In Germania lo scandalo del latte si chiama Mùller

In Germania lo scandalo del latte si chiama Mùller UN ALTRO IMPRENDITORE ESPATRIA PER SFUGGIRE AL FISCO. SCHROEDER SI INFURIA E IL PAESE INCASSA UN ALTRO COLPO In Germania lo scandalo del latte si chiama Mùller Alexander Weber MENTRE gli italiani si preoccupano del produttore di latte Parmalat, i tedeschi si preoccupano di un altro produttore di latte, il signor Theo Miiller che ha deciso di abbandonare la Germania perchè le tasse sul suo reddito individuale sono troppo alte e si è trasferito in Svizzera. «Quando sento parlare del signor Mùller - ha commentato il cancelliere Schroeder - lo jogurt mi va a male...». Il cancelhere ha attaccato a muso duro i ricchi tedeschi che abbandonano 0 paese solo per ragioni fiscali. Era noto il caso di molti sportivi, in particolare quello del tennista Boris Becker, trasferitosi a Montecarlo proprio mentre la sua collega di gloria. Staffi Graf, vedeva il padre finire in galera per evasione fiscale. Ma il fenomeno è in realtà molto diffuso. Si stima che circa 400 miliardi di euro di capitali finanziari escano dalla Germania per ragioni fiscali e non vi tornino più. Schroeder ha anche aggiunto di comprendere gli imprenditori che producono generi di consumo a basso contenuto tecnologico o a basso valore aggiunto e che decidono di lasciare la Germania per produrre in paesi con livelli salariali molto più bassi: «Non ci possiamo mettere in concorrenza con i costi di produzione della Cina, ma anzi - ha aggiunto saggiamente - dobbiamo augurarci che la dislocazione di quelle produzioni consenta ai paesi di altre aree del mondo di arrivare a condiuzioni di benessere tali da diventare acquirenti delle merci tedesche». Il problema è stato quando il capo della Infineon, uno dei primi produttori mondiali di derivati del silicio, ha annunciato che stava per lasciare la Germania perchè era ima zona a troppo rigida regolamentazione e con eccessivi costi di produzione e di burocrazia. Perdere la base dell'industria dell'information technology non sarebbe stato affatto un segno coerente con la visione geo-economica di Schroeder. Forse anche l'episodio di Infineon ha dato il via libera decisivo alla stagione delle riforme in cui il cancelliere si è lanciato e che sta portando all'approvazione parlamentare, pur molto difficoltosa, dell'Agenda 2010. Negli ultimi anni effettivamente l'impulso alle riforme venuto da Berlino è stato potente. Si può certo sempre osservare che si tratta «di tutto un po'» e che cioè si tratta di un buon lavoro al corpo della sclerosi tedesca, ma che manca l'uppercut del grande pugile. Pur tuttavia si tratta di riforme che versano molto olio negli ingranaggi dell'economia. Una banca americana ha fatto notare che i mercati finanziari se ne sono accorti in anticipo: nel 2003 la Borsa tedesca è cresciuta del 330Zo, il doppio di quella italiana e più del doppio di quella francese. In termini di dollari, un investitore americano, puntando su titoli azionari tedeschi, avrebbe guadagnato il 570Zo in un solo armo! Si può essere poco fiduciosi in astratto sull'Europa: l'ultimo vertice del Consiglio dei capi di stato e di governo a Bruxelles ha segnato il fallimento delle riforme istituziona- li, l'affossamento della Costituzione, il probabile conflitto sul futuro bilancio comune. Inoltre sembra mancare un'onda generalizzata di liberalizzazione che sia in grado di portare ai mercati del lavoro e dei prodotti i benefici dell'integrazione geografica e politica del continente. Nondimeno bisognerebbe riflettere sulle performance finanziarie: probabilmente il motore economico e industriale della Vecchia Europa non è così disastrato come noi stessi crediamo. In fondo che cosa sarebbe stata capace di fare una migliore macchina propagandistica di fronte alla notizia che la Germania - un piccolo paese in termini di demografia mondiale - è tornata a essere il maggior esportatore globale? Questa componente «immateriale» del benessere di una società è una componente impalpabile eppure decisiva della politica economica. La mancanza di fiducia nell'Europa, per esempio, rende più ristretti gli orizzonti delle industrie nazionah che così smettono di pensare di ingrandirsi attraverso gli investi¬ menti produttivi e pensano tuttalpiù a beneficiare di investimenti finanziari. In passato la Germania, come ogni altro paese europeo, disponeva di barriere fiscali ai propri confini: leggi che impedivano e punivano l'esportazione di capitali. Con il mercato unico questo è meno possibile. Con la moneta unica, la Germania ha perso anche una barriera invisibile: i vantaggi di attrarre capitali con la forza del marco tedesco. Le conseguenze sono satte vistose: dall'inizio degh anni Novanta una costante fuga di capitali dalla Germania. L'attacco di Schroeder agli esportatori di denaro, alla ricerca di vantaggi fiscali, risponde a questa improvvisa difficoltà e fa appello a un'arma a doppio taglio: da un lato chiede senso del bene comune, ma dall'altro chiede una fedeltà alla nazione. Sarebbe bene ancora una volta che le tentazioni di evocare gli spiriti nazionali trovassero una risposta più matura da parte europea. Finora però non è stato possibile. aleweb_mit@web.de

Persone citate: Alexander Weber, Boris Becker, Graf, Schroeder, Theo Miiller