KABUL Piccoli passi verso la libertà di Mimmo Candito

KABUL Piccoli passi verso la libertà Ni DOPO LA FINE Di UNA GUERRA CHE NON HA ANCORA FATTO LARGO ALLA PACE KABUL Piccoli passi verso la libertà reportage Mimmo Candito inviato KABUL Lf UOMO - si chiama Habibi - tirava, strappava forte, con la forza disperata di tutto l'amore, e l'angoscia, e anche la paura, che ora gli chiudevano il fiato in gola. Habibi tirava e digrignava i denti. Poggiò anche il ginocchio contro la sponda del giaciglio, per aiutarsi, mentre la donna urlava, di dolore, di spavento. Poi, con uno schiocco sordo, il braccìno del bimbo si staccò, e restò lì, tra le sue mani, vuoto, inerte come un pezzo di bambola rotta. E Habibi lo guardava nel rivolo improvviso di sangue e di carne. Impietrito dentro la propria solitudine impotente. Questa non è una storia di Natale. Ma non perché l'Afghanistan sia terra dell'Islam e l'Islam non conosce il Natale; no, è che non ci può essere Natale in un posto dove un uomo che si chiama Habibi e che cerca d'aiutare la sua donna che sta partorendo, perché il bimbo non ce la fa a. venir fuori ed è incastrato di spalla, e la mamma spinge ma non basta, e lui lo chiamano perché è forte, e lui tira, e il braccìno si stacca via e il bimbo senza braccio resta nella pancia urlante della donna, e montano su un carretto, e ci mettono quattro giorni ad arrivare all'ospedale in città, lui sempre con quel braccìno dentro una coperta, la donna sempre che urla con quel corpo morto dentro il suo ventre inutile - questo posto ancora di guerra, dannato, perduto in una lontana latitudine del pianeta, il Natale non può averlo. E però nel cielo di Kabul ora sono tornati a volare gli aquiloni. Volano dentro ogni orizzonte, sulla collinetta superba con la tomba del vecchio re Amanullah, ma anche sopra le casupole di fango di Poi i-Chark. Tu tiri su gli occhi, e li vedi subito. Li tengono legati da terra grandi e bambini, uguali per una volta, con il filo che si dipana veloce e quei pezzi di carta colorata che lontani, ma dovunque, punteggiano le nuvole e il vento. Avevo lasciato Kabul due anni fa, che la guerra era appena finita e tuttavia il cielo restava ancora vuoto perché non si sapeva se i taleban erano davvero battuti per sempre. C'era la paura incrostata dentro, che ci vuole poi tempo e fiducia a dimenticarla. I taleban, gli aquiloni li avevano proibiti: distraevano dalla preghiera - dicevano - e poi i grandi magari ci facevano su le scommesse a chi riusciva a far cadere l'aquilone dell'altro. Ora ohe i taleban non ci sono più lo si vede da quella festa in cielo, forse l'unica festa che oggi tutti possano permettersi in questa città di macerie, di fantasmi, e di pescecani in Toyota nera. Kabul ha avuto 23 anni di guerra. Non si cambiano da un giorno all'altro, 23 anni ininterrotti. «Ma l'arrivo di ;ente che ha avuto una gamaa, o una mano, amputati da una mina è diminuito di circa il 30 per cento», dice Alberto Cairo, che chiamano «l'angelo di Kabul» e nella sua piccola baracca di legno dell'ospedale Wazir Akhbar Khan ha perfino montato una piccola serra di vasi di gerani'per rendere meno disperato l'approccio ai disgraziati che si presentano al cancelletto a chiedere una gamba di legno, o un braccio di legno, buoni a riprendere a sperare nella vita. E anche il microcredito i 100 dollari che lui dà in prestito a questi disgraziati perché montino una piccola attività, un carrettino per venderci i dolci, un panchetto con i vestiti usati da esporre, la cucinetta a ruote per cuocerci il kebab - il microcredito funziona meglio di prima. «Ora la restituzione del prestito ha raggiunto un tasso del 90 per cento. E' un assai buon segno». Un buon segno. Kabul ne ha tanti, di buoni segni. Circolano quasi 180 giornali, tra settimanali e mensili; e la televisione funziona con un canale ufficiale; e ci sono due compagnie di telefonini cellulari; e c'è anche la radio delle donne; e cominciano anche a esserci davvero donne senza burqa; e ora le ragazze vanno a scuola. Certo, i giornali escono quando possono e hanno i lettori che hanno (in Afghanistan, sono analfabeti in 94 su 100); e la televisione è di regime peggio che in molti Paesi dell'Occidente; e le donne senza burqa sono solo nel centro di Kabul e non più di 2 o 3 su dieci; e la radio delle donne ha solo un'antenna che le consente un ascolto nel raggio di poche centinaia di metri; e a scuola le ragazze vanno soltanto quando i genitori ve le mandano e i genitori che ve le mandano sono una piccola minoranza. Ma intanto si comincia comunque, e il Ministero per gli affari femminili ha una ministra donna, una viceministra donna, una direttora generale donna, e gli uomini in quel vecchio palazzo lì - dove l'ufficio della ministra ha sui vetri della porta le tendine bianche di plastica che sembrano pizzo vero - in quel palazzo senza luce e con i mobili ancora accatastati gli uomini fanno solo i bidelli e gli uscieri. I bambini lavorano o chiedono l'elemosina, come prima. Tirano i carretti, lavano le auto, trascinano le sporte, vendono i giornali. Come prima. Anche le vedove - come prima - chiedono l'elemosina, chiuse sempre nei loro burqa, insistenti perché non hanno altra risorsa per i loro figli. Ma in strada non c'è più un uomo, o un ragazzo, con il kalashnikov in spalla, mentre prima erano il 90 per cento, o forse anche più. Oggi le armi in vista le hanno solo i 5000 soldati della forza multinazionale (ci sono anche 500 italiani, dell'esercito e i carabinieri della Military Police), che pattugliano le strade con il giubbotto antiproiettile e l'elmetto ben calato sulla testa. Perché la guerra è finita ma non è finita, e ogni tanto una bomba o un razzo lasciano per strada una memoria di sangue. E se sei un occidentale qualche rischio te lo devi prendere. Però al vecchio Hotel Intercontinental ora hanno rimesso i vetri alle finestre, che non devi più dormire nel gelo con due copertone addosso, e c'è l'acqua corrente, e i cessi spurgano, e ci sono perfino i primi turisti - qualche vecchio americano pazzo, qualche francese tardobohèmien. Ma soprattutto ci sono di nuovo i matrimoni nella vecchia hall, con gli sposi che arrivano sull'auto lavata da poco e gli invitati che hanno il vestito scuro della festa. Perché a Kabul, dove un professore prende 20 dollari al mese (da dicembre sono diventati, nominalmente, 35), e se dai una mancia di mezzo dollaro ti fanno sentire un signore, ci sono poi i ricchi sfondati, che hanno fatto i soldi dei traffici della guerra e se ne vanno in giro a sfoggiare il loro potere. Che è poi il potere dei vecchi clan, ma adesso rovesciato rispetto al passato, con i tajiki che comandano e i pashtun che hanno solo Karzai a rappresentare le loro ambizioni deluse. E si costruisce, allora. Si costruisce dappertutto, con una furia edilizia che rivela flussi di capitali che arrivano da fuori insieme ai profughi che rientrano dal Pakistan e dall'Iran. I poveri - la stragrande maggioranza - si sistemano nelle rovine dei vecchi palazzi bombardati, acconciando le macerie a pezzi di casa da contendere ai topi; gli altri, i ricchi, tirano su case nuove e le affittano a prezzi spaventosi, di 1000 o 2000 dollari al mese, che neanche New York. Ma ci sono poche case e poche terreni, e il mercato comanda. Soprattutto quando sul mercato hanno messo le mani gli uomini del nuovo potere, con quel ministro della Difesa, il tajiko Fahim, vecchio braccio destro di Massud, che espropria e passa con tutti i suoi uomini armati come il vero padrone della città. A Kabul manca ancora la luce, arriva solo per qualche ora della notte. E anche se non c'è più il coprifuoco, il buio è una minaccia che fa le strade vuote. Ma nello spiazzo che sta sotto la collinetta dellTntercontinental l'Onu ha ora montato quattro enormi tendoni bianchi, per accogliervi i delegati che dal giorno 10 - forse, Insh'allah - si riuniscono nella Loya Jirga, la Grande Assemblea che deve dare la Costituzione al nuovo Afghanistan. I tendoni sono costati 15 milioni di dollari, tutt'intorno vigilano le torrette di legno nuovo con le mitragliatrici, e ci sono i carri armati dei norvegesi con il cannone ad alzo zero. La guerra è finita, forse. E comunque, nel cielo di Kabul ora volano di nuovo gli aquiloni. I bambini lavorano o chiedono l'elemosina come prima. Le vedove - come prima - chiedono un aiuto, insistenti perché non hanno altre risorse per i loro figli E la città sotto assedio militare si prepara a ospitare la Loya Jirga la Grande Assemblea tribale che deve dare la Costituzione al nuovo Afghanistan Nella capitale circolano quasi 180 giornali, ma gli analfabeti sono il 9407o La tv funziona con un canale ufficiale, ma l'informazione è di regime Cominciano anche a esserci donne senza burqa ma poche e solo in centro A scuola vanno anche le ragazze, ma i genitori che lo permettono sono una piccola minoranza Operazione disarmo: miliziani del Nord pronti a consegnare I loro fucili Kabul, due mondi paralleli: una donna afghana avvolta nel burqa e un soldato britannico dell'lsaf, la missione Nato di peacekeeping In Afghanistan

Persone citate: Alberto Cairo, Fahim, Habibi, Karzai, Khan, Massud, Police