«Davanti all'Unione alcuni anni molto difficili»

«Davanti all'Unione alcuni anni molto difficili» DOPO L'ADESIONE DEI NUOVI PAESI. SARA NECESSARIO RIVEDERE LE POLITICHE COMUNITARIE «Davanti all'Unione alcuni anni molto difficili» Il vicepresidente della Convenzione Dehaene: nel 2006 il nodo finanziario intervista T. Ferenczi e A. Leparmentier JEAN-LUC Dehaene, è possibile che il summit di Bruxelles sbocchi in tuia crisi? «Non è in questi termini che bisogna ragionare - dice l'ex primo ministro belga e vicepresidente della Convenzione - anche se l'Europa ha spesso risolto i suoi problemi attraverso delle crisi. A differenza della Convenzione, che aveva adottato un approccio europeo, chiedendosi ciò di cui l'Europa ha bisogno, la Cig ha scelto un profilo in cui ogni Paese cerca di massimizzare il suo interesse nazionale. Il testo che ne verrà fuori sarà meno ambizioso di quello cui è giunta la Convenzione, ma meglio di quelli delle Cig precedenti, dove si finiva per intendersi sui minimi comuni denominatori. I capi di Stato e di governo dovranno decidere se giudicano i passi avanti sufficienti per approvare il trattato p se preferiscono rimandare la conclusione, nella speranza che l'esperienza riesca a ottenere un risultato migliore. La difficoltà sta nel fatto che al tavolo delle trattative siedono anche Stati che non hanno vissuto dall'interno il funzionamento dell'Unione. Si può solo sperare che arriveranno alla conclusione che il loro interesse è favorire l'efficacia del sistema». La soluzione migliore quindi è aspettare? «Giuridicamente non abbiamo bisogno di un nuovo trattato. Il testo necessario all'allargamento è stato già firmato a Nizza. E nei prossimi tre o quattro anni l'Unio- ne funzionerà sulla base di questo trattato, perché il nuovo non entrerà in vigore che nel 2006 o 2007, senza parlare delle disposizioni che non saranno applicate fino al 2009. Il problema è sapere se bisogna fissarsi sulla scadenza del Consiglio Europeo o se non sia meglio darsi un po' più di tempo. Certo, sarebbe uno scacco, ma tutto sta nel capire cosa potrebbe venir fuori da questo scacco». Allora, secondo lei, biso¬ gna accettare la crisi? «L'Europa va verso anni molto difficili. I nuovi Paesi devono scoprire l'Unione dall'interno. Hanno fatto uno sforzo enorme per entrare. Adesso potrebbero essere tentati di dire: è finita. Ora, è vero che hanno adottato le leggi europee, ma hanno ancora un bel po' di riforme da fare per metterle in pratica. E la loro opinione pubblica, cui sono stati chiesti molti sacrifici durante il periodo d'adesione, potrebbe anche ritenere che i sacrifici sono stati abbastanza. L'Europa stessa non ha davvero facilitato l'integrazione, l'ha trattata in modo più contabile che visionario. Inoltre ha omesso di rivedere le sue politiche interne, pur sapendo che era quasi impossibile estenderle così com'erano. La cosa peggiore è che non ha adattato il suo quadro finanziario, sapendo che nel 2006 bisognerà rinegoziare, all'unanimità, un pacchetto dove chi paga non vorrà più pagare, chi riceve non vorrà ricevere di meno e dove tutti sanno che è indispensabile accelerare lo sviluppo dei nuovi Paesi. Dopo la gioia del primo maggio 2004, data dell'arrivo dei nuovi aderenti, dobbiamo prepararci a 4 o 5 anni duri». Nella negoziazione sulle istituzioni, cos'è che bisogna difendere a tutti i costi? «La cosa più pericolosa sarebbe lasciar cadere la prospettiva di una Commissione ridotta, anche se non la si mette in pratica immediatamente. Il trattato di N^za l'aveva stabilito come obbligo. La Convenzione ha tentato di portarlo avanti. Quello che conta, per me, non è la nazionalità dei commissari, ma le loro competenze. Una Commissione di 25 membri diventerebbe un conglomerato di sottocommissioni, con il rischio della cacofonia. Non funzionerà mai senza un presidente forte... cosa che il trattato non prevede». Sul sistema di voto, non state forse pagando il colpo di mano che avete fatto alla Convenzione, dicendo che c'era consenso generi le, mentre gli spagnoli non erano d'accordo? «L'unica altra soluzione era fermarsi al trattato di Nizza. Ora, noi abbiamo bisogno di un sistema trasparente e comprensibile. Avremmo senza dubbio adottato il sistema fin dal trattato di Nizza, se non ci fosse stata la coabitazione tra il presidente e il primo ministro francese. . Nessuno dei due ha osato fare il primo passo per abbandonare l'uguaglianza tra Francia e Germania». Cosa pensa dell'atteggiamento di Spagna e Polonia? «Quel che mi spiace è che non cercano di far avanzare l'Europa ma di costituire una minoranza di blocco per difendere i loro interessi nazionali. Questo approccio non s'ispira veramente all'interesse europeo». Se si dovesse fallire, domenica, Francia, Germania e Benelux dovrebbero lanciare un progetto a cinque? «Intanto cominciamo col cercare di evitare la sconfitta. In caso di disaccordo, bisognerà prendere molto in fretta un'iniziativa. La situazione potrebbe somigliare a quella che ha seguito il fallimento della Comunità Europea di Difesa nel 1954, dove i Sei hanno formato un comitato intergovernativo presieduto da Paul Henry Spaak, che ha portato al Trattato di Roma». Copyright Le Monde I&Ia La cosa peggiore "™ è che bisognerà rinegoziare, all'unanimità, un pacchetto economico nel quale chi oggi paga non vorrà più pagare, chi ora riceve non vorrà ricevere di meno E nel quale tutti sanno che è indispensabile accelerare lo sviluppo dei nuovi Stati membri Occorre rispettare il Trattato di Nizza che impone come obbligo una Commissione ridotta che, altrimenti, non funzionerà 99 11 vicepresidente della Convenzione Jean-Luc Dehaene

Persone citate: A. Leparmentier Jean, Dehaene, Ferenczi, Paul Henry Spaak