«La forza del paradigma antifascista ha reso democratico anche il Pei»
«La forza del paradigma antifascista ha reso democratico anche il Pei»De Luna «La forza del paradigma antifascista ha reso democratico anche il Pei» Giovanni De Luna Ci È stato uno specifico contributo italiano al secolo dei totalitarismi: non il nazismo, non il comunismo ma il fascismo. Anzi, l'Italia ha il sinistro privilegio di aver messo al mondo la prima dittatura di destra del '900 totalitario. Per 0 nostro paese il fascismo non è stata l'invasione degli Hiksos, una malattia che ha corrotto un organismo sano (come sosteneva Croce); e non è stato nemmeno la bieca reazione del capitalismo contro l'avanzata della classe operaia (come sostenevano i comunisti). Se fosse stato veramente così, lo si potrebbe mettere tra parentesi e archiviare. Il fascismo è stato piuttosto la «rivelazione» di una serie di tare genetiche che minano la compagine nazionale fin dall'unificazione. H posto che occupa l'avventura mussoliniana nella biografia della nazione non è episodico: un deficit di democrazia era presente fin dall'inizio nella costruzione elitaria dell'edificio risorgimentale, nell'autoritarismo dei governi dell' Italia liberale, nella disinvoltura con cui l'esecutivo si è sempre sovrapposto agli altri poteri, nelle difficoltà con cui gli italiani hanno preso familiarità con lo spirito civico e un senso di appartenenza collettivo. Il fascismo enfatizzò questi elementi, riplasmandoli in un oppressivo regime totalitario. L'antifascismo appartiene insieme col fascismo alla biografia deÙa nazione e ne rappresenta «naturalmente» il versante democratico. Sarebbe bello avere, come auspica Pera, in questo paese una democrazia «normale». E certo sarebbe stato bello non avere avuto il fascismo. Non è andata così e l'antifascismo è stato il paradigma di una democrazia «potenziata» che deve sviluppare permanentemente antidoti verso le derive autoritarie che appartengono alle pulsioni profonde della nostra storia. E la forza di questo paradigma è stata tale da coinvolgere nei percorsi della democrazia anche il Pei. Nell'antifascismo c'è infatti la spiegazione del «mistero storiografico» per cui qui, in Italia, un'esperienza come quella comunista, che ha dovunque seminato lutti e orrori, sia stata incanalata nell'alveo delle istituzioni democratiche, fino a diventarne un solido baluardo difensivo (nella stagione del terrorismo, ad esempio), semmai con un eccesso di zelo legalitario. Tentativi eversivi nell'Italia repubblicana ce ne sono stati: pure sempre e solo da destra, con minacce di golpe ora risibili ora più serie. Quanto alla storia della Resistenza, alla «vulgata» storica come la definisce Pera, vale la pena rilevare che sulla guerra partigiana c'è stato un dibattito storiografico acceso, che ha scandito tutte le fasi politiche della storia repubblicana, conoscendo vulgate specifiche di volta in volta: quella costruita negli anni 50, esplicitamente anticomunista, quella degli anni 60 e 70, tutta tesa a enfatizzarne lo spirito, ecc. Sui vari temi (i rapporti con gli alleati; il nesso tra spontaneità e organizzazione; la «svolta di Salerno»; l'ossessione del Pei di valorizzare il contributo patriottico delle forse armate, riproponendo in continuazione generali e colonnelli; la cura maniacale, sempre del Pei, nell'esaltare il contributo delle componenti cattoliche e liberali) si sono accapigliati per decenni gli storici di derivazione azionista, quelli comunisti, poi quelli della «nuova sinistra». Parlare di un'unica totalizzante vulgata è una semplificazione sconcertante.
Persone citate: De Luna, Giovanni De Luna, Pera
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