La sfida sotterranea tra lo zar e gli oligarchi

La sfida sotterranea tra lo zar e gli oligarchi SI E' ROTTO IL PATTO DI POTERE CHE SOSTENNE IL PRESIDENTE La sfida sotterranea tra lo zar e gli oligarchi L'arresto del finanziere Khodorkovskij è solo una punta dell'iceberg Il Cremlino lascia intendere che i suoi nuovi nemici hanno potenti appoggi economici all'estero. Il braccio di ferro è appena iniziato retroscena Gìulietto Chiesa VLADIMIR Putin, ovvero divide et impera. Russia Unita, il suo partito, vincerà le elezioni, tutti lo prevedono, ma il parlamento russo che ne uscirà sarà fatto in gran parte di oligarchi e dei loro manutengoli e portaborse. Mikhail Khodorkovskij voterà dietro le sbarre, ma si è già comprato una cinquantina di deputati, insieme a due o tre pezzi di partiti (Jabloko, Unione delle Forze di Destra, Partito Comunista, formazioni minori), qualche giornale, come Moskovskie Novosti (destra moderata) e addirittura Zaftra (sinistra ultra-estrema). Il resto è «caudillismo» sud-americano, quando non criminalità allo stato brado, che si è impadronita dello stato russo, privatizzandone la politica, dopo avere rubatole ex proprietà statali. Quello che passa il convento, oggi, in Russia, ha molto poco a che vedere con la democrazia. E' in gran parte un'oligarchia di miliardari che cercano di conquistarsi un posto nelle cariche elettive per guadagnarsi l'immunità parlamentare, visto che non si sentono tranquilli. Ma quasi nessuno sa che l'intera Duma è «a stipendio» presso l'Amministrazione presidenziale. Che, a sua volta, è la copia fedele dell'apparato del Comitato Centrale. Più o meno come ai tempi dell'Urss, ma senza l'ideologia comunista. In ogni caso le maggioranze parlamentari, fino o oggi, non lanno la minima possibilità di influire sulla formazione del governo, che è cosa che attiene esclusivamente alla volontà del presidente. Questo è il risultato delle pensate «costituzionali» dei democratici che abbatterono Gorbaciov e consegnarono il Paese a Boris Eltsin. Vladimir Putin ha ereditato questa matrioshka di isti- tuzioni, formalmente simile a una democrazia rappresentativa, in sostanza priva di una reale divisione dei poteri, e non ha fatto assolutamente nulla per correggerla in senso democratico. Tutto quello che si vede dall'esterno è dunque nient'altro che un simulacro, che copre - invece di rivelare - i veri giochi di potere che continuano a dipanarsi al riparo dall'opinione pubblica. In ciò coadiuvato da un sistema mediatico (essenzialmente la televisione, perché i giornali sono lo svago di una minoranza assolutamente esigua) totalmente controllato dal presidente e dal governo. E anche i risultati delle elezioni «democratiche» praticamente tutte, a partire dal cannoneggiamento del parlamento russo del 1993 - sono insondati e insondabili misteri. Non c'è più traccia, negli annali, dei numeri, delle prove. Tutto è stato velocemente trasformato in gas di scarico dei crematori della nascente, e subito abortita, democrazia russa. E la Commissione Elettorale Centrale, mostro giuridico e organizzativo le cui leve sono in mano ai vincitori programmati, continua a essere il notaio esclusivo delle loro vittorie. Questa elezione della Duma, la terza, non differirà dalle precedenti. E sarà dunque saggio prendere i suoi risultati con le pinze. Tutto ciò che d'importante accade in Russia è dunque come si diceva ai tempi della sovietologia - «sotto il tappeto». E bisogna cercare d'indovinarlo leggendo tra le righe, filtrando i pettegolezzi, studiando i fondi di caffè. «Vostok delo tonkoe» (l'Oriente è questione complicata) dice un antico proverbio russo. Più valido che mai. Là sotto i giochi si sono fatti durissimi. Perché qualcuno ha «xotto il patto» svi cab gì fon dò l'elezione di Putin. La cui clausola principale era questa: non toccare le privatizzazioni e non toccare la «famiglia» e i famigli. Tre «cerberi» erano stati messi ai fianchi di Vladimir Putin, con l'incarico di sorvegliare che il presidente una volta abbandonato il ruolo obbligato di «signor Nessuno» - non si concedesse troppe libertà. I loro nomi sono noti: Aleksandr Voloshin, capo (ora ex) dell'Amministrazione presidenziale; Anatolij Ciubais, oligarca «di Stato», alla testa del monopolio elettrico-energetico delle Russie; Mikhail Kasianov, capo del governo. Tutti e tre depositari di abbastanza «kompromati» (materiali compromettenti) da affondare un'intera flotta di presidenti. Il patto l'ha rotto qualcuno che sta dietro le quinte. Chi voglia indovinare cerchi d'interpetare queste parole di un Putin molto arrabbiato, alla metà di ottobre scorso: «C'è stato il tentativo di creare un sistema di governo oligarchico, dove dietro determinate figure politiche visibili c'erano altre persone che non apparivano, ma che in realtà prendevano decisioni d'importanza nazionale». Seguì l'arresto di Khodorkovskij, per «crimini economici». In realtà la cosa era, ed è, molto più grossa. Putin ha capito che gli stavano scavando la fossa e ha risposto per le rime. Khodorkovskij conta meno dei suoi miliardi. Anche lui è un prestanome (lascia capire Putin). Con quali soldi sono state fatte le privatizzazioni? Venivano forse da fuori, da qualche grande holding internazionale? Certi oligarchi rappresentano solo se stessi o sono incaricati d'affari per conto terzi? E vogliono trattare il destino della Russia? «Su materie di questa importanza risponde Putin - si tratta solo con il governo russo», cioè con me direttamente. Se devo vendere sarò io a farlo. E a incassare. Khodorkovskij è stato punito. E Voloshin si è dimesso, rivelando che la trama era più pesante del banchiere-petroliere. Allora Ciubais gli ha offerto di andare a presiedere l'immensa «Enel Russa». E si è capito che il patto era davvero rotto e anche il secondo cerbero entrava in combattimento. Resta il terzo, che rimane silenzioso, ma che è il più importante, perché Kasianov sa tutto della famosa tranche di 4,7 miliardi di dollari che nell'agosto 1998 il Fondo Monetario Intemazionale regalò alla Russia e che sparì nei numerosi meandri che si incontrano nel mare che divide New York dalle Isole Caiman e dalle Seichelles. Neanche un centesimo arrivò in Russia. E 700 milioni di dollari finirono in Australia, in una impresa con cui la figlia di Eltsin, Tatiana Diachenko, aveva rapporti tanto stretti da somigliare a quelli proprietari. Il resto fu spalmato tra una quindicina di banche, russe e straniere, tra cui primeggiava la Menatep di Khodorkovskij. Altri «kompromat», da tirare fuori al momento opportuno. Ma si racconta a Mosca che c'è stato un incontro molto «infuocato» tra Putin e Ciubais, in cui il primo ha spiegato al secondo che i suoi giorni al vertice della RAO-EES sono contati, e il secondo ha spiegato al primo che da qualche parte, in qualche cassaforte, ci sono film che lo riguardano, sicuramente non indicati per il festival di Cannes. Chiacchere, naturalmente, ma che ricordano, per esempio, il clima del 1999, che precedette il siluramento del procuratore generale di Russia, Jurij Skuratov, che aveva raccolto anche lui molti materiali compromettenti. E non riuscì a usarli perché fu bruciato sui tempi. Siamo solo all'inizio del braccio di ferro che deciderà del futuro di Putin, e dei suoi ex amici, ora diventati nemici. Se scoppiano i treni a Essentuki, è anche perché qualcuno conosce la posta in gioco. Di fatto il sistema di governo oggi in Russia ha molto poco a che vedere con la democrazia E' in gran parte una ristretta oligarchia di miliardari che cercano di conquistarsi un posto nelle cariche elettive per guadagnarsi l'immunità parlamentare visto che non si sentono moto tranquilli Tre «cerberi» sorvegliavano da vicino il capo dello Stato: Aleksandr Voloshin, capo (appena silurato) della amministrazione presidenziale; Anatolij Ciubais, boss del monopolio elettrico energetico di Stato e il leader del governo Mikhail Kasianov Con gli ultimi due il conto è aperto Il presidente russo e il suo primo ministro Mikhail Kasianov, considerato molto vicino a Voloshin, il capo di gabinetto che si è dimesso {131 ottobre per disaccordi con Putin