEZZO D'ANTIQUARIATO MA CARICO DI EMOZIONI PROFETICHE, LEGATISSIMO ALLA VECCHIA EUROPA E ALLA VECCHIA TORINO PROCLAMI, APPELLI, LETTERE, ISPIRATE FILIPPICHE DEL SUBCOMANDANTE MARCOS (TUTT'ALTRO CHE UN SUBSCRITTORE): COM'ERA ROMANTICA (MUSICALE) LA LOTTA POLITICA PRIMA DEI DIBATTITI TV E DEI GIROTONDI ^m^io di CARLO FRUTTERÒ di CARLO FRUTTERÒ e h a LIATI(S) VWv*) a&Kv Il subcomandante Marcos in un disegno di Dariush perttL