«Resisterò fino alla morte», ma si è arreso di Carla Reschia

«Resisterò fino alla morte», ma si è arreso «Resisterò fino alla morte», ma si è arreso Smentiti tutti i pronostici di un suicidio per sottrarsi alla cattura Carla Reschia «Figli e fratelli, vi esortiamo a essere disciplinati e attenti così da non farvi cogliere di sorpresa», raccomandava il 1 "agosto dopo la morte dei figli Qusay e Uday, «martiri dell'Iraq e della Jihad». Invece l'hanno proprio preso alla sprovvista, in un tunnel, nel sonno, all'alba, l'ora degli agguati. «Nascosto come un topo sotto la verdura» secondo la fulminante descrizione di Al Sharif Ali bin ai-Hussein, capo del movimento monarchico. Barba incolta, tunica dimessa, l'aria di uno «che non si lava da giorni» nella testimonianza forse anche olfattiva dei suoi catturatori, il Raiss, per il capo delle forze della coalizione in Iraq Ricardo Sanchez, era «loquace e pronto a collaborare». «Ci bastano granate, lanciarazzi, un tozzo di pane e un sorso d'acqua», aveva esortato le sue truppe a gennaio, quando l'attacco era solo minacciato. Di pane e acqua non si sa, ma di certo non ha nemmeno messo mano ai due fucili da assalto che, insieme a 750 mila dollari, gli facevano compagnia. «Se lo conosco non si lascerà mai catturare». Era sicura l'amata moglie Samira Shahbandar, rifugiata sotto falso nome a Beirut con il figlio Ali e i 6 milioni di dollari e la cassetta di lingotti d'oro che il fuggiasco, travestito da beduino, «triste e depresso perché sapeva di essere stato tradito», le aveva fortunosamente affidato al confine siriano dopo la caduta. La donna, sospettata dai media locali di essere la fonte «molto vicina» che ha permesso la cattura del tiranno, sbagliava. Il video diffuso in tutto il mondo lo mostra paziente e stranito aprire obbediente la bocca per farsi controllare i denti. Niente capsule di cianuro da rompere a sorpresa per beffare il nemico, come Hitler e i suoi gerarchi, che Saddam non aveva mai nascosto di ammirare. «Ha avuto tempo per suicidarsi se avesse voluto, ma non Iha fatto», lo fulmina il leader del Congresso nazionale iracheno, Ahmed Chalabi. «Ha rivelato di essere bravo a nascondersi ma non di essere coraggioso», rincara il portavoce del partito, Intifad Kanbar. Nei mesi della latitanza e prima, nella lunga vigilia della guerra, gli esperti avevano discettato sulla scena finale del dramma. Il problema del «vivo o morto» era «una questione di carattere tattico», come diceva il generale Norton Schwartz, direttore delle operazioni allo Stato Maggiore Usa. «Impossibile - sosteneva - prevedere se accetterà di arrendersi o se, come i figli, resisterà fino all'ultimo, scegliendo la morte piuttosto che marcire in carcere». L'ipotesi del suicidio la escludevano, già a maggio, gli ex medici di fiducia, che forse lo conoscevano davvero. Le loro parole ora suonano profetiche. O sospettamente informate: «Saddam ha abbastanza esperienza e cervello per riuscire a nascondersi per anni e non è tipo che contempli il suicidio, neanche messo alle strette. E' sano e robusto, potrebbe vivere a lungo in un bunker». Ai tanti che nel mondo arabo hanno fatto il tifo per il novello Saladino non resta che rifugiarsi nella sempreverde teoria dei sosia. «Non è Saddam». Omar Abbasher, mipiegato sudanese di una banca di Abu Dhabi, intervistato da una tv araba, è uno di quelli che nemmeno la prova del dna basterà a convincere. Ad Amman le fighe Ragad e Rana e i nipotini, resi a suo tempo vedove, e orfani, dal Raiss, alla notizia della capitolazione sono tutti scoppiati in lacrime. Di soUievo? Ragad Hussein vive ad Amman

Persone citate: Ahmed Chalabi, Barba, Hitler, Kanbar, Norton Schwartz, Ragad Hussein, Rana, Ricardo Sanchez, Saladino, Samira Shahbandar

Luoghi citati: Beirut, Iraq, Usa