E se E.T. ci chiamasse?

E se E.T. ci chiamasse? E se E.T. ci chiamasse? Piero Galeotta*) [UANDO, alla del fine 1967, un gruppo di astronomi di Cambridge diretto da Antony Hewish scoprì un segnale radio che si ripeteva regolarmente ogni 1,377 secondi, in un primo tempo pensò di aver ricevuto un messaggio da qualche civiltà intelligente extraterrestre, i cosiddetti «Little Green Men» (omini verdi). Ma ben presto questi astronomi si accorsero di avfr invece scoperto le pulsar, cioè stelle di neutrini che rappresentano lo stadio evolutivo finale di stelle di grande massa, una scoperta molto importante che diede il Nobel per la fisica a Hewish nel 1974. La possibilità di comunicare con altri mondi è sempre stata considerata con interesse e curiosità dalla civiltà umana fin dai suoi albori. In effetti il contatto tra mondi diversi si è già verificato nel nostro pianeta, nell'antichità e, più recentemente, dopo le grandi scoperte geografiche del XV secolo, quando europei e popoli indigeni delle Americhe, dell'Africa o dell'Australia si sono incontrati per la prima volta. Ma si è sempre trattato di incontri tra esseri umani, della stessa specie, molto più simili tra loro di quanto i vari razzismi abbiano cercato, e ancora cerchino, di negare. Ben diverso sarebbe l'incontro con abitanti di un altro pianeta, di un altro sistema solare. L'incontro con altri mondi e la possibilità di comunicare con civiltà extraterrestri era divenuto un argomento scientifico già prima della scoperta delle pulsar. Furono Giuseppe Cocconi e Philip Morrison, allora professori all'Università di Cornell (Stai Uniti) in un breve e famoso articolo pubblicato su «Nature» nel settembre 1959, a proporre di usare la «riga» spettrale dell'idrogeno alla lunghezza d'onda di 21 centimetri per cercare segnali radio inviati nello spazio da altre civiltà. L'anno successivo, il grande radiotelescopio di Green Bank in Virginia (Usa) iu puntato su due stelle vicine di tipo solare (Tau Ceti ed Epsilon Eridani) da un giovane astronomo, Frank Drake, che, con l'appoggio del suo direttore Otto Struve, ne studiò l'emissione radio. Anche nell'Unione Sovietica stava nascendo, in quegn stessi anni, un progetto simile che, nel 1965, portò all'annuncio, poi smentito, che un segnale emesso dalla radiosorgente CTA-102 fosse dovuto a una civiltà intelligente extraterrestre. Ben presto l'ente spaziale americano, la Nasa, organizzò gruppi di lavoro per studiare la possibilità di comunicare con altre civiltà, e questi gruppi, nel 1977, giunsero alla conclusione di raccomandare un programma SETI (acronimo di Search for Extra-Terrestrial Intelligence) per lo studio del problema. Nacque così il SETI Institute, allora della NASA, ora divenuto un'istituzione privata americana, imitato successivamente da istituzioni analoghe in altri paesi. A Drake si deve anche una famosa formula, proposta nel 1961, per calcolare il numero di civiltà intelligenti nella nostra Galassia con cui poter comunicare, numero che dipende da alcuni fattori: il ritmo di formazione di stelle adatte, la frazione di queste stelle con pianeti, il numero di "Terre" per sistema planetario, la frazione di Terre in cui si è sviluppata la vita, la frazione di esse in cui la vita è divenuta "intelligente", quella in cui si è sviluppata la tecnologia delle comunicazioni e, infine, la durata nel tempo di una civiltà intelligente. Fino a qualche anno fa non si aveva alcuna evidenza di altri sistemi planetari, per cui si poteva assumere che non esistessero altri pianeti nel¬ l'universo oltre a quelli del sistema solare e, di conseguenza, non esistessero nemmeno altri mondi abitati. Ma poi, nell'ottobre del 1995, Mayor e Queloz, astronomi dell'Osservatorio di Ginevra, scoprirono un pianeta intomo alla stella di tipo solare 51 Pegasi - scoperta poi confermata da altri astronomi - che aprì un nuovo campo di ricerca astronomica, ricco di notevoli implicazioni non solo scientifiche. Da allora il numero di pianeti extrasolari scoperti è cresciuto al ritmo di oltre uno al mese, tanto che sono ora più di 120 le stelle che sappiamo essere accompagnate da uno o più pianeti, alcuni scoperti con il nuovo telescopio Keck di 10 metri di diametro in funzione all'Osservatorio di Manna Kea nelle Hawaii, in grado di^rivelare piccolissime perturbazioni nella posizione di una stella provocate dalla presenza di un piane¬ ta più piccolo di Giove (e infatti, recentemente, si è osservato un pianeta extrasolare di massa abbastanza vicina a quella della Terra). Le precedenti conclusioni devono dunque ora essere modificate: anche se le stime sul numero di possibili mondi con cui comu dcare sono molto incerte, il numero di civiltà extraterrestri è probabilmente diverso da zero, e non tanto piccolo. Tra i diversi fattori della formula di Drake, alcuni sono di natura astronomica e si possono calcolare in modo abbastanza preciso, altri sono di natura "umana" e sono soggetti a incertezze notevoli. Ad esempio, per poter comunicare, due civiltà intelligenti devono essere in una fase simile del loro sviluppo tecnologico: se fosse giunto a Terra un segnale radio 100 o più anni fa noi non saremmo stati in grado non solo di decifrarlo, ma nemme¬ no ci saremmo accorti dell'arrivo del messaggio. D'altra parte, i segnali radio emessi da Terra hanno potuto percorrere finora solo poche decine di anni luce, avendo la nostra civiltà sviluppato la tecnologia radio da poche decine di anni. Ma tra i vari fattori della formula di Dr^ke, quello più incerto riguarda la durata di una civiltà intelligente rispetto alla propria autodistruzione (dimostrando così di non essere affatto vita intelligente!); un pericolo che il genere umano ha corso più volte se la guerra fredda si fosse trasformata nella terza guerra mondiale (in quel caso la quarta guerra mondiale, come diceva Einstein, si sarebbe combattuta con la clava). Sperando di aver scampato questo pericolo, e nell'attesa di trovare qualcuno con cui poter dialogare, è stato sollevato da alcuni anche il problema della risposta a un eventuale segna- le proveniente da altre civiltà intelligenti. Si è stabilito che la risposta tocchi alk Nazioni Unite come governo mondiale (anche se, purtroppo, le racco- mandazioni Onu ultimamente restano spesso inascoltate); la risposta al problema «se rispon- dere» ha invece spaccato in due la comunità scientifica. I favorevoli sostengono che l'umanità avrebbe solo vantag- gi dall'incontro con civiltà più avanzate della nostra; i centra- ri hanno timore che la razza umana possa venir distrutta (come già successe ai popoli delle Americhe o dell'Australia quando furono "civilizzati" da- gli europei nei secoli scorsi), Allora: rispondere o no? La scelta tra le due possibilità non juò che essere soggettiva e la ascio al lettore senza dare, perché non ce l'ho, una mia risposta. (*) Università di Torino E.T., la tenera creatura extraterrestre ideata da Rambaldi per il film di Spielberg, per la prima volta ha presentato eventuali esseri alieni come amici dell'umanità (che invece li accoglie in modo ostile). Quasi sempre, invece, i film di fantascienza hanno dato degli extraterrestri una immagine aggressiva CEE se E.T. ci chiamasse?