Radio Tevere, Roma libera

Radio Tevere, Roma libera Radio Tevere, Roma libera Nel 1944, dai microfoni della RSI: fra «ritirate strategiche» dei nazi-fascisti e (la sera) parodie e varietà m ESPERIENZA del' la radio, messa nero su bianco, renL» de. Raccontare la radio - sia quando ci si lavora, stando al microfono o scrivendo testi o dietro il vetro della regia, ma anche quando semplicemente la si ascolta, magari nelle ore serali e nella solitudine di una stanza, o nel silenzio di vm percorso in autostrada produce quasi sempre pagine molto efficaci. Più coinvolgenti di racconti o ricordi che hanno a che fare con altri media, a cominciare dalla televisione. E' probabile che la vicinanza basata sull'ascolto crei effettivamente dei legami forti e pervasivi; sino a fare di coloro che seguono regolarmente un determinato programma - indipendentemente dalle loro storie personali, dal luogo in cui si trovano, dalla classe di età e dagli stili di vita che li contraddistinguono - un'effettiva comunità: di sconosciuti, certo. Ma dove la molteplicità di solitudini va a confluire, grazie all'icona sonora alla quale si dedica ascolto e attenzione, in un comune universo. Lì si forma un territorio che, seppur privo di spazio fisico e di concretezza visibile, esiste. Della creazione di uno di questi universi, fatto emergere ora dalla caligine delle patrie memorie, va a raccontare Gianni Bongioanni in Qui Radiotevere. 1944. Storia di radio, d'amore e di morte. Dall'esperienza del torinese ventenne - già recluta a Roma nella compagnia cinematografisti del Regio Esercito e poi "sbandato" badogliano catapultato negli studi milanesi di Morivione, fuori Porta Vigentina, dove quelh dell'Eiar irradiano i programmi della Rsi esce un libro sconcertante: di disarmante veridicità e di densa vitalità. Tanto da far venire il dubbio che, anziché essere davvero il viaggio di ritomo alla memoria di quegli eventi da parte del protagonista degli stessi, sia altra cosa. Data la freschezza un po' cinica di quanto Bongioanni, diventato nel frattempo regista di successo, autore di film e sceneggiati televisivi dal largo pubblico, va a ricordare e l'ingenuità guascona con cui mette a nudo se stesso, anche negli aspetti che altri terrebbero celati per pudore o per calcolo - Qui Radiotevere parrebbe un vero e proprio "romanzo di formazione" dove "situazioni, date, fatti, documenti sono autentici". Come puntigliosamente precisa l'autore. E dove ad essere autentico è soprattutto il ventenne che è al centro dei fatti e che ha scritto, oggi, con cinquant'anni in più sulle spalle, un testo sorprendente. Capace di rendere personaggi, avventure esistenziali, atmosfere e vicende, in presa diretta. Quasi fossero lì - traversato il tempo calato tra l'oggi e l'allora - a portata di microfono. Bongioanni, quando inizia la sua avventura, è un giovanotto dalla testa sveglia e dalla faccia tosta. In leciso - dopo lo sbandamento dell'esercito e le imposizioni d'arruolamento nella Rsi firmate da Graziani - su dove andare a parare. Sa, mentre se ne sta rifugiato presso i suoi genitori, a Torino, che se non vuole finire nelle retate dei tedeschi deve procurarsi un "Ausweis". Un lasciapassare. Sa anche che vuole un lasciapassare che nessun Kommando gli può rilasciare: quello che lo aiuti a fuggire lontano, molto lontano, dall'officina patema dove ha lavorato di tornio e di lima per tutta l'adolescenza. Lo sbandato disposto a tutto per un lasciapassare finisce nella tana del leone; negh studi milanesi che trasmettono i programmi della Rsi. Inizia come dattilografo. Ma quasi subito, innamorato del microfono, riesce ad andare "in onda". Sua è la voce che trasmette, ogni giorno, dalle 8,10 alle 10,30, i "Messaggi di italiani delle terre invase a parenti nel Nord". L'emozione dell'esordio, ben presto, diventa stanchezza e noia proterva davanti a testi che, nell'elencare le tragedie di ognuno, alla fine s'assomigliano tutti: "Incredibile, la tensione dell'essere in onda - scrive Bongioanni - non basta. Come a scuola o ai funerali si ride perché non si deve...". E non sempre la mano riesce a premere il tasto "sospensione" che interrompe l'audio prima che scocchi la sghignazzata irrefrenabile, in coda all'ultima tragedia, al cognome o alla località bistrattata da equivoche assonanze. Nonostante gh inciamponi il giovanotto ci sa fare. Tanto che, alla fine, quando decolla "Radiotevere", è la sua voce a dare il via all'avventura. E' la sera del 10 giugno 1944 - a quattro anni esatti dall'entrata in guerra dell'Italia e in coincidenza con la liberazione di Roma da parte degh anglo-ame¬ ricani - quando comincia ad essere diffuso, da Milano, il programma che dovrebbe far pensare, agli ascoltatori, di giungere da qualche emittente ancora in funzione in qualche angolo di Roma. Prima dell» sigla musicale si sente una specie di pigoho, dato dal segnale Morse: vorrebbe alludere alla clandestinità della trasmissione. Segue poi una voce forte e giovanile - quella di Bongioanni - che annuncia "Radio Tevere, qui Radio Tevere, la voce di Roma Libera". L'idea è stata approvata da Mussolini in persona che - scar¬ tando l'idea di "Radio Falco" che si profilava molto ingessata e militaresca, nostalgica e trombonesca - incoraggia qualcosa di giovanile e scattante. Sempre da diffondere sotto le attente orecchie del sergente Riesser, il censore della Wehrmacht che ha il suo cubicolo negli studi milanesi e che dovrebbe intervenire - segnalazione alle SS? deportazione? fucilazione? quando si deraglia. Il clan degh studi di Morivione si fa sentire. In una babele in cui c'è di tutto funzionari Eiar ed ex-notabili del ventennio, ragazze ebree sotto finta identità e geniali firme dello spettacolo itahano come Marcello Marchesi che dal suo archivio di idee estrae per "Radiotevere" una trovata al giorno - ognuno cerca di farsi sentire: corsivi al vetriolo di Vindex (la voce gliela presta Bongioanni) contro i badogliani e dichiarazioni d'imperitura fedeltà all'alleato nazista. Cronache deUe continue "ritirate strategiche" dei riazi-fascisti e la sera, parodie e varietà. Nonché ore e ore di musica jazz attinta dalle registrazioni deUe trasmissioni che gh alleati mandano in onda per le proprie truppe. E' un'impresa a termine, lo sanno tutti. E tutti, visto quello che stanno facendo, si preparano: chi al dopo e chi al peggio. Per fortuna il dopo, per Bongioanni e per tutti noi, è al megho. IMMAGINI EgngHJ Che il regime mussoliniano abbia saputo costruire un'efficace comunicazione, affidata principalmente alla radio, non c'è più dubbio alcuno. Più complicata, per la costruzione del mito del Duce, è stata invece l'utilizzazione delle immagini che, per essere efficaci, non dovevano innestare la benché minima contraddizione. Mussolini, da bravo comunicatore, dopo alcuni clamorosi inciamponi sorti dalla diffusione di immagini che lo ridicolizzavano, istituì un controllo severo sulle fotografie che lo riguardavano. E lo esercitava di persona, bocciando implacabilmente gli scatti che non lo convincevano e che ora sono raccolti, in parte, nell'interessante volume II Duce proibito. Le fotografie che gli italiani non hanno mai visto curato da Mimmo Franzinelli ed Emanuele Valerio Marino e pubblicato da Mondadori (pp. 140, ^ 18,60). Come scrive Franzinelli, nella bella introduzione, questa selezione di immagini «racconta effettivamente un'altra storia» del regime, dove - dietro ai solenni cliché irrompe un'involontaria vis comica: capace di demolire qualsiasi carismatica leadership. Basta guardare: per vedere e per capire.

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